Esiste il concreto rischio che molti gruppi per la famiglia rischino il carcere se la legge passasse
Circola ampiamente su internet un’intervista all’onorevole Ivan Scalfarotto a Italia Post sul tema delle Sentinelle in piedi (clicca qui). Il sottosegretario e renziano di ferro da cui prende il nome il disegno di legge sull’omofobia consiglia alle Sentinelle, se proprio vogliono leggere qualcosa in piazza, di prendere in mano la sua legge, perché secondo lui non l’hanno letta.
Alla giornalista, che si dichiara contraria alle adozioni omosessuali e gli chiede se, esprimendo questa sua opinione, una volta approvata la legge Scalfarotto andrà in galera, il sottosegretario risponde:«Ci si accusa di voler far passare una norma liberticida, ma secondo me le Sentinelle non hanno letto la legge. A prescindere dal fatto che nemmeno volendo si potrebbe impedire alle persone che, come te, desiderano esprimere un parere contrario, di farlo perché c’è la Costituzione che tutela il diritto di espressione di ognuno di noi, ma poi la legge non dice nulla di tutto questo. E ti dirò di più, alla Camera sono state appositamente inserite due norme che sottolineano l’esatto contrario a tutela della libera manifestazione del pensiero di ognuno e la ferma volontà di non discriminare le organizzazioni di tendenza (es. politiche o religiose)». Quindi, incalza la giornalista, «posso continuare a dire che sono contraria?». «Ma certo! », risponde Scalfarotto. «A parte il fatto che l’articolo 21 della Costituzione protegge la libera espressione del pensiero, nessuno ha la minima intenzione di impedirti di esprimere il tuo dissenso».
L’intervista è davvero stupefacente. Si ha l’impressione che sia proprio Scalfarotto a non avere mai letto il testo della sua legge. Capita – le leggi le scrivono gli esperti – e non sarebbe la prima volta, ma considerando l’investimento anche emotivo del sottosegretario nella legge che porta il suo nome – Scalfarotto è da una vita un attivista gay, e certamente non fa mistero del suo orientamento omosessuale – il caso è particolarmente sorprendente. Scalfarotto dice, in sostanza, tre cose. Primo, che la Costituzione protegge in ogni caso la libera manifestazione del pensiero e la Costituzione in Italia prevale su tutte le leggi, compresa la sua. Giusto. Ma i cittadini che violano leggi che prevedono una pena detentiva in Italia, come ovunque, vanno in prigione. Se poi pensano che quella legge sia incostituzionale possono provare a rivolgersi alla Corte Costituzionale, se hanno buoni avvocati e i soldi per pagarli. Dopo qualche anno la Corte Costituzionale, le cui sentenze com’è noto sono più imprevedibili di quelle della Sibilla Cumana, dirà la sua. Si comprende come il normale cittadino pensi sia più prudente rispettare la legge, anche se a prima vista gli sembra contraria alla Costituzione. La Costituzione lo protegge? In teoria sì, certo, ma in pratica le cose sono un po’ più complicate.
Secondo, dice Scalfarotto che la sua legge non manda nessuno in prigione per avere manifestato la sua opinione, ma solo per casi di violenza contro gli omosessuali. Fosse così, Scalfarotto dovrebbe essere licenziato da Renzi non per le sue opinioni, ma perché impiega male il suo tempo. La violenza contro gli omosessuali è già pacificamente punita dalle leggi in vigore, con tanto di aggravante dei motivi abietti se la persona omosessuale è aggredita in quanto omosessuale. Purtroppo per chi ha a cuore la libertà di espressione, Scalfarotto non spreca il suo tempo e la sua legge punisce effettivamente le opinioni. Basta leggerla, non importa se in piedi o seduti. L’articolo 3.1 punisce con la reclusione fino a un anno e sei mesi chi «istiga a commettere atti di discriminazione fondati sull’omofobia o sulla transfobia». L’articolo 3.3 mette fuori legge qualunque «organizzazione, movimento o gruppo» che «inciti alla discriminazione per motivi fondati sull’omofobia o sulla transfobia». «Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni».”Istigare” o “incitare” è qualcosa che si fa con la parola o con lo scritto. Picchiare qualcuno non rientra nei significati di “incitare”. È dunque evidente che qui la legge punisce chi si esprime parlando in pubblico o scrivendo. Lo punisce se afferma o scrive che cosa? Lo manda in prigione se le sue affermazioni orali o scritte incitano alla «discriminazione fondata sull’omofobia o sulla transfobia».
So qualche cosa su come le leggi e i tribunali, di diversi Paesi, interpretano la parola “discriminazione”, se non altro perché sono stato per un anno, nel 2011, Rappresentante dell’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Co-operazione in Europa) per la lotta alla discriminazione non solo religiosa ma anche razzista e xenofoba. Letteralmente “discriminare” vuol dire trattare una categoria in modo diverso dalle altre, cioè negarle dei diritti che altre categorie hanno. Tra questi rientrano certamente il diritto a contrarre matrimonio e ad adottare figli. Se incito a non lasciare che gli omosessuali si sposino tra loro o adottino figli, tecnicamente incito a “discriminarli”, cioè a trattarli diversamente da coloro che non sono omosessuali. Ci fossero dubbi, nei Paesi che hanno leggi simili alla Scalfarotto le norme sono interpretate precisamente in questo senso. In Francia è stata considerata discriminazione persino portare in pubblico una maglietta che esprimeva contrarietà al “matrimonio” omosessuale. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, sono stati puniti pasticceri che si rifiutavano di preparare torte per “matrimoni” omosessuali. Se è punita la “discriminazione”, questi casi certamente lo sono secondo il significato più letterale e consueto del termine. Onorevole Scalfarotto, si rilegga la sua legge, magari con l’aiuto di qualche giurista.
Il sottosegretario dice anche una terza cosa, e cioè che c’è il famoso sub-emendamento Gitti, «inserito appositamente» per tutelare «la libera manifestazione del pensiero» delle «organizzazioni di tendenza» politiche e religiose. Qui, con tutto il rispetto, non si tratta più di cattiva lettura, ma di gioco delle tre carte. Il sub-emendamento Gitti è qualche cosa che Scalfarotto si prefigge di eliminare in Senato – dove la legge andrà in discussione dopo essere passata alla Camera – o alla peggio non appena da nuove elezioni esca una maggioranza chiara per il Pd. Processo alle intenzioni di Scalfarotto? No, parole sue. Intervistato da Giornalettismo l’11 giugno 2014, Scalfarotto affermava a proposito del sub-emendamento: «È un emendamento che auspico il Senato voglia eliminare» (clicca qui). La stessa cosa aveva detto Scalfarotto all’Huffington Post all’indomani dell’approvazione della legge alla Camera, il 19 settembre 2013 (clicca qui): «Il Senato è sovrano, farà le sue migliorie, anche l’emendamento contestato oggi potrebbe essere modificato», aggiungendo che «se il Pd avesse vinto le elezioni la legge sarebbe stata diversa».
Che cosa dice il sub-emendamento Gitti? Leggiamolo insieme:«Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni». Al non giurista può sembrare che con questo tutto sia a posto e che i cattolici, per esempio, possano liberamente affermare che il «matrimonio» e le adozioni omosessuali sono gravemente contrari al bene comune. Ma non è affatto così. Anzitutto, prima che possa beneficiare del sub-emendamento Gitti, a una organizzazione politica o religiosa bisogna fare l’esame del sangue, per vedere se persegue «principi e valori di rilevanza costituzionale», il che non è affatto scontato. Nell’intervista all’Huffington Post Scalfarotto ha ricordato proprio questo: per profittare dell’emendamento le attività delle associazioni «devono essere conformi alla legge e in attuazione dei principi costituzionali (Forza Nuova non lo è)».
«Conformi alla legge»? A quale legge? Anche alla Scalfarotto stessa? E se domani ci fosse una legge sul «matrimonio» e le adozioni omosessuali? Se Forza Nuova non opera per «attuare i principi costituzionali», che dire delle Sentinelle in piedi o di “Sì alla famiglia”? Bisognerà affidarsi a un esame di patriottismo costituzionale condotto dai giudici? Non basta. Scalfarotto spiega chiaramente che si tratta di un emendamento che protegge le «organizzazioni di tendenza» – purché operino per l’attuazione dei principi costituzionali -, non i singoli, e le protegge per quanto fanno «all’interno delle organizzazioni», non fuori. Cioè se un sacerdote predica contro il “matrimonio” omosessuale in chiesa è protetto, ma non se rilascia un’intervista o parla in piazza. C’è una protezione per chi si esprime a scuola o nell’ambito di associazioni – sempre se si tratta di associazioni che superano l’esame di cui sopra – ma “all’interno” e non all’esterno delle medesime.
Io sono presidente di “Sì alla famiglia”. Se “Sì alla famiglia” riceverà il bollino di associazione che opera in attuazione dei principi della Costituzione, il che dipende dal buon cuore di qualche giudice, potrò dire la mia all’interno della sede dell’associazione. Se la dicessi in piazza, non ci sarebbe sub-emendamento che tenga. E tra poco non potrò più dirla neppure nella sede di “Sì alla famiglia”, perché non qualche omofobo ma Scalfarotto stesso ci assicura che il sub-emendamento è una foglia di fico, che cadrà in Senato o comunque quando ci sarà una maggioranza favorevole a toglierlo di torno (che forse c’è già: bisognerebbe chiederlo all’onorevole Berlusconi, non appena avrà completamente digerito la cena con Luxuria). Che cosa rischio? Una multa? La multa c’è nell’articolo 3.1, seimila euro, ma – sempre secondo il buon cuore del giudice – potrei anche prendere un anno e mezzo di reclusione. Ma mi sbaglio: queste sono le pene per chi si esprime senza fare parte di una associazione o movimento pro family. Chi partecipa ad associazioni come “Sì alla famiglia”, o anche solo «presta assistenza alla loro attività» – che so, concedendo una sala o postando notizia di una loro conferenza su Facebook -, «è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni».
Qui non c’è più l’alternativa della multa: o galera o galera. Nel caso del sottoscritto, però, non si applicherebbe neanche questa norma, perché non mi limito a partecipare a “Sì alla famiglia”, sono stato tra i suoi fondatori e ne sono il presidente. «Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni». Nel 2000 tre ragazzine di Chiavenna, per odio anticattolico, massacrarono una religiosa di cui è in corso la causa di beatificazione, suor Laura Mainetti, con sessanta colpi di coltello, la lasciarono morire dissanguata e ne bevvero il sangue. Quella di loro che era maggiorenne ha scontato sette anni di reclusione. Benvenuto in Italia, onorevole Scalfarotto, il Paese dove dirigere associazioni che incitano a discriminare gli omosessuali negando loro di sposarsi e adottare bambini è un delitto più o meno considerato altrettanto grave che massacrare una suora innocente a coltellate. Lei potrebbe rispondermi che la suora tanto innocente non era. Le esuberanti ragazze la scelsero come vittima perché faceva una cosa gravissima, consigliava alle ragazzine incinte di non abortire. I suoi gentili colleghi francesi nello scorso mese di gennaio hanno pensato che, se è punito chi parla male del “matrimonio” omosessuale, va punito, per non fare torto a nessuno, anche chi critica l’aborto: e hanno introdotto una norma che manda in prigione per due anni chi incita una donna che vorrebbe abortire a non farlo. Una buona idea, che farà senz’altro fortuna anche in Italia. Sei anni di prigione sono lunghi, onorevole Scalfarotto. Le prometto che non leggerò solo la sua legge tutti i giorni al mattino e alla sera, la imparerò anche a memoria. Ma mi farebbe piacere che la leggesse anche lei, almeno una volta.