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Un libro affronta la figura del sacerdote nella letteratura contemporanea

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Enrique Chuvieco - Aleteia - pubblicato il 20/10/14
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Con prologo e promozione dell’arcivescovo di Granada, le professoresse Arbona e Fanconi raccolgono 19 profili
Non ci sono limitazioni per mostrare l’intelligenza di padre Brown quando disarma rispettosamente i malviventi o la noia che proviamo per don Fermín ne “La Regenta”, dipinto da “Clarín” in modo tanto intelligente quanto sadico in uno degli esercizi letterari di manipolazione più brillanti mai realizzati.

Di tutto ciò dà conto la docente universitaria Guadalupe Arbona, una delle scrittrici e coordinatrici di un’opera pubblicata da Encuentro.

In questo libro intervengono vari autori. Com’è stata la sua gestazione?
L’idea è stata dell’arcivescovo di Granada, monsignor Javier Martínez, che per l’anno sacerdotale proposto da Benedetto XVI ha deciso di affidarmi uno studio sulla figura dei sacerdoti nella letteratura contemporanea. Bisogna spiegare che monsignor Martínez è molto segnato dalle opere che ha letto da giovane in seminario, soprattutto da una: “Diario di un curato di campagna”, di Bernanos. Ha convocato me e una sua ex insegnante, María Dolores de Asís, dell’Istituzione Teresiana di Padre Poveda e docente emerita di Letteratura presso l’Università Complutense, ora all’Universidad San Pablo CEU, e ci ha detto: “Vediamo che persone e che contatti potete riunire per realizzare l’opera”.

Non ci ha indicato requisiti previ e ci ha detto che si fidava completamente di noi (ho un rapporto di amicizia con monsignor Javier dall’età di tredici anni). María Dolores de Asís è stata una delle persone che lo hanno maggiormente aiutato in gioventù quanto all’orientamento delle letture. Monsignor Javier ha letto molto Sartre, Camus, Bernanos…, tutta una serie di scrittori, fondamentalmente francesi, che lo interessavano perché mettevano in discussione tutta la cultura del momento e rivisitavano il cristianesimo per proporlo nell’epoca attuale.

Abbiamo subito contattato dei professori che pensavamo potessero essere interessati al progetto (tutti esperti in ciascuno dei capitoli che scrivono). Quando prima commentavo che monsignor Javier non ci ha posto “paletti”, mi riferivo al fatto che gli ho detto che non potevamo limitarci alla letteratura spagnola, ma dovevamo offrire un approccio più universale. In questi libro ci sono autori non toccati o assenze di spicco come il caso de “I Promessi Sposi” di Manzoni, che non abbiamo potuto includere perché la persona che avrebbe dovuto sviluppare il tema ha avuto dei problemi gravi.

Ci troviamo quindi di fronte a una tipologia sufficientemente rappresentativa?
Ci abbiamo quantomeno provato. Ad esempio con il padre Brown di Chesterton, scritto dal mio ex allievo Jesús Montiel con una prospettiva straordinaria del personaggio. Un altro caso è quello di Thomas Becket, di Eliot, in “Assassinio nella cattedrale”, trattato da un professore di un’università nordamericana di origine spagnola che avanza una proposta molto interessante: partendo dall’opera teatrale Premio Nobel, identifica la differenza tra l’attesa e la speranza.

Un altro profilo è quello che ci mostra Graham Greene ne “Il potere e la gloria”, un romanzo in cui l’intreccio è molto ben costruito partendo da vari livelli narrativi. La sua genesi è assai interessante perché parte da un viaggio di Greene in Messico, in cui si innamorò della zona del Chiapas e scrisse un testo intitolato “Le vie senza legge”. Lo colpisce moltissimo – è il primo scossone alla propria coscienza – la realtà del cattolicesimo in un Paese in cui i parroci sono perseguitati per essere uccisi o espulsi e restano solo i rinnegati.

Così è il protagonista, un “güisqui pater”, un curato ubriacone, che per una serie di casualità e di eventi è rimasto quasi intrappolato nel suo Paese, con le circostanze storiche che decidono la sua vocazione. L’ho intitolato “En el umbral del abandono” (“Al limite dell’abbandono”) per parlare di questo paradosso: nella sua estrema debolezza si manifesta anche la gloria, da cui il titolo del romanzo. Da un lato c’è un tenente messicano, che rappresenta il potere che perseguita la Chiesa, dall’altro c’è la gloria che si manifesta in un pover’uomo com’è il curato.

Molto interessante è anche il profilo del “Don Camillo” di Guareschi, un sacerdote molto popolare amico di un comunista. Antonio Ubach, docente della mia facoltà, ha sottolineato il paradosso esistente nell’amicizia tra un parroco e un comunista, e come questo rapporto limi le divisioni, le fratture che possono esistere tra due concezioni contraddittorie della vita.

Joyce, affrontato dallo scrittore Jiménez Lozano, è un commento a uno dei racconti dell’autore irlandese che appare in “Gente di Dublino”, intitolato “Le sorelle”, in cui la figura del sacerdote resta un po’ nebulosa. Accediamo a lui, che finisce per morire, attraverso lo sguardo di un bambino che è stato suo alunno e che racconta la sofferenza del chierico perché una volta gli è caduto il calice a terra. È una figura che sembra abbozzata e non voler trattare il personaggio in modo esauriente.

Un altro autore che non appare nell’opera è il francese Cesbron, i cui sacerdoti hanno molte similitudini con il profilo che il papa chiede ai chierici e a tutti i credenti, di andare nelle periferie esistenziali per incontrare gli uomini e le donne di oggi.

L’opera riporta anche la riflessione di Unamuno in “San Manuel Bueno, martire”…
José Paulino Alonso, scomparso di recente, affronta uno dei romanzi emblematici dello scrittore basco, molto importante anche per comprendere la cultura spagnola in tutti i sensi. Si parla del curato che non crede ma ritiene che il popolo debba credere perché così si sente consolato. È una contraddizione, ma è uno scritto fondamentale che ha influenzato molto la nostra educazione, come testimonia il fatto che lo facevano leggere a scuola.

Un altro splendido profilo è quello che traccia María del Carmen Boves su El Magistral de La Regenta, di “Clarín”. La Boves lo intitola “Cómo se construye un personaje” (“Come si costruisce un personaggio”) e allude al curato di Vetusta per analizzare come si gestiscano le strutture narrative per costruire un personaggio che risulta repellente per il lettore. L’autrice esprime chiaramente il punto di partenza dello scrittore al momento di configurare il protagonista dell’opera, che è simile a quello dedicato a padre Amaro, dello scrittore portoghese Eça de Queiroz, anche in questo caso davvero terribile. 

C’è anche un film, “Il crimine di padre Amaro”…
Sì, come nel caso de La Regenta, da cui è stata tratta una serie televisiva.

Gabriel Miró affronta anche “Nuestro padre San Daniel”, che forma un tutt’uno con “El obispo leproso”, in cui si riflette la Spagna del XIX secolo, in cui l’impronta dei curati era molto presente. C’è il vescovo lebbroso, chierico caritatevole, chiuso in un casermone che muore per malattia, per cui si stabilisce un rapporto di compassione nei suoi confronti.

Un altro degli autori è Pérez Galdós, la cui trattazione è affidata a Yolanda Arencibia, esperta di questo scrittore e che nomina quattrocento e più sacerdoti che appaiono nelle sue opere. Compie poi anche una classificazione molto interessante in cui si presenta sacerdoti storici, che poi Galdós ricrea nella finzione; sacerdoti inventati; e i sacerdoti mitici, che sono emblema di qualcosa, come il potere che egli vedeva nella Chiesa.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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