Il papato che “sfidò” la guerra al centro delle riflessioni a Roma di storici di varie nazioni
La Nota ai Capi dei popoli belligeranti del 1917 inviata il 1° agosto 1917 usava parole nette. L’invito alle nazioni era quello di porre termine all’“inutile strage”, un’espressione quella utilizzata dal papa che non solo recava in sé il giudizio di un leader religioso che tra l’altro, non dimentichiamolo, in quegli anni era ancora “senza terra” (i Patti Lateranensi del 1929 erano ancora di là da venire), ma rivelava anche una straordinaria capacità di leggere gli eventi del proprio tempo. Il desiderio di Benedetto XV era quello che si ponesse fine al massacro in atto, ma anche quello di porre un freno al declino d’Europa che solo a lui, allora, appariva inevitabile. E gli uomini, i milioni di uomini ammassati per mesi e mesi nelle trincee, solo al pontefice potevano provare ad appellarsi. "Vi prego, come padre di tutti noi, di rivolgere un appello a tutti i governanti degli Stati in guerra perché concludano presto la pace, perché noi prigionieri siamo tutti stufi di stare lontani dalle nostre famiglie e dalla nostra bella patria”: queste sono righe di una delle tante lettere inviategli, in questo caso da un prigioniero di guerra italiano in Austria, ma che mai gli arrivarono a causa della censura. Proprio a questi temi è stato dedicato il Colloquio internazionale "Inutile strage". I cattolici e la Santa Sede nella Prima Guerra Mondiale, promosso e organizzato dal Pontificio Comitato di Scienze storiche, in collaborazione con l’Accademia di Ungheria in Roma e la Commission Internationale d’Histoire et d’Étude du Christianisme che si è svolto dal 15 al 17 ottobre in Vaticano. Noi di Aleteia abbiamo intervistato il professor Roberto Morozzo Della Rocca, storico docente presso l’Università degli Studi Roma Tre, che ha preso parte al convegno.
Quell’espressione di Benedetto XV rivela una grande capacità di lettura storica, non è vero?
Morozzo Della Rocca: Sì, è così. Lui era un uomo di religione e di fede, ma aveva anche una percezione molto razionale e lucida della propria età. Ragionava in termini quasi “professionali” dal punto di vista politico e storico. Benedetto XV vide nella guerra una rovina dell’Europa, tanto da chiamarla “suicidio dell’Europa civile”. Quando parla di “suicidio”, sta prevedendo la decadenza europea che poi effettivamente verrà come conseguenza della Prima Guerra Mondiale: infatti gli Stati Uniti dopo il conflitto prenderanno il sopravvento come prima potenza mondiale al posto delle potenze europee. Ma non è tanto, dal suo punto di visto, un problema di primato del potere; quello che lo addolora è vedere la civiltà europea decadere, assistere alla trasformazione degli uomini in animali selvaggi che si uccidono a vicenda. Lui la chiama “una macelleria barbara”. In effetti stava mostrando una capacità di vedere le cose in anticipo: se guardiamo oggi all’Europa non vediamo tutte le differenze che sembravano esserci in quel momento, viviamo in un mondo europeo che ha una sua unità.
Chi voleva la guerra?
Morozzo Della Rocca: Quella è stata una guerra tra i governi, con un appoggio iniziale della borghesia e degli intellettuali: anche in Italia ci fu il cosiddetto “Maggio radioso” del 1915, ma perfino gli interventisti del 1914 e del 1915, quando cominciarono a stare in trincea, in gran parte si resero conto che non valeva la pena morire a milioni per pochi metri di terreno, senza nessun risultato strategico, impantanati in un conflitto senza fine. Ci fu grandissima delusione tra gli interventisti. Le masse in generale che combattevano in gran parte erano contadini che non capivano quelle che venivano chiamate le cosiddette ragioni ideali della guerra: per loro non aveva senso quella guerra ed uccidersi a quel modo.
Quali furono le reazioni all’intervento diretto del papa?
Morozzo Della Rocca: Il governo era fortemente anticlericale in quegli anni e non voleva una pace di compromesso, voleva una guerra fino alla vittoria. Questa era considerata più di un dovere, una necessità. Quando ci fu Caporetto, due mesi dopo la Nota di pace del papa, si diede la colpa al papa – così come la si diede ai socialisti – perché avrebbe fatto opera disfattista. In realtà sappiamo dagli studi successivi, soprattutto degli anni Cinquanta, che Caporetto fu una geniale invenzione di Erwin Rommel, il famoso generale della Wermacht durante la Seconda Guerra Mondiale. All’epoca Rommel comandava dei reparti che potremmo definire di “arditi”, i quali inventarono una tecnica militare nuova per aggirare i reparti italiani; così li presero alle spalle, e con pochissimi uomini sconfissero decine di migliaia di soldati italiani che aspettavano il nemico da un’altra direzione. Fu una sconfitta prettamente militare, Caporetto, ed invece fu data la colpa al disfattismo cattolico e socialista.
Da Benedetto XV in avanti c’è stata una continuità negli interventi dei pontefici contro la guerra?
Morozzo Della Rocca: La continuità sta in una grande diffidenza cattolica verso la guerra, che è vista come il “male”. Nessun papa ha mai negato la dottrina della “guerra giusta” in linea di principio, ma gli stessi papi hanno considerato questa dottrina superata nei fatti. Anche quando papa Giovanni nella Pacem in Terris dice che non è concepibile una guerra nell’era atomica, perché significherebbe la scomparsa dell’umanità, di fatto supera la dottrina della guerra giusta. Tuttavia questa dottrina è sempre rimasta valida in teoria, e ogni tanto viene ritirata fuori, ad esempio nel caso della guerra di Bosnia. Però in generale c’è stata una grandissima diffidenza dei papi verso la guerra, e questa è iniziata proprio con Benedetto XV nella Prima Guerra Mondiale. Proprio con lui, direi, perché Pio X non era stato del tutto chiaro su questo punto: da un lato sembrava condannare la guerra, dall’altro sembrava vedere con favore il fatto che l’Austria-Ungheria dovesse avere soddisfazione per l’attentato di Sarajevo. Per questo non condannò gli Austriaci nel loro ultimatum alla Serbia.