Intervista alla psicologa della famiglia, Vittoria Sanese
Crisi della famiglia. Sono molte le angolature da cui viene descritta. Il Sinodo sta facendo emergere la natura antropologica di questa "crisi" che non ha ricette per essere risolta. Vittoria Maioli Sanese, psicologa della famiglia e autrice di molti libri sul tema, ammette che nessuna scienza ha la capacità di definire le cause di tale crisi. E’ possibile descrivere i tratti delle dinamiche familiari a cui assistiamo. Le abbiamo quindi chiesto di aiutarci a comprenderne alcuni da lei osservati nel suo lavoro con le famiglie.
La crisi della famiglia è legata alla preponderanza della "coppia"?
La cultura di oggi possiede una forte capacità omologante fino a far diventare tutto e tutti “uguale”. Credo che il problema non sia che prevale l’idea di coppia nella famiglia, ma che si tenda ad eliminare tutto ciò che costringerebbe ad identificare e a differenziare ogni cosa col suo nome. In questo senso l’esaltazione della coppia come luogo (sembra unico luogo) realizzativo e compensativo dell’intimità e dell’affettività porta a creare un vortice che assorbe ed esprime il valore dell’affettività. E’ un vortice culturale che sta per tanti aspetti diventando un tritacarne, dove la “carne” sono proprio gli aspetti formanti la nostra persona.
Molti dicono meglio due genitori omosessuali che vogliono bene ai bambini piuttosto che un uomo e una donna che creano conflitti o violenze. Da un punto di vista ideologico potrebbe essere accettabile. Ma cosa comporta per un bambino vivere in una famiglia omosessuale?
Questa domanda mi spiazza sempre, perché la risposta non poggia e non può poggiare su una base solida di studio dell’esperienza, per cui è inevitabilmente una presunzione di risposta. Abbiamo visto persone, cresciute in famiglie esclusivamente con presenza femminile (per esempio per la morte del padre prima ancora che nascesse il figlio, ecc.) o maschile, che hanno sempre portato nella vita il peso e i doni buoni del loro vissuto. Ma tutti noi portiamo nella vita il peso e i doni buoni del nostro vissuto. Possiamo farci tante domande, per esempio: che cosa fa crescere sano un bambino? Come è complessa la risposta, e quanti elementi e variabili incidono! Certamente sappiamo che la verità fa sempre crescere in maniera sana.
Inolltre – ma qui non ho l’appoggio dell’esperienza – direi che anche la coppia omosessuale può prodigare una buona e adeguata cura ad un bambino, purché non abbia comunque la pretesa di far coincidere tutto con l’esperienza di una famiglia naturale (un babbo e una mamma), come se non ci fosse alcuna differenza e tutto fosse uguale.
Ho introdotto una distinzione tra relazione di cura e relazione generativa d’ identità. Spero che si vada verso un lavoro di leale ricerca non ideologica: l’evento coppia – famiglia – relazione costitutiva – crescita di figli non deve e non può essere sottomesso a nessun tipo di ideologia.
Come affrontare l’educazione di un figlio omosessuale?
Nella mia esperienza ho incontrato tanti genitori di figli omosessuali. Da chi "non fa una piega", non perché è già ben impostato ideologicamente, ma perché vive in maniera amorfa – anaffettivamente, individualisticamente – tutta la vita, fino a chi lo vive con una disperazione tragica, peggio di una morte. Ci sono infatti molti suicidi, non solo fra i ragazzi per la loro omosessualità, ma anche fra i genitori che non reggono alla "vergogna". È una situazione quella dei genitori e della famiglia rispetto alla omosessualità che presenta un grande bisogno di aiuto e di comprensione. Non è certamente pacificato l’ambiente intorno alla famiglia rispetto all’omosessualità e la forte spinta ideologica non ha una capacità di reale aiuto. Resta la domanda sempre più capitale oggi: chi può veramente essere una reale compagnia, un reale aiuto alla famiglia ? La risorsa che la famiglia è per sé stessa e per la società si è come indebolita, la fragilità dei genitori dei ragazzi omosessuali è davvero uno dei segni di una fragilità più grande che interroga tutti noi a tutti i livelli del nostro esistere.
Che cos’è la genitorialità?
E’ un livello di maturazione e, perciò, di realizzazione della persona adulta. Da grandi si accede alla coscienza di ciò che si è irradiato nell’ambiente. Si chiama capacità generativa. Non la identificherei esclusivamente col generare biologicamente o, più in generale, col rapporto adulto – bambino da crescere. La genitorialità è prima di tutto una vibrazione essenziale nel dire “io sono” della persona adulta. Del resto è esperienza di tutti vedere e sapere che si possono avere anche cinque figli e non diventare mai padre e madre; d’altra parte si può essere senza esperienza biologica di paternità e maternità ed essere veramente generativi.
Che impatto hanno sui figli, ma anche sugli adulti coinvolti, queste "nuove forme" di genitorialità permesse dalla tecnica (fecondazioni artificiali, eterologa, madri surrogate ecc)?
Anche qui devo dire che la risposta non può essere fondata da una osservazione dell’esperienza. L’esperienza e l’osservazione di queste pratiche sono ancora troppo poche per poter essere già un giudizio. Assistiamo ad un fenomeno (e nel mondo di oggi non è davvero l’unico) in cui l’uomo afferma con violenza e disordine il suo potere di vita e di morte, la sua autonomia assoluta che non tollera nessun tipo di dipendenza e nessuna accettazione se la realtà nega il proprio desiderio.
Ho constatato nel mio lavoro che, quando la persona è autoreferenziale e non conosce nessuna legge se non quello che vuole, in qualche modo si deformano, si deteriorano i rapporti e le relazioni affettive. Del resto credo che il cancro – epidemia della cultura di oggi siano proprio la relazione strumentale e l’affermazione potente e prepotente di ciò che si vuole contro ogni capacità di stare alla realtà.
Genitori-amici o genitori autorevoli?
Credo proprio sia passato il tempo del genitore-amico. Purtroppo il cambiamento non è proprio nell’ordine del recupero di un’autorevolezza. In generale i genitori introducono il figlio nel mondo adulto senza nessuna cognizione dei reali bisogni dei bambini e delle tappe evolutive: generano cioè un rapporto in cui davvero si è tutti “uguali”. Poi in realtà, non sapendo affrontare il “bambino”, ricorrono sempre di più a punizioni, privazioni, minacce. Siamo comunque molto lontani dall’autorevolezza.
La crisi dell’istituto dell’affido e dell’adozione è legata in qualche modo alla crisi della famiglia? O attiene più alla mancanza di sostegni adeguati da parte di enti locali e politiche nazionali?
Quando nel campo della famiglia, della coppia, dei figli cerchiamo la causa della crisi entriamo in un vespaio incredibile. Questo mi piace, perché è un’ulteriore dimostrazione che nessuna scienza umana, ma nemmeno nessuna scienza – scienza, ha il monopolio della spiegazione delle cause.
Io so che l’affido e l’adozione sono una forma di paternità e maternità che, nella maggior parte delle situazioni, nasce da una ferita, da una mancanza da parte dei genitori e da ferite – a volte veramente serie – da parte dei bambini. Per non parlare poi di tutte le complicazioni burocratiche e politiche nel caso delle adozioni internazionali e delle difficoltà, direi inevitabili, ad offrire sostegni adeguati da parte dei servizi. So che oggi si imputa anche alle pratiche di inseminazione artificiale il calo delle adozioni: non credo sia quella la maggior causa. Oggi la coppia e la famiglia sono abbastanza sole ad affrontare tutta la loro complessa vita.