La testimonianza di un’insegnante di religione di fronte a una studentessa che “si sente a casa” nell’incontro Buddhista
Stranamente questo lunedì è arrivata prima. Di solito entra in aula non prima delle 8 e 10. Oggi, invece, sono le 8 appena ed è la terza ad arrivare. Gloria mi ha sopportato per cinque anni. La prima ora della prima mi disse: "Io non ho voglia di fare religione, ma mia madre mi costringe". Accolsi la sua lamentela dicendole che aveva diritto di far valere la sua scelta e che io non avevo nessuna intenzione di obbligarla ad una cosa che non voleva.
Forse riconosciuta, o tranquillizzata, se ne stette tutto l’anno a decidere, dandomi il minimo sindacale. Ma sentivo che, al di là del suo atteggiamento, aveva delle domande aperte, che infatti lentamente vennero fuori in seconda. Però di fronte ad ogni risposta che sottolineava l’amore di Dio per gli uomini, la sua reazione era sempre di sfiducia e indisponibilità. Così lentamente avevo capito che Gloria cercava altro, un altro tipo di risposta che fosse più capace di sintonizzarsi su ciò che lei sentiva di sé stessa.
Questo lunedì arriva verso la cattedra sorridendo. I suoi profondi occhi neri, spesso inquieti, segnano invece una nota nuova. Mi mette sulla cattedra un librettino azzurro, senza titolo. E mi dice: "Prof. lo sa cos’ è questo?". Lo sfoglio e scopro, con un po’ di sorpresa, che è un piccolo manuale per la meditazione buddhista, secondo la "rilettura" di Nichiren Daishonin. "E’ un libro di preghiere Buddhista", le dico. "Esatto prof. sono stata ad un incontro a Bologna. Una roba splendida!"
"Ah, che bello! – rispondo -. Come mai ti ha stuzzicato?". "Prof. lo sa, io sto sempre strana. Non son mai tranquilla. Mi sbatto per qualsiasi cosa e con un niente vado fuori. È da un po’ che spero di trovare qualcosa che mi aiuti ad uscire da questa roba. Una mia amica mi ha detto che lei era come me, e poi ha trovato nel buddhismo una bella pace. Mi ha invitata e ci sono andata".
"E ti sei trovata bene, mi sembra". "Sì, prof. Non so perché. Mi hanno sorriso quando sono entrata e una ragazza mi è venuta incontro, mi ha abbracciato e si è presentata; si chiama Elena. Mi ha detto che era contenta di conoscermi e ci ha accompagnato dentro il cerchio. Come se fosse una nuova amica, dai. Poi nella presentazione lei si è seduta vicino a me e mi ha detto: "Non ti preoccupare, ti presento io". E così ha fatto, se no io ero imbarazzata. Dopo, un signore ha fatto un lungo discorso che ho capito poco. Ed Elena mi ha detto: "Non ti preoccupare, piano piano capirai, se ti va di continuare".
Poi abbiamo fatto la meditazione. E prof., è stata una roba che mi ha preso dentro. Non so, questa strana musica, fatta solo con le voci, o non so, recitare una roba che non conoscevo. Ad un certo punto ho respirato in fondo, e per un attimo mi sono davvero sentita bene. Era come se fossi a casa, lì. Ho chiuso gli occhi ed era come se fossi … non so… boh.. ecco, cullata, sì, cullata da loro".
Sorride, è contenta. E io con lei. Ma un dubbio, una domanda e una riflessione si affacciano.
Il dubbio. Se dopo cinque anni di ora di religione cattolica, una mia studentessa si trova a casa nel buddhismo devo dire che ho fallito o che ho centrato l’obiettivo? Certo non dipende solo da me, sia nel bene che nel male. Ma la sensazione di non essere riuscito a farle sentire che il Dio di Gesù Cristo la ama ce l’ho. Eppure so che io lavoro perché loro possano arrivare ad una loro scelta, personale, consapevole, qualsiasi sia, che le permetta di far vivere e sviluppare la propria dimensione spirituale. Se così non fosse la dimensione culturale della mia professione sparirebbe, sostituita da quella prettamente evangelizzante. E allora Gesù Cristo è assente dal Buddhismo?
La domanda. Le note che mi racconta Gloria su come lei è stata accolta non possono non farmi pensare alla differenza con cui molte volte (non sempre certo!) noi non facciamo "accoglienza". Soprattutto alla differenza tra una modalità di accoglienza molto "fisica ed emozionale", come quella che Gloria ha sperimentato, e quella troppe volte presente nelle nostre comunità, molto "rituale e fredda". E da come Gloria la racconta, questa differenza è una quota molto rilevante della motivazione che la spinge a "trovarsi a casa" nel buddhismo. Incarnazione vuol dire anche questo? Che la relazione verticale con Dio si nasconde dentro la relazione orizzontale con i nostri simili? È pur vero che una non si risolve nell’altra, ma altrettanto è vero che nessuna delle due può darsi senza l’altra.
La riflessione. È da tempo che penso che oggi la spiritualità non abita più nell’anima, ma nel corpo. Gloria dice: "Ad un certo punto ho respirato in fondo, e per un attimo mi sono davvero sentita bene. Era come se fossi a casa, lì. Ho chiuso gli occhi ed era come se fossi … non so… boh.. ecco, cullata, sì, cullata da loro." Vuol dire che lei riconosce una risposta alla sua ricerca di senso quando la sperimenta nel proprio corpo, non quando mentalmente si convince della verità di tale risposta.
L’esperienza vale molto, molto più della comprensione. E viene molto prima. Ma nella Chiesa l’abbiamo capito?