Una riflessione sul Sinodo della Famiglia
Lo so, mi ero ripromessa di non parlare del Sinodo. Prima di tutto perché una figlia della Chiesa – a cui pure l’autonomia di giudizio non è negata, anzi è incoraggiata – cerca di mettersi sempre in una disposizione di obbedienza, ma molto di più perché non sappiamo realmente di cosa parliamo, finché non ci sarà un documento definitivo (e non mi riferisco tanto a quello che verrà votato il 19 ottobre, perché anche quello sarà preparatorio del sinodo che si chiuderà tra un anno, seppure qualcosa di significativo ce lo dirà).
Ma si dà il caso che oltre a essere figlia della Chiesa sono anche una giornalista, e purtroppo i giornali li leggo, e ascolto anche i briefing nella Sala Stampa della Santa Sede. Vabbè, i giornali si sa, grondano mala fede da tutti i pori (ieri, come notava Mario Adinolfi, su Repubblica il titolo in prima dell’intervista a Scola era “La Chiesa lenta sugli omosessuali”, mentre il testo recitava: “Non è giusto suscitare, direttamente o indirettamente, confusione su una cosa decisiva come la famiglia. Ritengo che la parola famiglia insieme alla parola matrimonio vada riservata all’unione stabile aperta alla vita tra l’uomo e la donna”. Cioè esattamente il contrario del titolo. Una mala fede così sfacciata e maldestra da risultare quasi controproducente (forse di domenica c’era lo stagista a fare i titoli), certo offensiva dell’intelligenza del lettore.
Quanto alla Sala Stampa, si è scelto di non raccontare gli interventi, e di non riferirne gli autori, quindi non è facile per chi deve mediare con i giornalisti raccontare il Sinodo senza svelare niente di decisivo, e alla fine succede che i miei colleghi riportino pressoché indisturbati – cioè senza temere smentite né confutazioni – quello che vogliono loro.
Insomma difficilissimo capire quello che realmente si stia dicendo là dentro. Certo non si può negare che sulla questione dei divorziati risposati gli animi si stiano accendendo. Si continua a dire, in sintesi, che la dottrina non cambierà, ma che bisognerà adottare l’ermeneutica della misericordia voluta dal Papa. E da lì giù a discutere e a fare ipotesi (ma se una è lasciata, ma se lui non ha colpa, me se lei tira su i figli di un altro, ma se ma se ma se).
A me sembra, forse la sto facendo troppo semplice, che la vera quadratura del cerchio sia semplicemente ricordare che la giustizia deve necessariamente essere universale, la misericordia non può che essere personale, individuale, singolare. La giustizia personale non funziona, a tutti noi istintivamente suscita una ribellione immediata.
Ma allo stesso modo una misericordia universale, incondizionata, una specie di tana libera tutti, anche quella non funziona. Perché perdonare tutto e tutti in modo universale, senza guardare veramente alla singola vita, alla storia, al cuore, alla coscienza, è prima di tutto una mancanza di amore verso il peccatore, paradossalmente.
Una mamma, per esempio, lo sa bene: il figlio vuole essere guardato anche quando si ribella. Anzi a volte lo fa proprio per quello, è una richiesta di uno sguardo. Oppure è semplicemente uno sbagliare per seguire se stesso, ma anche in quel caso ha un bisogno profondo di qualcuno che gli dica che ha sbagliato. Quella è la vera misericordia verso di lui. “Io voglio peccare senza il consenso dei vescovi” ha scritto Giuliano Ferrara in una di quelle sue felicissime sintesi che per me da sole lo collocano nel mio personale empireo dei geni viventi (nel quale sta anche Totti, peraltro).
Chi sbaglia non può che partire dal riconoscimento del proprio errore per cominciare a perdonarsi (perché i giudici più severi di noi stessi siamo noi). Gli altri, quelli che stanno lì al proprio posto magari a fatica, magari tra i dubbi, sono certamente custoditi nella loro fedeltà dalla certezza del fatto che se dovessero cadere la misericordia non sarebbe garantita, facile, generalizzata e incondizionata, ma qualcosa in cui si può sperare solo dopo un incontro personale e singolare con una Persona, una Persona che vale la pena di andare a cercare, per chiedergliela, questa misericordia.