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La battaglia di Lepanto e la libertà religiosa

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Pablo Yurman - Aleteia - pubblicato il 08/10/14
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La battaglia chiave che ha segnato il destino dell’Occidente vista con gli occhi di oggi
La battaglia di Lepanto, avvenuta il 7 ottobre 1571, è forse nota a livello popolare perché vi combatté l’autore del “Don Chisciotte”, Miguel de Cervantes Saavedra, che a causa di una ferita subita perse la mobilità di un braccio, il che da allora gli valse il soprannome di “monco di Lepanto”. Non c’è dubbio sul fatto che il suo capolavoro, che rappresentava gli ideali massimi dell’ispanicità, sintesi del Secolo d’Oro spagnolo, debba molto a quella battaglia.

Non è un’esagerazione dire che quel 7 ottobre ha sigillato il destino dell’Europa, e con esso quello di buona parte del mondo nei secoli successivi. Nel golfo di Lepanto, di fronte alle coste greche del Peloponneso, si scontravano due cosmovisioni: da un lato la Lega Santa, composta da Spagna, Stati Pontifici, Venezia, Genova e Malta, che rispondendo alla richiesta di papa Pio V, e davanti alla vergognosa indifferenza di Inghilterra e Francia, riunirono 200 navi da guerra; dall’altro i turchi, che professavano la religione musulmana e costituivano già un grande impero che non cessava di avanzare sull’Europa e aveva il controllo navale nel Mediterraneo. Contava su una forza navale simile a quella cristiana, ma con molti più uomini arruolati per il combattimento.

Il riferimento al fatto che a Lepanto si scontrarono due cosmovisioni non riguarda solo il dato religioso, che ad ogni modo fu forse l’elemento di maggior spicco di quella giornata. L’Europa che resisteva all’invasione ottomana su richiesta del papa era quella che uscendo dal Rinascimento si sarebbe avventurata nel pieno del Barocco e che, dopo aver elaborato una sintesi tra fede e ragione, assumeva l’esistenza di un ambito spirituale e di uno terreno.

Le truppe cristiane, guidate tra gli altri da Giovanni d’Austria e da Andrea Doria, misero fuori gioco i musulmani, guidati da Mehmed Pascià. Il trionfo è stato sempre attribuito all’intercessione della Vergine Maria nella sua invocazione di Nostra Signora del Rosario, perché il pontefice veniva dall’ordine dei Domenicani, che iniziarono la tradizionale recita del Santo Rosario, e perché si mise il destino del continente nelle sue mani. È per questo che ogni 7 ottobre, oltre a ricordare quel combattimento, si celebra anche la festa di Nostra Signora del Rosario.

Lepanto e i diritti umani

Se Lepanto salvò l’Europa come ambito culturale con le caratteristiche sottolineate, bisogna chiedersi se questo concetto non affronti oggi nuove incursioni nemiche che ne sfidino l’essenza.

Forse il quid della questione culturale in un’epoca agitata e conflittuale come quella che attraversiamo è stato messo nero su bianco da papa Benedetto XVI, che nel suo discorso ai parlamentari tedeschi riuniti nel Reichstag il 22 settembre 2011, caratterizzando l’Europa come qualcosa di più complesso dell’aspetto meramente geografico o economico, ha detto: “Sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire.

Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura nel suo insieme e la priverebbe della sua interezza. La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa”.

Secondo il giurista spagnolo Rafael Navarro-Valls, l’Europa non è solo un elemento geografico, ma un concetto culturale, frutto dell’incontro successivo ma non escludente di tre colline: il Golgota, l’Acropoli e il Campidoglio. Metafora che ci ricorda che siamo frutto, pur se in una geografia certamente molto più ampia, della fede ebraico-cristiana, della ragione e della filosofia greche e del diritto romano.

Quel discorso di Benedetto XVI punta a rafforzare un’idea chiave: quella che oggi conosciamo come teoria dei diritti umani, o in altre parole la base razionale secondo la quale l’uomo non può essere spogliato ingiustamente di certi diritti che gli sono dovuti per natura, non è sorta in altri ambiti culturali, come quello dell’Estremo Oriente, dell’India o dell’Africa. No, è sorta e si è perfezionata nell’Europa della fine del Medioevo e dell’inizio del Barocco. Non può essere frutto del caso, ma di una congiuntura di fattori.

Sarebbe il caso di riflettere sulla legittimità e sull’impatto di tutto ciò che, obbedendo a mode circostanziali (panteismo, irrazionalismo, laicismo intollerante, capitalismo selvaggio…), mina queste basi, perché equivarrebbe a tagliare le radici culturali dei nostri popoli.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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