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Il Gaudí sconosciuto: oltre ad architetto geniale, cristiano coerente

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Religión en Libertad - pubblicato il 07/10/14
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Intervista al presidente dell’Associazione Pro Beatificazione di Antoni Gaudí, José Manuel Almuzara
José Manuel Almuzara è dal giugno 1992 il presidente dell’Associazione Pro Beatificazione di Antoni Gaudí (gaudibeatificatio.com), associazione civile che ha come obiettivo principale quello di ottenere la beatificazione del geniale architetto e mira a divulgare i suoi tratti spirituali e artistici. In questa prima settimana di ottobre ha partecipato al primo Congresso Mondiale di Gaudí a Barcellona (www.gaudicongress.com/es/).

L’Associazione è una delle parti del processo canonico della causa di beatificazione, avviata nell’aprile del 2000 e chiusa solennemente nel maggio 2003. Dal 9 luglio 2003 è aperto ufficialmente il processo presso la Congregazione delle Cause dei Santi.

Almuzara ci parla del Gaudí sconosciuto, l’uomo, il santo, l’uomo per l’eternità, modello di virtù cristiane.

C’è già un miracolo per la beatificazione? Una data?
Abbiamo presentato vari miracoli, ma al momento non c’è nulla di provato. Se Dio vuole, l’anno prossimo. Prima di andare dal papa a marzo, ho incontrato il relatore della causa di beatificazione e la postulatrice. Le ho chiesto quando credeva che sarebbe stato dichiarato venerabile e mi ha detto nel 2015, prima o dopo l’estate.

La postulatrice mi ha chiesto che data mi sarebbe piaciuta. Ho risposto che nel mese di giugno cadono sia la data della sua nascita che quella della morte. Poi il 3 novembre è il giorno in cui Gaudí è entrato nella Sagrada Familia. Dichiararlo venerabile è dichiarare che quest’uomo, per la sua vita e i fatti che sono stati studiati, è degno di essere venerato in devozione privata.

Antoni Gaudí i Cornet è un architetto locale o un creatore che si può proporre a tutti?
Posso riassumerlo con una frase di Benedetto XVI: “Architetto geniale e cristiano coerente”. Già solo sviluppare questa definizione sarebbe sufficiente. La genialità di un architetto interessa tutti, e che ci sia un cattolico coerente tra i 1.200 milioni che siamo, che dire… Quanto più siamo coerenti, meglio è…

Dal punto di vista professionale, possiamo proporlo come modello per gli architetti: umano e cristiano, un uomo universale. Nell’aspetto architettonico, la sua architettura è innovativa, si basa sulla natura. È inoltre un pioniere nell’aspetto umano, nel modo di trattare i suoi operai, nel modo in cui si prende cura della sua famiglia, nella sua coerenza di carattere e personalità.

Gaudí diceva che il lavoro è il frutto della collaborazione, e questa collaborazione deve basarsi sull’amore. L’architetto deve conoscere le qualità di ciascuno dei suoi collaboratori. Ciò che conta, quindi, è scoprire a cosa serve ciascuno, perché nessuno è inutile.

Così, se José era più alto di Pepito, serviva di più per certe cose, e quell’operaio sarebbe stato più felice di utilizzare le proprie risorse personali, il suo modo di essere, idoneo per quel tipo di lavoro, e l’opera sarebbe uscita meglio.

Come conseguenza di questo modo di pensare, rende un omaggio agli operai nella Sagrada Familia, in un luogo che passerà inosservato, tra il chiostro e le navate laterali della chiesa. Si creano lì dei cortili nelle cui volte degli archi Gaudí installa una specie di trapezio isoscele invertito. Nella parte inferiore colloca gli strumenti di ciascuno dei suoi operai.

Con questo ci dice che senza di loro non avrebbe potuto realizzare l’opera. Unisce così l’aspetto umano con quello divino. Esemplare, no? E rappresentativo, come lo è il fatto di portare in una tasca il rosario e in un’altra le nocciole.

Nocciole? A cosa servivano?
Per nutrire il corpo, e il rosario per nutrire lo spirito.

Gaudí aveva una missione o una sottomissione? Ha compiuto degli esercizi spirituali prima di iniziare il suo capolavoro…

Prima di iniziare la Sagrada Familia, nei manoscritti che scrive a Reus poco dopo la laurea in Architettura nel 1887, già dice che per un architetto la cosa più bella del mondo è poter costruire una chiesa, perché è per Dio.

Così, quando a 31 anni gli affidano il progetto di direzione e costruzione della Sagrada Familia in sostituzione di Villar, la prima cosa che fa è portare avanti il progetto di Villar. Elevare di più la cripta. Ma poi affronta la sua idea e il suo progetto, e allora compie un ritiro perché pensava: se voglio imitare Cristo, devo procedere come Lui, seguendo il racconto evangelico.

È a tal punto così che Torres i Bages dovette richiamare la sua attenzione perché non mettesse in pericolo la sua salute e la sua vita. Ma il suo affanno era solo quello di imitare Cristo.

Gaudí passa quindi a riempirsi dell’opera di Dio: si considera un collaboratore nella creazione perché non si riteneva come Subirachs, che dice: “Io sono un creatore”. Subirachs ha posto solo una condizione facendosi carico della sua parte dell’opera: poter sviluppare il proprio progetto. Gaudí, invece, si considerava semplicemente un collaboratore: la Creazione è l’opera di Dio.

Si immerge nello studio della natura, la analizza e applica le sue leggi alla sua architettura. Poi collabora, e il collaboratore si sente un uomo fortunato, che ha delle virtù che riconosce con umiltà. Come un buon collaboratore di Dio.

È un’umiltà che dà frutto…
Porto sempre ad esempio il caso di Etsuro Sotoo. Il giapponese Sotoo, scultore capo della Sagrada Familia, ha iniziato a lavorarci nel 1978. Ha professato il buddismo fino al 1991, quando si è convertito al cattolicesimo. Qual è stata la sua filosofia? Guardare dove guarda Gaudí.

Se guardi dove guarda Gaudí sei umile, sei semplice, sei come un bambino. Non ti conformi davanti alle cose negative. Sei un lottatore. Esorti il tuo personale. Collabori con gli altri. Tutti siamo importanti. Nessuno è inutile, tutti servono, sia gli architetti che gli artigiani.

Qual è il carattere specifico del tempio della Sagrada Familia?
È un tempio espiatorio. Gaudí sa perché si sta costruendo il tempio espiatorio della Sagrada Familia. Mi piace sempre ricordare la storia del tempio espiatorio perché a volte qualcuno si sbaglia.

Bisogna ricordare l’atto della posa della prima pietra, perché lì si dice chiaramente che la Sagrada Familia è un tempio espiatorio, in seguito dedicato alla Sacra Famiglia, anche se all’inizio era dedicato a San Giuseppe. L’Associazione, e padre Manyanet come ispiratore di questa, decidono di dedicare il tempio alla Sacra Famiglia.

Gaudí sa come architetto che assumendo questo progetto il suo cliente è Dio, e arriva a dire: “el meu Client no té pressa” [il mio Cliente non ha fretta]. Cosa cambiava finirlo nel 2000 o nel 2050? Se è per Dio si basa sulle donazioni, sull’amore e sulla carità, e l’amore è eterno. Allora si sforza di far sì che il progetto attiri la gente.

Ed è riuscito ad attirare molte persone…
Ecco la chiave dell’Associazione, fondata nel 1866 e che nel 1878 arriva ad avere 500.000 soci: costruire un tempio espiatorio dedicato alla Sacra Famiglia per compensare i problemi degli uomini nella società in generale e in quella catalana in particolare.

500.000 persone sono molte. Quando parlo a un gruppo di giovani, dico sempre che è già notevole parlare di 500.000 persone che pagano una quota per vedere il calcio, quanto più se invece sono 500.000 persone disposte a chiedere aiuto a San Giuseppe nei momenti difficili. Com’è possibile che una persona che costruisce una cripta poi costruisca un abside e una facciata? È atipico. Noi architetti costruiamo in orizzontale, non in verticale. Perché lascia una facciata? È come la sua strategia di marketing, perché dicano “Che bello!”…

Come conseguenza ci sono sempre più donazioni, e poi prima di morire pronostica “Verrà gente da tutto il mondo per vedere la Sagrada Familia”. Oggi se passi un po’ di tempo qui e vedi tutta questa gente ti chiedi: “Da dove vengono?” Spettacolare, è una profezia.

La Sagrada Familia interpella in qualche modo la società catalana di quell’epoca, e anche quella attuale. Il fatto che sia una catechesi, un compendio teologico in pietra, ti interpella su come tu rispondi a tutto questo, se parli con Dio.

Questa chiesa, però, è fatta per il popolo. Questa Barcellona tanto fredda, tanto indifferente, tanto quasi anticristiana vede come la Sagrada Familia si elevi nel centro geografico della città: ciò che prima era lontano dal centro, ora ha alla stessa distanza il nord, il sud, l’est e l’ovest. È diventata la nuova cattedrale d’Europa. Siamo i primi a dirlo.

In questo tempio molti vedono un catechismo in pietra, un parco tematico della fede…
Gaudí era l’ultimo di cinque fratelli, figlio di una madre molto devota alla Vergine della Misericordia di Reus. È stato battezzato, com’era tradizione, il giorno dopo la nascita, ed è stato educato dagli scolopi a Reus.

Anche se alcuni autori dicono che a volte è stato freddo nei confronti della Chiesa, e in qualche momento anche contrario ad essa, non credo che sia stato dimostrato. La prova è che nei manoscritti di Reus parla di quanto sia meraviglioso per un architetto costruire un tempio per Dio e della bellezza nell’ornamentazione nella liturgia.

Come conclusione, possiamo assicurare che teologicamente parlando il significato della sua architettura arriverà sempre più in alto.

Ciò che sorprende maggiormente nel tempio della Sagrada Familia è l’interno. È semplicemente spettacolare. È un bosco di pietra. E le pale sono lì: la Nascita, la Gloria e il Dolore. Seguendo i misteri del rosario, la Nascita, ad est, seguendo Gesù che nasce.

Nelle facciate secondarie, che sono l’est e l’ovest, la nascita e la passione, Gaudí colloca tre archi, tre parabole invertite, che rappresentano le tre virtù teologali.Gaudí ci sta facendo pensare: “Se tu e io vogliamo entrare nella Chiesa e rimanere in essa, nella nostra libertà, sono importanti la fede, la speranza e la carità”. E pensa: qui ci saranno sette porte.

Se analizziamo le tre facciate secondarie, ci rendiamo conto del fatto che la carità viene posta al centro; la parabole inoltre è maggiore, perché la carità è eterna, mentre le altre due virtù teologali, la fede e la speranza, sono caduche.

In seguito ci si rende conto del fatto che Maria è una donna di fede e di speranza, mentre Gesù incarna direttamente la carità: amore di un Dio che si fa Uomo. Non è una scultura posta lì a caso. Come conseguenza, e anche perché Gaudí mostra sempre un’unità nel suo criterio, nella facciata della Passione dispone che si collochi al centro la Carità. E questo lo abbiamo perso, direttamente.

Subirachs mise da parte il progetto originale di Gaudí?
Gaudí disegna un progetto dopo due mesi di malattia a Puigcerdá, sul punto di morire, e include dettagliatamente l’ordine nel quale collocherà le sculture. Che poi le realizzino Subirachs, Sotoo o qualunque altro artista di fama mondiale va bene, ma la collocazione, il motivo della collocazione, non si può toccare. E la differenza tra l’aspetto attuale e quello che pensò Gaudí grida al cielo. Quando guardamo le sculture di Subirachs – e non entrerò nel merito se piacciano o meno, o se siano rigide, dure, cubiste o espressive –, il percorso visivo sulla facciata adotta la forma di una S. Non sono più la Fede, la Speranza e la Carità di Gaudí nella parabola, al centro, nel punto più importante. Se nella facciata principale vediamo la nascita, qui 
Gaudí ha pensato con tutta la logica di collocare la morte sulla croce. Sembra fondamentale, no?

Seguendo la vita di Gesù, che dice con la lavanda dei piedi che dobbiamo essere servitori, aggiunge “Ma non preoccupatevi, non vi abbandono”: e lì ci lascia l’istituzione dell’Eucaristia. Ci insegna poi quanto sia fondamentale la nostra preghiera. La scena della preghiera nell’orto è l’asse verticale dell’amore di Dio per gli uomini.

Cosa fa Subirachs? Mette la S e in mezzo ci si imbatte nella flagellazione. Non solo questo: nell’ultima cena, che è la prima scena in cui non ci sarà spazio fisico per i 13 personaggi semplicemente perché non c’entrano, mette una pietra sulla quale scolpisce: “Quello che fai, fallo al più presto”.

La storia del “fallo al più presto” cozza con il pensiero di Gaudí, che rifuggiva l’idea della fretta, perché insisteva sul fatto che il suo “Cliente” non aveva fretta. Non trasmette il messaggio di Gaudí. E inoltre la frase biblica non dice “quello che fai”, ma “quello che devi fare”…

L’aspetto più trascendente nell’Ultima Cena è l’oblazione del corpo e del sangue, “prendete e mangiate”, “prendete e bevete”. Subirachs, tuttavia, riassume ciò che accade nell’Ultima Cena in questa frase, secondaria.

Gaudí aveva una visione personale dell’antropologia della persona umana?
A 27 anni erano morti i suoi quattro fratelli e la madre; si prese cura di Gaudí e del padre dell’artista la nipote Rosita, figlia della sorella maggiore di Gaudí, Rosa, l’ultima a morire. Egli cercò di sposarsi un paio di volte, ma sembre che in entrambe le occasioni le signore abbiano deciso di sposare altri santi uomini.

A causa di ciò si mise ad analizzare le virtù che possedeva, e promosse così l’amore per la creazione e studiò le leggi della natura per applicarle.

Un aspetto di questo è il fatto di fare le cose perché siano utili e belle. Non fa nulla che sia solo bello, ma perché sia sempre bello e utile. Perché realizzare una sedia che sia bella e non serva a sedersi? Realizzava anche lampade, o sedie per i sacerdoti nel presbiterio.

Uno dei suoi discepoli mi ha raccontato che queste sedie erano di legno massello. Avevano nei braccioli una scanalatura per far riposare meglio le braccia, e in questo modo il sacerdote era più a suo agio e se era troppo stanco non si addormentava.

Dietro incideva le parole Gesù, Maria e Giuseppe; alfa e omega. Bello ma sobrio. Solo questa piccola comodità.

Con il confessionale che costruì 100 anni fa dimostrò di essere un innovatore. C’era spazio perché il penitente si sedesse, c’era il paravento perché la donna non fosse direttamente davanti al sacerdote e altri dettagli propri di un innamorato di Dio.

Dalla fine del 25 al giugno del 26 del secolo scorso, Gaudí ha vissuto nella Sagrada Familia. Era già anziano, il suo amico Matamala era malato e non poteva accompagnarlo. Per non stare da solo nel parco Güell, decise allora di rimanere nella Sagrada Familia.

Immaginate un 7 giugno un uomo di 73 anni, un genio dell’architettura, in piena dedizione all’elaborazione di un lampada, dire al suo aiutante: “Domani vieni presto che faremo cose molto belle”.

Quando si analizza questo ci si rende conto che per quest’uomo perfino una lampada era motivo per alzarsi all’alba e animare il suo aiutante. Poi va e gli dice: “Devo lasciarti perché vado a San Filippo Neri”. Un uomo che fa cose incredibili come la Casa Batlló e la Pedrera!

Dove vediamo la sua santità? Perché non sarà perché era un genio dell’architettura o perché realizzava questi edifici meravigliosi…
Chi si è reso conto che Gaudí riuniva in abbondanza condizioni per far pensare che fosse un uomo santo è stato il reverendo Ignacio Segarra. Sembrava che la santità fosse una cosa solo da religiosi, gente di convento, suore, parroci…

Seguendo la linea del Concilio Vaticano II e la sua dottrina sui laici, che non è altro che quella dei primi cristiani, e alla quale ha dato un enorme contributo San Giovanni Paolo II nella sua predicazione in tutto il mondo e nei suoi incontri con milioni di giovani nelle Giornate Mondiali della Gioventù, vediamo che non solo la santità è possibile nel mondo, ma che la vita quotidiana stessa è un cammino di santità.

Mosén Ignasi era il mio direttore spirituale. Conosceva la mia storia con Etsuro Sotoo, che nel novembre del 1991 ha deciso di battezzarsi nella Chiesa cattolica. Nella Settimana Santa di quell’anno è andato a degli esercizi spirituali e lo ha accompagnato Josep María Tarragona. Io all’epoca non conoscevo Tarragona, che aveva scritto un libro su Gaudí.

Il dottor Segarra ha letto il libro nel suo tempo libero, mi ha chiamato e mi ha detto: “José Manuel, come mai nessuno ha pensato ad avviare un processo di beatificazione? Si tratta chiaramente di un sant’uomo”.

È stato colpito dagli aneddoti di come parlava con Unamuno, con il re, con i suoi operai, con i suoi clienti. Mi ha proposto di istituire un’associazione alla quale avrebbero partecipato lui e Josep María Tarragona. Io per conto mio ho invitato Sotoo e un altro architetto che conoscevo da prima, dall’epoca in cui studiavo. Noi cinque abbiamo fondato l’associazione.

All’inizio la gente si sorprendeva: Gaudí architetto, genio, ma addirittura santo! Martí Bonet ha scritto un lungo articolo in cui rifletteva il suo pensiero per cui era una cosa strana. In seguito lo abbiamo invitato a presentare un libro sugli scritti usciti dopo la morte di Gaudí.

Lo ha letto tutto d’un fiato il giorno prima della presentazione e pubblicamente – poi lo ha scritto su El País e su altri media – ha intonato il suo mea culpa perché, come seguendo la procedura della Confessione, ha voluto confessare il suo peccato e compiere la penitenza. Da quel momento ha amesso di essere giunto alla conclusione che Gaudí doveva essere dichiarato santo.

C’è una cosa che non è pubblica, una di quelle cose che mi sono rimaste dentro: ho conosciuto il padre di Martí Bonet e Jordi Bonet, Lluís Bonet. Per me è stato come un nonno, ed è stato lui a introdurmi nel mondo della Sagrada Familia. Jordi Bonet è l’architetto capo, quello che ha dato le chiavi al papa.

Jordi Bonet ora ha 87 anni e suo fratello è sacerdote e parroco della Sagrada Familia. Jordi Bonet, architetto capo dei lavori della Sagrada Familia, figlio di un discepolo di Gaudí, diceva: “Això és una bogeria” ["Questa è una pazzia"].

Gliel’ho detto un giorno in aereo venendo da Milano, dove eravamo andati a partecipare a una conferenza: “Jordi, com’è possibile che tu abbia detto che è una ‘bogeria’ la storia della beatificazione di Gaudí? Mi ha fatto capire che forse si è sbagliato, non quanto a Subirachs e alla sua opera, ma alla collocazione delle scene, nella quale si è perso il simbolismo che Gaudí voleva includere nella sua opera”.

Una persona che vede solo l’arte non vede oltre, perché per lei è lo stesso che la flagellazione sia qui o lì, ma se pensiamo a quello che ho appena detto sulle virtù, l’amore di Dio, il modello di uomo che propone Gesù, la cosa cambia. Qualche dettaglio meno noto di Gaudí?

Uno può essere l’orario di lavoro: dopo essersi alzato e lavato andava a Messa. Poi andava a prendere un caffellatte e una pasta, scendeva andando verso la Sagrada Familia, pregava nella cripta in ginocchio per terra davanti al Santissimo prima di iniziare a lavorare e poi lavorava, fermandosi solo un momento per la recita dell’Angelus, fino alle 17.30. In quel momento andava all’oratorio di San Filippo Neri e partecipava ai Vespri.

A volte parlava con il suo rettore e avevano conversazioni profonde sulla liturgia. Si confessava e poi prendeva il tram.

Un altro dettaglio era l’importanza di essere come bambini: immaginate un signore come Gaudí, architetto, geniale, adulto, e al lato un architetto giovane che lo ammira, che lo rispetta, che prende note, sorpreso quando a metà pomeriggio Gaudí lo ferma e gli dice: “Vado alla Merced a dire cose belle alla Madonna”.

In questa prima settimana di ottobre si celebra il primo Congresso Mondiale di Gaudí a Barcellona. Quali sono gli obiettivi scientifici ed educativi del convegno?
In questo primo Congresso Mondiale di Gaudí vogliamo mostrare alla gente il metodo di lavoro di Gaudí. Può essere il momento per iniziare a unire gli sforzi di tutti noi a cui piace Gaudí o che abbiamo imparato da lui, perché finora si è cercato un po’ il protagonismo, la medaglia; deve diventare un punto di incontro in cui ciò che conta è Gaudí.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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