Un libro aiuta ad affrontare i conflitti in famiglia in modo sano
“Non litigare mai è impossibile, ma lo si può fare sempre con intelligenza”. Questa è la frase che ispira il libro di Stephanie Schneider “Quando litigare fa bene” (San Paolo), che insegna come affrontare le divergenze familiari in modo costruttivo.
Litigare, sottolinea l’autrice, vuol dire non essere indifferenti e rivelare un pensiero ben preciso: “Tu sei così importante per me che mi agito. E se mi batto per qualcosa, dimostro che m’importa”.
Visto però che litigare è “maledettamente faticoso”, perché lacrime, urla e tensione mettono a dura prova le nostre forze, è consigliabile farlo solo con le persone a cui si tiene, perché con tutti gli altri è tempo e fatica sprecata.
Allo stesso modo, non bisogna avere aspettative troppo alte. “A volte esiste un unico rimedio: allentare la presa e tenere la bocca chiusa!”.
La Schneider osserva poi che “diventiamo litigiosi quando ci sentiamo trattati ingiustamente; siamo delusi o scontenti o abbiamo paura di non essere più amati”.
Dietro tutto ciò, osserva, “si nasconde un paradosso: il più delle volte chi attacca briga vuole che gli altri siano gentili con lui”. Questa tattica, riconosce, “però non funziona particolarmente bene. Con i complimenti si giungerebbe probabilmente molto prima allo scopo che con le recriminazioni. Nonostante ciò, ci ostiniamo a seguire questa discutibile strategia. È per questo che ho memorizzato la seguente frase e l’ho scritta sullo specchio del nostro bagno: Chi attacca briga ha bisogno di coccole! Questa frase non rende più gentile chi incontro, ma ha il dono di tranquillizzarmi. Se in situazioni difficili tengo presente quel che sta dietro alle aggressioni degli altri, la mia esigenza di combatterli improvvisamente svanisce. Talvolta il castello di carte che abbiamo costruito durante il litigio crolla in un baleno appena smetto di discutere e vengo minimamente incontro all’altro”.
La Schneider suggerisce poi un paragone tra “una buona pasta frolla e una lite in famiglia”. Cos’hanno in comune? “Per cavarne qualcosa di buono bisogna farle riposare tutte e due per un po’. Schiacciate il tasto ‘pausa’ quando la tensione aumenta”. Il “programma segreto per raggiungere il benessere di genitori è figli” sono tre paroline: “lasciamici riflettere sopra”.
“In fondo litighiamo perché c’è un problema e vogliamo cambiare qualcosa. Ma più ci agitiamo tutti quanti e meno probabile diventa trovare una soluzione. Molti piccoli motivi di conflitto si risolvono da soli lasciando trascorrere un po’ di tempo. E i problemi davvero gravi? Beh, quelli restano comunque. Una mezz’ora in più non può certo sciogliere i nodi critici che accompagnano da sempre la vostra vita”.
Litigare, sostiene la Schneider, è dunque “normale e sano”, ma quand’è che si raggiunge il limite? A suo avviso quando ci si pone una domanda: “Questo litigio alla fine dei conti migliora o peggiora la mia vita?”
Litigare, spiega, peggiora la mia vita quando “ci arrabbiamo e abbiamo da ridire su qualunque cosa senza sapere neanche noi bene perché”, “se con ciò ci facciamo passare senza alcun motivo il buonumore, rinunciando a trascorrere un paio di ore piacevoli”, se “qualcuno viene costantemente sottomesso o umiliato”, quando il litigio “nuoce alla relazione con mio marito o i miei figli invece di rafforzarci e di allenare la nostra capacità di affrontare conflitti” e “ingigantisce il problema invece di avvicinarci a una soluzione”.
Il litigio migliora invece la vita se “così supero finalmente le mie resistenze e affronto un problema di fronte al quale chiudo sempre gli occhi”, “mi scuote e sto ad ascoltare qualcuno, di cui fino a quel momento ho ignorato i problemi”, “i nostri figli si rendono conto che scenate del genere fanno parte della vita e prima o poi passano”, “la riappacificazione finale ci dà l’impressione di essere ancora più uniti”, “mostra che nella nostra famiglia ognuno può dire la sua e ci sono argomenti validi a favore di entrambe le posizioni”.
Il litigio, del resto, serve non per vincere, ma per mettersi d’accordo. Non bisogna battersi “contro” qualcosa, sostiene la Schneider, ma “per” qualcosa.
Particolare attenzione va poi riservata ai bambini, che hanno dei “sensori speciali” che a volte fanno loro percepire come gravi anche piccoli disaccordi. Allo stesso modo, hanno bisogno di sapere che litigare è normale e non può minare il rapporto. “Chi da bambino fa l’esperienza di essere perdonato nonostante i suoi sbagli e i suoi difetti”, scrive l’autrice, “da adulto saprà perdonare se stesso e gli altri”.
E allora, alla fine di un litigio, non c’è niente di meglio che una bella riappacificazione. “Non tutti se la sentono di balbettare delle spiegazioni inginocchiandosi e implorando il perdono fino al grande abbraccio finale”, “ma si può ottenere ‘un po’ di pace’ anche senza parolone e sviolinate”. “Chi ce l’ha fatta a terminare una lite, ha anche diritto a una ricompensa”.