Arrestati sei fedeli protestanti per aver commesso il reato di “preghiera”
Vietato pregare e invocare Dio. Non siamo in Iraq e non c’è l’Isis dietro la repressione dei cristiani. Ma siamo nel Sud Est asiatico, dove è sempre più allarmante la situazione del Laos, piccolo stato di 6 milioni di abitanti, di cui il 2% cristiani (0,7% cattolici). Le autorità governative stanno attivando una strategia di graduale repressione nei confronti del credo cristiano, intimorendo coloro che lo praticano.
IL REATO DI PREGHIERA
Una situazione che non è sotto i riflettori della comunità internazionale, più concentrata su fronti bollenti come quelle iracheno. Eppure lo scenario religioso nel Laos meriterebbe più attenzioni. Asianews (30 settembre) afferma che il capo villaggio di Boukham, provincia di Savannakhet (Laos occidentale), assieme ai responsabili della sicurezza e ai vertici della polizia, ha arrestato il pastore cristiano protestante Sompong Supatto e altri sei fedeli. Sono tutti incriminati per aver esercitato il diritto alla libertà religiosa, incontrandosi per un momento di preghiera nella casa del leader protestante Supatto.
IN MANETTE PER AVER INVOCATO DIO
Testimoni locali riferiscono che le autorità hanno fatto irruzione mentre il pastore e i sei fedeli stavano pranzando, dopo aver terminato le celebrazioni della domenica mattina (28 settembre). Tutti i membri della comunità sono stati prelevati e rinchiusi negli uffici governativi del villaggio di Boukham. Al pastore, a differenza dei sei fedeli, gli agenti hanno anche legato mani (con le manette di ordinanza) e piedi. La settimana precedente, le autorità del villaggio avevano emanato un decreto che proibiva ai cristiani di riunirsi per pregare.
IL PRECEDENTE DELLE STUDENTESSE
La vicenda, come denuncia Human Rights Watch for Laos Religious Freedom (Hrwlrf), è avvenuta nella stessa provincia in cui, a maggio, tre studentesse cristiane non hanno potuto sostenere gli esami scolastici di fine anno a causa della loro fede. E qualche settimana più tardi, a fine giugno, un capo villaggio locale ha impedito la cerimonia funebre e la sepoltura di una donna cristiana neo-convertita.
CACCIATI DI CASA COME IN IRAQ
Episodi che sono solo la punta dell’iceberg. Basti pensare alle assurde repressioni, subite tra il 2010 e il 2011 da 30 famiglie di un villaggio del Sud del Laos, cacciate via di casa per non aver abiurato il cristianesimo, e ammassate per settimane in un centro d’accoglienza. Storie che fanno venire alla mente alle persecuzioni subite dai cristiani, in questi mesi, nella piana di Ninive in Iraq.
UNA MINACCIA PER I BUDDISTI
Anche se i cristiani sono solo il 2 per cento della popolazione, scrive Tempi.it (30 settembre), sono molto temuti dalle autorità di questo paese, chiuso tra Vietnam, Thailandia e Cambogia. Se il buddhismo theravada, il più diffuso in Laos, gode del pieno sostegno a livello governativo sotto forma di fondi e sussidi, il cristianesimo, soprattutto se abbracciato da membri della minoranza etnica Hmong, viene considerato di «importazione americana» e quindi «una minaccia» in grado di minare la stabilità e il modello politico e sociale imposto dal Partito comunista.