Secondo il CENSIS gli italiani desiderano avere figli, ma spesso troppo tardi e per le ragioni sbagliateIn un Paese dove crolla la natività, le ragioni della fertilità e quelle delle condizioni economiche e sociali si incrociano necessariamente. Questa è stata l’intuizione della ricerca promossa dal CENSIS e sostenuta dalla Fondazione Ibsa, “Diventare genitori oggi. Indagine sulla fertilità/infertilità in Italia” che è stata presentata questo mercoledì. Il quadro che emerge è quello di una cittadinanza nella quale la consapevolezza, notevole nonostante la scarsezza e spesso confusione delle informazioni reperibili, si mischia ancora ad alcuni pregiudizi di carattere culturale. C’è voglia di avere figli, ma tanta paura; e spesso, quando ci si decide, è troppo tardi. Per questo, dunque, ci si rivolge a metodi di fecondazione vari, sui quali i pareri sono assai divisi. Aleteia ha intervistato la dottoressa Ketty Vaccaro, responsabile Welfare e salute del CENSIS, che ha illustrato i contenuti di questo studio che lei stessa ha curato.
Come nasce questa ricerca?
Vaccaro: Abbiamo cercato di comprendere non solo come viene vissuto il problema specifico dell’infertilità, ma anche che cosa pensano oggi gli italiani del diventare genitori. Si è voluto affrontare il tema sotto un profilo ampio. Ci siamo basati su un’indagine di un campione di 1.200 persone rappresentative della popolazione italiana adulta, alle quali abbiamo chiesto innanzitutto che cosa pensano dell’essere genitori. Successivamente abbiamo cercato di approfondire con loro anche l’aspetto sociale, chiedendo che cosa significa essere genitori, nel senso della natalità, della procreazione e della scelta di avere un figlio; infine abbiamo analizzato l’aspetto più specifico, quello dell’infertilità. Noi riteniamo che oggi parlare di infertilità vuol dire trattare un tema su cui confluiscono vari filoni di riflessione, dal sociale al culturale, dall’antropologico alla questione di genere. Inoltre è un tema intessuto di concezioni popolari: quanti rimedi della donna ci sono per avere un figlio, o addirittura per averlo di un sesso piuttosto che di un altro? Ci interessava anche toccare il tema della nuove tecnologie, perché oggi una coppia che ha problemi di infertilità ha a disposizione possibilità maggiori rispetto ad una coppia di qualche tempo fa.
Poi c’è anche la questione etica.
Vaccaro: Certo, questione che è stata al centro del dibattito legislativo. La legge 40 come lei sa è stata svuotata al suo interno da tutte le sentenze che si sono susseguite. Inoltre questa ricerca aveva anche una motivazione di politica sanitaria: analizzare il livello di conoscenza e consapevolezza che gli italiani hanno sul tema significa anche migliorare l’informazione, perché oggi in Italia di prevenzione se ne fa pochissima in questo campo, soprattutto nell’area dell’infertilità maschile. Abbiamo perso il vantaggio che avevamo con la “visita di leva”, che rappresentava un’induzione indiretta alla prevenzione in quest’ambito, oggi che non c’è più abbiamo diminuito le possibilità di individuazione precoce dei problemi di infertilità maschile. Culturalmente oggi quando si parla d‘infertilità gli italiani si riferiscono a una causa aspecifica e indiretta come lo stress, o in seconda battuta ai problemi femminili, sia organici che ovulatori, mentre i problemi maschili sono citati da una parte minima del campione (dall’11% al 5%): è come se ci fosse l’idea che comunque la dimensione maschile del problema dell’infertilità è molto ridotta. Insomma, mentre alcuni stereotipi di genere sembrano superati, in quest’ambito, nonostante la maggior parte del campione tenda ad esprimersi in maniera politicamente corretta (sostenendo ad esempio che non si sa di chi è la colpa), poi alla fine l’idea che prevale è che la responsabilità è soprattutto femminile.
Cosa pensano gli italiani della fecondazione assistita?
Vaccaro: In un focus abbiamo chiesto agli italiani che cosa ne pensano delle tecniche di procreazione medicalmente assistita oggi disponibili. Dal punto di vista dei contenuti specifici della legge i livelli di informazione sono molto bassi, mentre il dibattito sull’eterologa – di cui si parla ovunque– sembra che gli italiani lo abbiano colto. Su questo aspetto la popolazione risulta assai divisa, ma la differenza non è sul “provetta sì o no”, che pure è un tema etico caldo. La stragrande maggioranza degli italiani, intorno all’85%, ritiene che quando s’interviene con gameti interni alla coppia si può fare sia l’inseminazione in vitro che la fecondazione in vivo, invece solo il 40% è favorevole all’uso di gameti esterni alla coppia. La vera divisione è su questo.
Perché la procreazione in Italia continua a decrescere?
Vaccaro: A livello di esperienza esistenziale e a livello di aspirazioni e attribuzione di valori, la genitorialità è ancora molto importante per gli italiani. Il 73% degli intervistati ha un figlio, poco meno della metà ne ha due, e due è il numero verso cui tutti tendono. Tra coloro che al momento non hanno figli il 76% dicono che lo vorrebbero. Ma abbiamo anche riscontrato che c’è una vasta consapevolezza che in Italia si facciano pochi figli (88%) e si attribuisce questa distanza tra desiderio e possibilità di avere figli soprattutto a cause di tipo economico. Tra queste non c’è solo la crisi economica, a cui si attribuisce un peso rilevante, ma ci sono anche le difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro dei giovani e quella di pensare al proprio futuro in una situazione di precarietà. L’altro elemento è quello del costo dei figli, che oggi sono un investimento assai “caro”. Soprattutto, la genitorialità viene vissuta come forma di realizzazione individuale: serve per realizzare se stessi, per sentirsi importanti ed adulti, mentre tutti i significati che hanno a vedere con la dimensione sociale della procreazione sono molto sfumati. Di conseguenza, non ci si deve sorprendere del fatto che una parte minoritaria ma significativa del campione (46%) ritiene che i single, anche al di fuori della coppia, abbiano diritto ad vere un figlio. Per il 29% del campione, inoltre, anche le coppie omosessuali possono avere un figlio. Da questo punto di vista è da rilevare che coloro che si dichiarano cattolici praticanti non hanno posizioni molto diverse su questo: quel 46% dei favorevoli diventa 43%, e da quel 29% che si esprime favorevolmente sull’idea che le coppie omosessuali possano avere i figli, nel caso dei cattolici non scende sotto al 23%. Quindi tra i cattolici la quota dei favorevoli scende, ma non in modo drastico.
Cosa pensano gli italiani delle politiche pubbliche verso i figli?
Vaccaro: Le politiche sono importanti, in questo momento, non perché possono indurre la decisione, che come abbiamo detto è tutta degli individui, ma perché possono creare un ambiente favorevole a che questa decisione possa essere presa in un modo più facile, un ambiente che aiuti le famiglie. Il problema è la discrasia tra il desiderio che c’è e la possibilità di realizzarlo: il 61% ritiene che se ci fossero politiche più favorevoli quelli che hanno voglia di avere figli ma che a causa della crisi non ci riescono potrebbero realizzare questo desiderio. Inoltre, si ritiene in genere che le politiche dovrebbero andare nella direzione non esclusivamente di contributo economico, ma anche dei servizi (il 63%). È maggioritaria anche la quota di coloro che pensano che servirebbero dei contributi anche per l’educazione: il figlio costa, e molto spesso le famiglie non ce la fanno a dare al figlio opportunità di educazione e di sport.
In conclusione, com’è il rapporto tra italiani e genitorialità oggi?
Vaccaro: Ribadisco che è molto importante, sia nel vissuto, che nelle aspettative, che nel valore attribuito a questa esperienza. Ma c’è anche la difficoltà, che emerge dalla ricerca, di un contesto in cui le condizioni complessive non facilitano la decisione. In generale c’è una difficoltà a pensare il proprio futuro e quello del Paese in termini positivi. Tant’è vero che il calo della natalità è concentrato negli anni della crisi: dal 2008 ad oggi c’è stato un calo drastico, circa 62.000 nati in meno fino al 2013. Credo ci sia un problema complessivo: c’è l’illusione di avere tempo, sia per le coppie che hanno problemi di fertilità che per quelle che non ne hanno. Si continua a procrastinare la decisione di avere un figlio, e si verifica naturalmente una riduzione della fertilità. Il 46% pensa che una donna che desidera avere un figlio non deve cominciare a preoccuparsi prima dei 35 anni. Ormai siamo abituati a una genitorialità tardiva: si diventa adulti sempre più tardi, si diventa vecchi mai, ma allora questo desiderio di avere figli, anche se molto forte, diventa sempre più difficile da realizzarlo.