Al prossimo Sinodo torneranno d’attualità i punti che la Santa Sede elencò nella Carta dei diritti della famigliaLa richiesta era giunta proprio da un Sinodo dei vescovi, quello del 1980. E tre anni dopo, la Santa Sede emanò per volere di Giovanni Paolo II una Carta dei diritti della famiglia che, nelle intenzioni degli estensori, doveva raggiungere le autorità e le istituzioni e servire loro da traccia nella discussione delle politiche familiari. Si trattava di un documento estremamente moderno, che toccava temi etici ed antropologici nei suoi primi articoli e concludeva ricordando l’importanza del rapporto tra famiglia e lavoro, famiglia ed educazione, in tutti gli strati e le categorie sociali. Poco più di 30 anni dopo, i vescovi si ritroveranno tra pochi giorni per ridisegnare una mappa delle priorità delle aree che riguardano la famiglia. Per questo la Carta torna d’attualità, e viene da chiedersi in quanti e come, in tutti questi anni, si siano preoccupati di leggerla con attenzione e di ricavarne indicazioni utili. Soprattutto, oltre ai temi etici ed antropologici che oggi si guadagnano spesso le prime pagine, si pongono come centrali le questioni sociali che quello scritto toccava. Noi di Aleteia ne abbiamo parlato con Francesco Belletti, direttore del Forum delle Associazioni Familiari, e autore un anno fa insieme alla sociologa Gabriella Ottonelli de I diritti della famiglia: solo sulla carta? (Paoline, 2013), che invitava a tornare a riflettere sulla Carta del 1983.
A 31 anni dalla sua estensione, qual è lo stato di salute della Carta?
Belletti: Il principale valore di quel documento è stato l’aver dato un po’ di linguaggio anche in ambito ecclesiale a quella che è la rilevanza pubblica della famiglia. La Carta infatti metteva a tema una serie di esigenze che la famiglia pretendeva dal sistema pubblico al fine di tutelare la sua identità. Quindi era un documento molto laico, proposto ai governi in modo da chiedere, e così costruire, delle condizioni sociali per consentire alle famiglie di svilupparsi liberamente. Questo è stato importante perché a livello ecclesiale le riflessioni sulla famiglia spesso si interessavano della dimensione spirituale e delle scelte etiche all’interno delle relazioni familiari, e invece dentro la Familiaris Consortio, che era di due anni prima, c’era proprio questo esortazione pubblica a costruire la città dell’uomo, che è esplicitamente indirizzata alla famiglia cristiana. Devo dire che la Carta ha avuto uno scarso impatto pubblico-politico, però ha dato un orizzonte. In fondo, anche l’esperienza dell’associazionismo, del Forum delle associazioni familiari, si è riconosciuta in quel documento.
Lo scarso impatto pubblico-politico ha indebolito l’istituzione della famiglia in Italia?
Belletti: Sì, la debolezza della nostra famiglia parte anche dal rifiuto dello Stato di diventare interlocutore. Allargando il campo gli interlocutori di chi ha la responsabilità del bene comune sono gli interessi costituiti, i gruppi economici, le forze sociali organizzate, quelli che hanno anche più capacità operativa, e hanno la capacità di rivendicare i propri interessi e mettersi in campo come lobby. Invece il soggetto “famiglia” è prima di tutto interessato a vivere la propria vita, perché fare famiglia è già impresa, nelle tante accezioni di questo termine. Diciamo così, la famiglia si è trovata priva di un suo sindacato, ed è vero che l’intuizione della Carta del 1983 era quella di chiedere alla politica e alle grandi organizzazioni internazionali di porre le condizioni per far sì che il mondo fosse più a misura di famiglia. C’è una grande sintonia, curiosa ma veramente comprensibile, con l’ultimo messaggio dei vescovi italiani proclamato alla fine dell’ultimo Consiglio permanente, la settimana scorsa. Anche lì si fa un ragionamento di questo tipo: ringraziamo le famiglie perché sono soggetto, perché fanno una serie di azioni preziose per tutti, nonostante la grave mancanza di chi deve organizzare il sociale, di chi deve organizzare la politica e di chi deve organizzare il bene comune. Qui siamo ancora molto indietro purtroppo, la Carta dei diritti ha una grandissima attualità proprio perché è rimasta sulla carta.
Quali sono i punti su cui il Sinodo dovrà lavorare di più?
Belletti: Devo dire che l’agenda del Sinodo è stata costruita sul Questionario, che non è stato strutturato sulla traccia della Carta dei diritti della famiglia e che ha dato maggiore attenzione all’emergenza antropologica e pastorale di questi ultimi anni. Quindi c’è una grande attenzione alla gestione delle situazioni di fragilità familiare, c’è una forte attenzione alle valenze educative; la Carta dava invece molta attenzione alle questioni di politica familiare. Era un documento molto moderno perché parlava per esempio della tutela dei migranti, dei carcerati, del bisogno della casa. È impressionante: sulla Carta dei diritti della famiglia si poteva fare un piano nazionale delle politiche familiari di un paese. Invece ora il Sinodo ha messo in agenda più una dimensione identitaria della famiglia, in rapporto con la comunità ecclesiale. Eppure l’altro tema è ritornato, molte conferenze episcopali nazionali hanno portato nella mappa dell’agenda del Sinodo la dimensione sociale, riappropriandosi di un compito di costruzione della società. Credo che dal Sinodo straordinario di quest’anno al Sinodo ordinario del 2015 ci sarà tempo di recuperare, di dare una descrizione della famiglia un po’ più a tutto tondo. Per dirla con un esempio, nel Questionario non era inserita nessuna attenzione particolare al rapporto tra famiglia e lavoro, che vuol dire ragionare non solo in termini economici, ma anche sul senso del tempo, il tempo della Festa, la possibilità di conciliare famiglia e lavoro per garantire la serenità della vita familiare; questo in particolare è stato il grande tema dell’incontro mondiale delle famiglie del 2012 di Milano. Dal Sinodo mi aspetto che apra l’orizzonte inserendo quello che la Carta aveva scritto con grande chiarezza.
L’intervento recente dei vescovi indica una volontà nuova di tornare ad incidere nella politica in tema anche di famiglia?
Belletti: Il Sinodo ha il grande valore aggiunto che è l’avere il punto di vista globale della Chiesa universale, quindi è un po’ meno esposto alle criticità di singoli contesti nazionali. Noi invece in Italia abbiamo questa specificità: siamo schiacciati da una dimenticanza totale della politica verso la famiglia. La famiglia è stata sfruttata, ma mai messa al centro delle attenzioni; si parla tanto di famiglia ma non si fa niente “per” lei. Ci si riempie la bocca di una retorica della famiglia come ammortizzatore sociale, ma questo non è per niente il compito della famiglia. Dal Sinodo io mi aspetto una grande apertura di orizzonte sul mandato evangelizzatore della famiglia. In Italia si sta discutendo sulla questione antropologica legata all’identità della famiglia che troverà senz’altro grande riscontro nel Sinodo: tra i temi qui sono il “per sempre”, la differenza sessuale, l’uomo e della donna, l’idea della famiglia come società naturale, l’idea del rapporto tra le generazioni, la solidarietà, la genitorialità, la procreazione eterologa, l'eutanasia, i rapporti tra lo stesso sesso, tutte questioni poste dalla contemporaneità su cui la Carta dei diritti della famiglia aveva le idee chiarissime. L’altra questione riguarda le infrastrutture sociali: abbiamo bisogno di cambiare l’organizzazione del Paese, perché oggi in Italia la famiglia è quasi un inciampo alle forze economiche, alla politica, al fisco, e viene ostacolata. Oggi in Italia c’è bisogno di costruire politiche concrete e non solo discorsi generali.