Uscito di scena Dio, nuove forme sacrificali si intrufolano nella società e dunque nell’artedi Sergio Mandelli
I fratelli Jake e Dinos Chapman sono due artisti inglesi di origine greca, nati negli anni sessanta, che da qualche tempo fanno parlare di sé per alcune opere particolarmente scabrose. La cosa che contraddistingue maggiormente la loro arte è di essere stata progettata all’interno della scuderia di Charles Saatchi, un pubblicitario, collezionista, che anni fa ha scoperto il modo per moltiplicare i propri soldi sfruttando i meccanismi del mercato dell’arte.
Per sintetizzare, da buon pubblicitario, ha notato che finché di arte si occupano solo le riviste degli addetti ai lavori, l’interesse del pubblico è esiguo. Nell’epoca del mercato globale invece ha capito che il vero successo si ottiene solo coinvolgendo un grande numero di persone. E un pubblico maggiore si ottiene soltanto occupando le pagine della cronaca.
In altre parole bisogna creare lo scandalo, obbiettivo che lui ha perseguito e raggiunto attraverso alcune operazioni ben finanziate e ben promosse, la più famosa delle quali è stata la mostra del 1997 “Sensation”, presentata a Londra.
I temi trattati dagli artisti in quella mostra, come da manuale, erano essenzialmente tre: morte, sesso e religione. Inutile dire che la mostra ebbe un grosso successo e che gli artisti godettero di un notevole aumento delle loro quotazioni. Fra questi c’erano anche i fratelli Chapman, che in tale occasione presentavano due lavori.
Innanzitutto Great Deeds Against the Dead, una versione tridimensionale dell’incisione di Goya Grande Hazana! Con muertos! Si tratta di un’opera a dimensione naturale che esibisce un corpo fatto a pezzi e appeso su un albero, un lavoro a suo modo drammatico, impressionante, derivato da una citazione colta, quella di Goya, appunto.
L’altra opera, come da manuale, affrontava il tema del sesso con quella che è probabilmente la loro opera più celebre Zygotic Acceleration, Biogenetic, De-Sublimated Libidinal Model (Enlarged x 1000).
Si tratta di un assemblaggio di corpi di ragazzine prepuberi, fusi tra loro e corredati da sessi maschili e femminili ben evidenziati.
Da questo lavoro i Chapman hanno poi sviluppato un ciclo di grande successo scandalistico e commerciale.
Il tema di questo ciclo in realtà non è nuovo, è la messa in discussione della centralità del corpo umano, inteso come modello di perfezione, quello per intenderci raffigurato nell’Uomo vitruviano di Leonardo, l’uomo inserito in un progetto razionale, divino. Un concetto, quello della centralità dell’uomo nello spazio razionale dell’universo, all’origine dell’Umanesimo e del Rinascimento.
La deformazione del corpo umano, che ha cominciato ad apparire come retaggio del culto del corpo malato di romantica memoria, ha avuto la sua rappresentazione più efficace probabilmente nella pittura di Bacon. Per lui il corpo umano diventa un grumo animalesco racchiuso su se stesso, incapace di espandersi nello spazio per intraprendere una iniziativa qualsiasi. Altro che centro del mondo!
Questo tema è stato poi raccolto e sviluppato da vari filoni, sia in pittura sia attraverso performance, in particolare dalle innumerevoli espressioni della body art, come ad esempio gli azionisti viennesi.
I fratelli Chapman si inseriscono in questo filone. Che cosa aggiungono i Chapman a questo tema?
Il fatto di deformare dei corpi di bambina ed offenderli con l’esibizione di sessi maschili. L’immagine deformata e offesa di corpi che dovrebbero rappresentare la grazia e l’innocenza ottiene come unico risultato quello di disturbare (gli esteti usano il verbo “colpire”) l’osservatore. In un periodo poi in cui il pubblico è molto sensibile al tema della pedofilia, l’accostamento di questi corpi prepuberi al membro maschile in erezione non può non suscitare sentimenti di repulsione. Morte, sesso, che cosa manca? La religione.
Si conoscono in particolare due lavori dedicati a questo soggetto. Il primo è una serie di clown del McDonald crocifissi; l’altro è una statua devozionale di Madonna col bambino orribilmente deturpata. La crocefissione non sorprende più di tanto: gli artisti contemporanei hanno crocifisso di tutto, dalla rana di Klippenberger, al fallo di Midea Cruz, al Cristo con le borse dello shopping di Bansky, a quello impacchettato di Geers, e via per migliaia di volte, oggetto offerto gratuitamente allo sterminato esercito degli artisti senza fantasia.
Non si vede perché non si debba inchiodare alla croce anche il pupazzo di McDonald.
Per quanto riguarda la Madonna il discorso si fa più complesso. Il volto della Madonna, da sempre nella pittura occidentale modello di perfezione morale ed estetica, è qui inteso come oggetto di deturpazione. Il naso sembra scorticato, la bocca è sottoposta a una ampia lacerazione e a una rozza cucitura. Dalla bocca del Bambino escono delle forme strette e cilindriche, come dei vermiciattoli.
Perché il discorso è diverso? Perché si oltraggia un soggetto appartenente alla religione cattolica.
CORPO UMANO E CATTOLICESIMO
La religione cattolica ha la particolarità di essersi spesa, più di ogni altra, per la sacralizzazione del corpo umano nella sua realtà fisica e quindi per la sua rappresentazione.
Sappiamo che la tradizione della raffigurazione del corpo umano, sublimata dal mondo greco-romano, è stata raccolta dalla Chiesa Cattolica, e questo è stato possibile perché la rappresentazione del corpo umano – proibita o di fatto ostacolata dall’ebraismo e dall’Islam – per il cristianesimo è una cosa positiva: Gesù, vero Dio e vero uomo, si è rivelato a noi in modo visibile, ha patito la crocifissione per poi risorgere e ascendere al cielo col proprio corpo. Quindi il corpo umano, fatto a immagine e somiglianza di Dio, ha già in sé un elemento di bontà intrinseca. E la sua riproduzione, secondo quanto deciso nel Secondo concilio di Nicea (787 DC), attraverso i dipinti di Gesù, di Maria, dei santi e dei fatti riguardanti la storia sacra, aiuta il fedele in contemplazione a rinforzare la propria fede.
Probabilmente il massimo risultato di questa eredità è rappresentato da una scultura di Michelangelo, il Cristo di Chiesa sopra Minerva a Roma.
Per questo appare oziosa la domanda: ma perché gli artisti non se la prendono con i simboli delle altre religioni? Certamente per paura, soprattutto per quanto riguarda i simboli dell’Islam.
Ma soprattutto per la centralità che la Chiesa Cattolica ha nella storia dell’arte.
Basta sfogliare un qualsiasi manuale di storia dell’arte per vedere quante pagine sono dedicate all’arte direttamente commissionata da cattolici, o concepite in ambito cattolico, o comunque inseriti in un discorso aperto solo grazie alla Chiesa Cattolica. Ad esempio sono assolutamente convinto che senza il Concilio di Nicea non avremmo la fotografia, né il cinematografo, né YouTube.
Lo stesso concetto di storia dell’arte nasce in ambito cattolico: Vasari non mi pare appartenesse ad un’altra confessione religiosa.
Da questa centralità (spesso scioccamente negata) deriva che molte espressioni dell’arte contemporanea sono comprensibili solo in opposizione all’idea di arte maturata ed espressa all’interno del cattolicesimo.
Lo stesso Bacon, ad esempio, non sarebbe concepibile senza il cattolicesimo.
Se, come abbiamo detto, il suo obbiettivo è di deformare il corpo umano, negandone la centralità e la sacralità, ciò diventa ancora più chiaro nella serie dedicata ai prelati, in particolare nel ritratto di Innocenzo X.
Allargando il discorso ad altre espressioni dell’arte contemporanea, e andando al di là delle dichiarazioni programmatiche dei loro autori, non si può fare a meno di notare alcune costanti. Ad esempio, uno degli elementi comuni a molte tradizioni religiose è quello del sacrificio di animali per ingraziarsi la divinità. Vale la pena anche ricordare che uno dei nomi di Gesù è quello di Agnello di Dio, sacrificato sulla croce per redimere i nostri peccati.
Ebbene, una delle manifestazioni più eclatanti dell’arte contemporanea è la body art, in particolare quella viennese, dall’indubbio aspetto sacrificale.
Tolto Dio dalla circolazione, infatti, e quindi con Lui il sacramento della riconciliazione, alcuni artisti si sono proposti come sostituti del capro espiatorio, dell’agnello sacrificale, prendendo su di sé il carico del complesso di colpa che stava imbevendo di sé tutta la società. Che cosa rende differente Rudolf Schwarzkogler, Gunther Grus, Gina Pane, con i loro corpi umiliati e sottoposti a dolore autoinflitto, dalle opere di mortificazione, ad esempio, di Jacopone da Todi?
NON SI PUO’ FARE A MENO DELLA RELIGIONE
Mi sembra arrivato il momento di spiegare perché ho inserito, all’inizio dell’articolo, i versi, famosissimi, di “Imagine”, una canzone di John Lennon che si augurava l’avvento di un mondo migliore, di pace. In particolare sembrava sottintendere che la pace si potesse ottenere abolendo le religioni.
Questi versi, che accompagnano una delle più belle melodie scritte nella storia dell’umanità, sono indubbiamente affascinanti, ma hanno un solo problema: non significano proprio nulla. E non significano nulla proprio perché l’uomo non riesce a liberarsi dalla religione.
Dostojevkij nell’Adolescente si esprime così: “L’uomo non può vivere senza inchinarsi dinanzi a qualcosa; un uomo simile non sopporterebbe se stesso e nessuno lo sopporterebbe. E chi nega Iddio, finirà coll’inchinarsi dinanzi a un idolo di legno o d’oro, o magari a un idolo astratto.”
E San Giovanni Vianney, il curato d’Ars, diceva “cent’anni senza prete e la gente finirà per adorare gli animali”, con questo volendo dire proprio che si può smettere di adorare Dio, ma non si smette di adorare qualcosa.
Non si sa perché, ma ognuno di noi è immerso nella religione così come è immerso nell’aria.
Certo non stiamo parlando solo di religioni rivelate, ma di una struttura di pensiero che si riproduce in maniera pressoché identica.
Proviamo a pensarci: se c’è un secolo che ha abbandonato Dio è proprio il Novecento. Stando a Lennon e alle dichiarazioni degli esponenti dell’Uaar, il Novecento sarebbe dovuto quindi essere il secolo delle meraviglie; invece, come sappiamo, dal punto di vista storico è quello che ha visto compiersi le più grandi stragi che l’umanità abbia mai concepito, la maggior parte delle quali ideate proprio da chi voleva imporre l’ateismo a tutti i costi.
Per paradosso, i regimi comunisti, nati con lo scopo di imporre l’ateismo di Stato, sono proprio quelli che più si sono impegnati a replicare le forme delle religioni rivelate: il culto della persona del leader di partito ha molto a che fare con la divinizzazione del fondatore di una religione, indicato ai popoli per le sue qualità di guida infallibile. Lenin, Stalin, Mao, Kim-Jung Il, Pol Pot appartengono a tutti gli effetti ad un Pantheon di semi-divinità.
Un altro fenomeno che per molti aspetti è associabile ad una manifestazione di tipo religioso, il divismo, di fatto impone una sorta di culto ai suoi adepti, con raccolta di reliquie, estasi collettive, dipendenza dal modello morale proposto, ecc.
Lo stesso assassinio di John Lennon – divo fra i più noti – può essere letto secondo le categorie della religione.
Infatti, a quale domanda risponde la religione?
A tante domande, ma la prima è che la religione garantisce un significato, un senso alla propria esistenza nel mondo. Facendo parte di un gruppo di fans di un cantante ci si identifica in alcuni valori morali, in alcuni gesti ripetuti assieme. Nel rituale esisto anch’io. E il rituale per eccellenza in tutte le tradizioni, come abbiamo detto, è quella del sacrificio. Si sa che Mark David Chapman (neanche a farlo apposta Chapman pure lui) spiegò il suo assassinio di John Lennon in diversi modi. Noi possiamo spiegarlo anche col fatto che il divismo ha creato un vero e proprio Olimpo di divinità alle quali viene reso un culto particolare. Ora, quali mezzi ha a disposizione una persona normale per assurgere allo stesso Olimpo? Quella dell’omicidio, del sacrificio.
La comunicazione di massa permette infatti ad un emerito sconosciuto di diventare famoso ad un gran numero di persone in pochissimo tempo. Il compimento di un omicidio permette al killer di perpetuare la sua esistenza al di là di se stesso. In assenza di un Dio che premia le buone azioni, il garante della propria esistenza in vita diventa il medium, l’informazione, la cronaca – il nuovo Olimpo.
Per la salvezza di Mark David Chapman è stato necessario sacrificare il divo John Lennon.
L’ESTETICA DEL BESTEMMIATORE
Caratteristica del bestemmiatore è che per affermare la propria identità ha bisogno di Dio. Per paradosso si può dire, secondo la celebre sentenza di Pierre Klossowski, nessuno crede in Dio più di colui che lo ingiuria.
La bestemmia è perciò a tutti gli effetti un gesto trascendentale. Con ciò non si vuole minimamente dare un alone di nobiltà alla bestemmia, tutt’altro; ma per capire anche gli aspetti negativi di un fenomeno bisogna inquadrarlo in modo concettualmente adeguato.
Riesaminando da questo punto di vista l’opera dei Fratelli Chapman, perciò, in particolare la loro versione della Madonna col Bambino, non si può negare che la loro sia definibile come estetica del bestemmiatore.
E’ fuori discussione che se non esistesse il sacro, la sacralità del sacrificio, della morte, della religione, della vita, non sarebbe possibile nemmeno l’esistenza stessa dei Chapman in quanto artisti.
Non a caso i fratelli Chapman hanno voluto oltraggiare anche la sacralità dell’arte. Vogliamo fare un esempio?
Il loro lavoro dal titolo quanto mai emblematico “Insult to Injury” consiste nell’aver “rettificato” alcuni personaggi della celebre serie di Goya “I disastri della guerra”. In pratica i due fratelli hanno comprato una serie completa di 80 incisioni originali della celebre opera di Goya, perciò preziosissima, e, sulle teste dei suppliziati, hanno disegnato personaggi di fumetti.
Se l’operazione artistica fosse consistita nei loro ritocchi fumettistici, sarebbe stato ugualmente idoneo allo scopo l’uso di fotocopie anticate; è invece ovvio che ciò a cui miravano i due fratelli era proprio l’oltraggio effettuato ad una rara opera d’arte del passato.
Con ciò si mira proprio a colpire una certa idea di sacralità, quella dell’arte, dell’opera preziosa, unica. E questo proprio con lo scopo di scandalizzare il pubblico medio dei cultori dell’arte e quindi di far parlare di sé.
L’estetica dei Chapman deve sporcare, oltraggiare qualcosa di sacro per poter esistere, per poter conquistare le pagine della cronaca, luogo della salvezza, della conquista della propria identità.
L’ESTETICA DEL DEMONIO
Ai precedenti si può aggiungere un ulteriore capitolo. L’estetica di tipo demoniaco che sta impregnando di sé la nostra società.
Abbiamo detto che la tradizione artistica europea era ispirata alla rappresentazione del corpo umano inteso come esempio di creazione divina; un secolo senza Dio deve per forza di cose esprimersi in altri linguaggi, il cui studio è spesso fonte di godimento estetico e di ammirazione per le innumerevoli modalità in cui il fenomeno artistico riesce a manifestarsi.
Tuttavia l’assenza di Dio nel mondo lascia spazio al suo nemico. Ovviamente, con questo non voglio dire che siamo obbligati a credere nel demonio, e quindi in Dio. Dobbiamo però essere edotti del fatto che il demonio ha un suo modo particolare di presentarsi e lo fa in maniera sempre simile.
Il demonio, sappiamo, si propone in alternativa a Dio. Non essendo però lui il creatore delle cose, e non essendo in grado di realizzare qualcosa di diverso, l’unica cosa che può fare è dileggiare, mettere in ridicolo la creazione. Esempio tipico dell’estetica demoniaca è la messa nera, che per essere celebrata necessita di particole consacrate, perché attraverso di esse si oltraggia il corpo di Dio.
Il rituale delle messe nere necessita inoltre di escrementi, di esibizione di corpi di donna nudi, di sottomissione erotica delle stesse donne al celebrante.
Esteticamente quindi la messa nera è la parodia della messa originale. Senza l’originale non esisterebbe neanche lei.
Un’altra definizione del demonio è quella di “Scimmia di Dio”, imitazione grottesca e imperfetta del creatore.
Avendo il demonio per sempre perduto la scintilla divina che lo caratterizzava in quanto angelo, ha assunto sembianze mostruose che lo rendono invidioso e nemico dell’uomo, il quale, al contrario, come abbiamo detto, è considerato sintesi di perfezione.
Il demonio perciò non può fare altro che denigrarlo, imbruttirlo, ridicolizzarlo per poterne fare sua preda.
Secondo il bellissimo saggio di Bachtin su Rabelais, il demoniaco viene di solito esorcizzato nella tradizione cristiana attraverso il Carnevale, che non a caso è la festa del travestimento, della sovversione della norma. Il re del Carnevale non è mica quello vero, e se uno si traveste da Napoleone, gli altri mica ci credono!
Un altro degli aspetti di tipo carnevalesco rilevati da Bachtin era la prossimità con gli escrementi.
La manipolazione degli escrementi, ciò che l’uomo espelle e rifiuta, laddove non intesi come concime, è sempre legato al demoniaco.
Ora, non mi sembra servano altre parole per far rientrare l’estetica dei Chapman in quella del demoniaco.
Non solo, ma alla luce di queste parole numerose esperienze dell’arte contemporanea risulterebbero facilmente leggibili; senonché è avvenuto un fenomeno culturale che dura ormai da qualche secolo, volto a ridicolizzare la cultura cristiana.
E’ sorta cioè una cultura laicista che pretende di leggere la storia del mondo come un combattimento fra le forze del progresso, che lottano per avere spazi sempre più ampi di libertà e di conquiste di civiltà, contrapposte ai rappresentanti di un sapere obsoleto, inutile, retrogrado e incompatibile con la modernità – ovviamente quello cristiano.
Sta di fatto che l’arte attuale è diventata il campo di conquista dell’estetica demoniaca; il problema è che lo stesso mondo culturale laicista, autocensurando la conoscenza di un sapere religioso, non è più in grado non solo di comprenderla, ma persino di percepirla.
Si è avverato perciò il capolavoro del demonio descritto da Baudelaire: Il capolavoro del demonio è di far credere che non esiste.
CONCLUSIONE
Tornando ai fratelli Chapman, ci si può legittimamente chiedere se le loro opere si caratterizzino per una particolare originalità.
Certamente sono opere che colpiscono. E certamente ci sono critici d’arte pronti a giurare che si tratta di opere geniali. Siamo in un regime di libertà, ci mancherebbe, ed è diritto di ciascuno esprimere le proprie idee. Magari qualcuno le interpreterà addirittura come una denuncia di un fenomeno disgustoso come quello della infanzia violata.
Resta da dimostrare come un tipo di arte che suscita disgusto possa in qualche modo contribuire al miglioramento della specie umana.
Ci sarà anche gente che dice che l’arte non serve a nulla se non a se stessa.
Ritorniamo perciò al punto di partenza. Lo scopo di questo tipo di artisti non è quello di realizzare un lavoro che abbia una sua validità estetica, ma quello di far parlare di sé, approfittando del fatto che, in un’epoca in cui sembrano essere saltati tutti i criteri di giudizio per valutare un’opera d’arte, l’unico criterio inoppugnabile è la popolarità dell’opera e degli stessi autori.
L’opera dei Chapman in sé, perciò non esiste, ma prende consistenza solo nel momento in cui conquista le pagine della cronaca.