Nel mondo produce un Pil equivalente a quello del Regno Unito, in Italia vale un settimo della nostra economiadi Alberto Barlocci
Molto spesso, quando si comincia a parlare di economia civile (o economia sociale e solidale, come si suole definirla in America latina) il discorso, nel migliore dei casi viene immediatamente chiuso con la frettolosa catalogazione di esperienze economiche “limitate”, pur se “profetiche”, ma che finiscono per essere considerate “irrilevanti” dal punto di vista economico.
Ma sarà proprio così? L’Italia ci offre elementi per convincerci del contrario. Secondo dati Istat ilterzo settore nel nostro Paese registra 183 miliardi di entrate, circa 700 mila dipendenti, oltre a 4,7 milioni di volontari. Ci sono 351.000 organizzazioni, delle quali 301mila sono non profit e oltre 50mila imprese cooperative.
Se vogliamo fare qualche comparazione, possiamo partire da questi numeri. Dunque il terzo settore è pari a circa un settimo del PIL italiano. Niente male per essere un settore economico irrilevante. Ma compariamoci con il PIL di alcuni altri Paesi. Per fare ciò conviene passare i 183 miliardi a dollari USA, circa 274 miliardi. Praticamente l’equivalente del Pil del Perù o del Cile. Ma sensibilmente superiore al PIL dell’Ecuador, della Bolivia, dell’Uruguay, del Paraguay, di Cuba e di qualsiasi dei Paesi dell’America Centrale. Circa la settima parte del PIL del Brasile (tra le prime 8 economie del pianeta), un sesto del PIL del Messico (posto numero 11 del ranking mondiale).
Uscendo dalla esperienza italiana, si stima che il PIL dell’economia civile su scala globale sia equivalente a quello del Regno Unito. Anche qui, niente male. Andrebbe fatto altresì un ripasso, ramo per ramo per verificare l’incidenza di questa realtà. Ci soccorrono le stime relative al microcredito, sorto dalla creatività economica di Muhammad Yunus: circa 190 milioni di clienti in tutto il mondo, con un bassissimo tasso di morosità. I beneficiati nel mondo da questa esperienza sono circa 650 milioni di persone. In alcuni Paesi, come Stati Uniti, Francia, il non profit impiega tra un 4 ed un 7 per cento dei lavoratori. E certo si potrebbe continuare con altri esempi. Pensiamo all’esperienza del cooperativismo in tutto il mondo.
Questi dati ci stanno dicendo varie cose. Prima di tutto, che l’economia civile è un fenomeno rilevante. Ed é discutibile affermare che essa non possa trasformarsi in una economia di maggiore scala. Per il semplice motivo che tale scala già esiste. Abbiamo appena visto che l’ingresso prodotto in un solo Paese supera grandemente il Pil di vari altri.
L’economia civile ricorda il caso del calabrone o meglio di un imenottero della famiglia degli apidi, il cui nome scientifico é Bombus terrestris (comunemente chiamato bombo). Per molto tempo attorno a questo insetto è sorta, negli anni ‘30, una leggenda urbana secondo cui nella sua struttura, il rapporto tra apertura alare ed resto del corpo, contraddiceva le leggi dell’aerodinamica, motivo per cui non gli sarebbe stato consentito di volare. Ma fatto sta, che il calabrone vola ed ha sempre volato. In seguito a delle più corrette osservazioni sul suo volo e sul movimento delle sue ali, si è compreso che in realtà si stavano applicando leggi della fisica insufficienti per spiegarne il volo. Andavano applicate altre leggi aerodinamiche più corrette.
Non tutte le “leggi” dell’economia sono sufficienti per spiegare l’esistenza e lo sviluppo dell’economia civile. Almeno non quelle della versione del capitalismo attualmente applicato in gran parte del mondo. Occorre allora identificare le leggi corrette, che consentono di comprendere come sia possibile che esistano attività economiche, fenomeni imprenditoriali che esistono senza mettere come priorità e costi quel che costi, la massimizzazione degli utili e l’efficientismo. Perché, così come il bombo vola, l’economia civile esiste e produce reddito.