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Cosa pensa la Dottrina Sociale della Chiesa dell’articolo 18?

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 22/09/14
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Investimenti ed etica sono i due modi più responsabili per far recuperare credito all’economia italiana
Il dibattito sull’opportunità o meno di abolire l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori o, quanto meno, di limitarne la portata divide da molti anni il Paese. Tutti i tentativi avanzati sin qui di eliminarlo sono falliti, scrive l’Huffington Post (22 settembre).

L’articolo 18, come è noto afferma che il licenziamento è valido solo se avviene per giusta causa o giustificato motivo. Con la riforma del 2012 si sono classificati tre motivazioni, il licenziamento discriminatorio, disciplinare ed economico. Rispetto a questa modalità di disciplina del rapporto di lavoro, la Dottrina Sociale della Chiesa dà indicazioni precise? Lo boccia, o lo sostiene?

DUE DIMENSIONI DEL LAVORO
Aleteia ha contattato due tra i maggiori esperti di politiche economiche, lavoro e Dottrina della Chiesa. Secondo il professore Flavio Felice, Presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton e professore ordinario di “Dottrine Economiche e Politiche” alla Pontificia Università Lateranense «quando parliamo di lavoro nell’ambito della Dottrina sociale della Chiesa dobbiamo distinguere due dimensioni, quella oggettiva e quella soggettiva».

UN’ESISTENZA DECENTE
Oggettivamente facciamo riferimento al lavoro nella sua dimensione materiale, alla sua capacità di trasformare il mondo che ci circonda. Sotto il profilo soggettivo, si fa riferimento alla dimensione etica del lavoro, alla capacità che esso ha di modificare dall’interno l’umano.
«Sotto il profilo puramente oggettivo – sottolinea il presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton – bisogna riconoscere la dimensione funzionale del lavoro. L’uomo, lavorando, modifica l’ambiente circostante, il quale, retroagendo modifica l’uomo che lavora. Ciò significa che in forza del lavoro, le persone possono migliorare la propria esistenza e vivere nel modo più decente possibile».

REMUNERAZIONE E PRODUTTIVITA’
Il che avviene «anche mediante la remunerazione del fattore lavoro, che non dipende dalla benevolenza del padrone o dello Stato, ma dalla produttività del fattore stesso. Si dà il caso che la produttività del lavoro dipende dall’innovazione tecnologica e che questa dipenda dagli investimenti che si effettuano. I quali, a loro volta, sono funzione della remunerazione del capitale».

IL RIFLESSO SUGLI INVESTIMENTI
Dunque, il lavoro e la sua remunerazione dipendono dagli investimenti. In tal senso, l’articolo 18 non «dovrebbe essere visto come un dogma da chi lo difende e neppure come il male assoluto da chi intende abrogarlo. Bisogna invece pensare se, così com’è, incoraggi ovvero scoraggi gli investimenti, ossia la possibilità di remunerare decentemente il lavoro. Dunque, si deve ragionare in maniera pratica, concreta e realista».

CONTRATTI DI PRODUTTIVITA’
Da qui un’ipotesi: «Credo che abolire l’articolo 18 e stabilire contratti aziendali di produttività che prevalgano su quelli nazionali sia la via migliore per attrarre investimenti e migliorare le condizioni di chi lavora e di chi, purtroppo, alle condizioni attuali, non trova un lavoro».

CHI COSTRUISCE IL SALARIO?
Infine, prosegue il docente, andrebbe fatta un’ulteriore considerazione: il salario chi lo costruisce? Il governo o gli investitori e i lavoratori? «Se la risposta è gli investitori e i lavoratori, allora spetterà a loro trovare una soluzione sull’articolo 18. Se i denari nel salario del lavoratori li mettono gli imprenditori-investitori, vorrà dire che sono loro che mettono i lavoratori nelle condizioni di lavorare e di essere remunerati. Il governo in questo contesto non può che avere una funzione di coordinamento, non può e non deve fare altro. Se vogliamo attirare gli investimenti, piuttosto che “salmodiare” qualche litania che scaldi il cuore con una retorica che sa di marcio, dobbiamo ragionare in questi termini».

NO ALLA RETORICA "SCALDACUORI"
Promuovere la dignità umana significa, conclude Felice, «mettere le persone nelle condizioni di vivere in modo decente e senza lavoro è preclusa questa possibilità. Nella migliore delle ipotesi vivremo come dei parassiti, sulle spalle di altri. Coloro che si affidano in modo irresponsabile alla retorica che scalda i cuori, ma che obnubila la ragione, ostacolano l’implementazione delle istituzioni che attendono alla promozione della dignità umana».

150 ANNI DI CONQUISTE SOCIALI
Luigino Bruni, docente di economia politica all’Università Lumsa di Roma e coordinatore della commissione internazionale Economia di Comunione, è critico sul dibattito per l’eliminazione dell’articolo 18, già "deviato" dalla riforma del 2012 voluta dall’allora ministro Elsa Fornero. «Sono critico non perché non penso che sia necessario aggiornare delle normative ai contesti che cambiano, ma siccome conosco la Dottrina Sociale, ho una visione umanistica delle, e conosco il mondo italiano, allora dico che quell’articolo è stata una conquista di almeno centocinquanta anni di lotte di civiltà e battaglie sociali».

MAGGIORE SIMMETRIA
E’ per questo che Bruni, di fronte ad contratto di lavoro già fortemente asimmetrico, sostiene che la direzione da intraprendere deve essere quella di «creare maggiore simmetria, bilanciare il rapporto datore-lavoratore dando valore all’intermediazione collettiva». Non si può accantonare questo aspetto in un’economia italiana che di fatto «non è particolarmente virtuosa, profondamente malata di speculazione, con gente che se potesse licenzierebbe il lavoratore appena ha una convenienza economica tale da garantirgli profitti».

ECONOMIA IN CRISI ETICA
In un contesto simile, con un capitalismo italiano «che vive una fase di crisi etica», se si allenta questa «mediazione istituzionale e legale e rendiamo più semplice l’entrata e l’uscita dal mondo del lavoro», si avrà, secondo il docente di economia politica, «un ulteriore aumento delle uscite e la diminuzione ulteriore delle entrate». Invece «bisogna dare a chi è disoccupato e viene assunto all’ultim’ora gli stessi diritti di chi è dentro».

PIU’ SICUREZZE PER I LAVORATORI
Quanto meno far percepire a chi è alla finestra, in attesa di un posto di lavoro, che ci sono «speranze, non insicurezze». «Si deve far capire che non si toglie alcuna tutela a chi è dentro e al contempo, garanzie a chi vuol entrare». Bruni, peraltro, non condivide «la politica comunicativa di chi parla di casta, apartheid, ecc perché non servono a nessuno discorsi del genere», né deve passare l’immagine del lavoratore «pigro e fannullone perché non è realistica» e alimenta un «conflitto di classe» tra datori e gli stessi lavoratori.

ARMONIA E COOPERAZIONE
La soluzione etica, prioritaria per l’economista, va incentivata attraversa l’economia di Comunione «basata su concetti come armonia e cooperazione» all’interno dell’ambiente di lavoro, eliminando così quelle visioni conflittuali che aumentano le distanze tra i soggetti nel mondo del lavoro.

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