E’ alle porte l’evento organizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII che coinvolgerà migliaia tra volontari, associazioni e aziende.
“Bisogna ritornare nella strada per conoscere chi siamo”, cantava Giorgio Gaber. E strade e piazze saranno ancora una volta il luogo dove sarà possibile riscoprire e riscoprirci fratelli attraverso un gesto di solidarietà. L’evento organizzato dalla Comunità fondata da don Oreste Benzi, si svolgerà sabato 20 e domenica 21 e per il sesto anno darà la possibilità a tutti, raggiungendo una delle oltre 800 edizioni che presiederanno piazze e chiese in tutta Italia, di effettuare una donazione, economica o materiale (attraverso un pacco di pasta). I dati ISTAT del 2014 ci dicono che la povertà assoluta in Italia è vissuta ogni giorno in Italia dal 7,9% della popolazione italiana, un dato superiore dell’1,1% a quello del 2013. Presentandosi alle postazioni si contribuirà allo sforzo quotidiano della Comunità Papa Giovanni XXIII di garantire un pasto alle persone che accoglie nelle sue Capanne di Betlemme, le case di accoglienza per le persone senza fissa dimora, e nel resto delle sue 500 realtà in tutto il mondo. La stessa iniziativa, nella quale saranno impegnati più di 2000 persone, avrà luogo contemporaneamente in 10 paesi di tutto il mondo, dall’Europa all’America Latina. Aleteia ha intervistato Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII.
Come sarà organizzato l’evento?
Ramonda: L’intenzione è quella con i nostri giovani e i nostri volontari di proporre una raccolta che ci permetta di dare un pasto al giorno a più di 41.000 persone in tutto il mondo. L’iniziativa è davvero interessante, intanto perché ci permette di far conoscere la nostra vita di condivisione nelle case famiglia e nelle famiglie, nei centri nutrizionali e nelle comunità terapeutica. Inoltre serve a dare una risposta a tutta quella fascia di persone per le quali la comunità non ha contributi economici, e che sono ormai il 50% delle persone che vengono accolte dalle nostre comunità.
Come è cambiata la demografia dei poveri in questi anni?
Ramonda: Continuano a esserci sempre molte persone senza fissa dimora, ma ormai sono anche i nuclei familiari che vengono a bussare alla nostra porta. Noi a Rimini abbiamo addirittura aperto nella nostra struttura un “albergo solidale”, dove arrivano interi nuclei familiari che hanno subito uno sfratto o non hanno più il lavoro. Continuano a esserci tante situazioni dove ci sono necessità minime, come quella di un pasto, di potersi lavare di potersi cambiare i vestiti, di poter avere un piccolo sostegno economico.
Ai vostri volontari è richiesta anche una certa preparazione psicologica?
Ramonda: Certo. Ci deve essere da parte nostra un’attenzione particolare a capire la situazione che queste persone stanno vivendo. I nostri operatori ormai sono decenni che vivono nelle nostre strutture e nelle nostre comunità, e quindi quotidianamente sono a contatto e in ascolto di queste persone.
Com’è la vita nelle Capanne di Betlemme?
Ramonda: La Capanna di Betlemme è una realtà familiare molto ampia. Ne abbiamo aperta una circa due settimane fa nel centro di Chieti, con l’appoggio di una persona davvero in gamba, l’arcivescovo della città Bruno Forte, che ci ha chiesto la nostra presenza. Noi siamo aperti a chiunque bussi alla porta o venga mandato dai servizi sociali o addirittura inviato da medici o da operatori sociali. Alcuni chiedono di passare una notte e di avere un pasto caldo, altri hanno bisogno di un’accoglienza che si protrae fino ad alcuni mesi.
La povertà crea anche una nuova solidarietà anche tra italiani e stranieri?
Ramonda: Si, decisamente. Questo capita sia tra i nostri volontari, ma tra le persone anche di diversa nazionalità che vivono nelle nostre case, le quali sono le prime a rendersi disponibili per andare in piazza. Tra l’altro quest’anno quest’iniziativa è stata aperta in altri paesi, dall’America Latina, all’Africa ad altri paesi dell’Europa. Lo spirito con cui abbiamo esteso quest’iniziativa è quello di una formula interculturale.
E lo Stato, le autorità comunali, come si pongono davanti a queste iniziative?
Ramonda: Quando noi chiediamo permessi per i nostri gazebo da montare sulle piazze o nelle strade sono molto disponibili. Sono anche interessate ad iniziative di questo genere per la realtà di condivisione che queste generano sui loro territori. Allo Stato noi attraverso questi eventi chiediamo di assumersi le proprie responsabilità e che non dia per elemosina ciò che è dovuto per giustizia. Inoltre cerchiamo di fare in modo che anche ai cittadini poveri vengano riconosciuti i diritti fondamentali: il diritto di avere una famiglia, il diritto di avere una casa, il diritto alla sanità. Noi non vogliamo che queste iniziative vadano a supplire delle carenze dello Stato, ma chiediamo che vadano ad integrare scelte di una giustizia sociale che comunque è sempre fondamentale e necessaria.
Aggiungi un pasto a tavola: la solidarietà è in piazza
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