Intanto un tribunale assolve le ‘Femen’ e condanna i sorveglianti che le avevano trascinate fuori da Notre Dame
Lo scorso giovedì 11 settembre si è svolto per la decima volta l’incontro (istituito nel 2002) tra governo e conferenza episcopale francese, allo scopo di “affrontare, analizzare e se possibile risolvere i problemi che possono apparire nelle relazioni tra la Chiesa e i poteri pubblici” (card. Ricard durante l’assemblea annuale dei vescovi del 2002). Al tavolo, da parte governativa, il primo ministro Manuel Valls insieme con Laurent Fabius (Esteri e sviluppo internazionale), Marisol Touraine (Affari sociali, salute e diritti delle donne), Bernard Cazeneuve (Interno). Per la Chiesa erano invece presenti il nunzio apostolico Luigi Ventura, il card. André Vingt-Trois (arcivescovo di Parigi), mons. Georges Pontier, presidente della Conferenza episcopale con altri quattro rappresentanti dello stesso organismo. Non c’erano né la Guardasigilli Christiane Taubira (‘madre’ del ‘mariage pour tous’) né Najat Vallaud-Belkacem, la neo-ministra dell’Educazione nazionale, insegnamento superiore e ricerca, attivissima promotrice dell’ideologia del ‘gender’.
Durante l’incontro si è discusso tra l’altro di cooperazione tra istituti superiori cattolici e università, di finanziamento delle associazioni di culto e di “questioni di società”. Queste ultime – non indicate espressamente nel comunicato governativo, a somiglianza di quanto accaduto con Hollande dopo la visita in Vaticano del 24 gennaio 2014 – sono in particolare la questione dell’estensione della possibilità di fecondazione artificiale (PMA, il governo al momento ne ha rinviato la trattazione), quella delle eventuali ‘aperture’ sull’utero in affitto (GPA), quella della disoccupazione crescente.
Il triste caso delle ‘Femen’ a Notre Dame e della loro assoluzione
Nel colloquio si è parlato anche degli atti “degradanti” commessi contro “gli edifici di culto cattolici”. Un punto oggi di particolare importanza, citato espressamente stavolta nel comunicato governativo. In Francia la cristianofobia è in netto aumento, come del resto anche l’antisemitismo (nei primi sei mesi di quest’anno gli atti di carattere antisemita hanno oltrepassato quota 500, raddoppiando rispetto al 2013). Non a caso il card. Ving-Trois ha twittato (il 12 settembre alle 16.20) la seguente frase: “Il ministero dell’Interno è attento alle degradazioni nelle chiese e ci ha domandato che esse siano tutte segnalate ai prefetti”. Proprio nella sua diocesi il porporato ha avuto anche di recente esperienze penose in questo senso. Ad esempio il 12 febbraio 2013 nove attiviste del gruppo “Femen”, accompagnate come di consueto dalle truppe mediatiche di complemento, entrate coperte di mantelli in Notre Dame, se li erano tolti e, a seno nudo e con scritte offensive sul torace, avevano voluto ‘festeggiare’ la rinuncia di Benedetto XVI e protestare contro l’opposizione cattolica al ‘mariage pour tous’ interrompendo le funzioni, strepitando e colpendo con bastoni (foderati di feltro) le tre campane esposte nella navata per l’850.mo della cattedrale.
Alcuni sorveglianti avevano cercato di coprirle e trascinarle fuori, obiettivo raggiunto a prezzo di grandi sforzi dato che le erinni erano scatenate. Giudicate dal tribunale correzionale di Parigi con l’accusa di aver danneggiato lievemente una campana, il 10 settembre le “Femen” sono state assolte, “dato che non sussistevano prove sufficienti per imputare loro il danno”. Sono stati nel contempo condannati a multe di 1000, 500 e 300 euro tre sorveglianti per una pressione fisica “eccessiva” su tre militanti al momento dell’espulsione dalla cattedrale. Si può subito notare che, invece di imputare alle “Femen” una provocazione all’odio religioso (vedi legge francese del primo luglio 1972 che punisce “la provocazione alla discriminazione, all’odio o alla violenza nei confronti di una persona o di un gruppo di persone in ragione della loro origine o della loro appartenenza a una etnia, una nazione, una razza o una religione determinata”), chi avrebbe dovuto agire per via giudiziaria ha pensato bene di non suscitare altri polveroni mediatici e di aggrapparsi perciò a un capo d’accusa ridicolo in confronto alla gravità dell’offesa perpetrata. Il risultato è stato che le “Femen” esultano, tanto che la loro fondatrice Inna Shevchenko ha reagito così: “Siamo contente che la nostra critica delle istituzioni religiose non sia stata condannata.
E’ un gran bell’esempio per tutti gli altri Paesi”. La sentenza del 10 settembre può costituire un incitamento a compiere altri atti del genere: in ogni caso sarebbe un precedente incoraggiante per ogni sorta di fanatici, uno stimolo potente per la nota lobby a moltiplicare gli atti di irrisione del cattolicesimo. Tra le reazioni citiamo quella del sindacato francese dei lavoratori cristiani, che giudica “incomprensibile la condanna di tre sorveglianti della Cattedrale di Parigi da parte del tribunale correzionale”, poiché “tali salariati, nell’esercizio delle loro funzioni e conformemente al loro contratto di lavoro, sono stati costretti ad intervenire dentro un edificio religioso per porre termine a un happening selvaggio, violento, grossolano e insultante per i credenti”.
Ma in altri casi…
Non può non far pensare il fatto che ben diverso è stato il trattamento riservato dalla giustizia transalpina e dalla maggioranza parlamentare agli oppositori della legge del mariage pour tous, imposta al popolo francese ignorandone il parere contrario e le continue manifestazioni imponenti di piazza. Un breve elenco.
Primo. Alcuni studenti universitari (membri del gruppo “Hommen”, creato come parodia delle “Femen”) perturbano brevemente nel giugno 2013 la finale di tennis del Roland Garros (due fumogeni tenuti in mano e subito spenti, alcuni cartelli che chiedevano le dimissioni di Hollande e rivendicavano il diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre): annullato per vizi giuridici il processo del luglio seguente, il 24 giugno di quest’anno il pubblico ministero ha chiesto per quattro di loro pene di 12 mesi con la condizionale e, per uno, anche sei mesi di reclusione, fondandosi soprattutto sulla considerazione che il fumogeno è un’arma (ma allora i bastoni delle “Femen”?). Sentenza il prossimo 23 settembre.
Secondo. Il 23 aprile 2013, durante la discussione finale della legge sul ‘mariage pour tous’, il presidente dell’Assemblea nazionale Claude Bartolone, individuato tra il pubblico delle tribune di Palazzo Borbone un piccolo cartello con la scritta “Referendum”, colto da un accesso d’ira ordina: “Cacciate i nemici della democrazia! Fuori i nemici della Repubblica! Non c’è posto per i nemici della democrazia!”.
Terzo. All’inizio di aprile del 2013 Franck Talleu, direttore di scuola cattolica parigina, si incontra con la famiglia ed alcuni amici nei giardini del Lussemburgo. Indossa la maglietta con il logo della Manif pour tous, papà, mamma, figlio, figlia. Un solerte gendarme gli ordina di toglierla. Al suo rifiuto Talleu viene portato in commissariato, interrogato per un’ora e accusato… di quale atto nefando? Dapprima lo si imputa di “porto di una tenuta contraria ai buoni costumi”, poi – accorgendosi che tale motivazione avrebbe potuto suonare troppo grottesca anche per i più fanatici fautori del ‘mariage pour tous’ – il capoposto l’ha corretta in “organizzazione di una manifestazione ludica senza autorizzazione”. E’ seguita un’ammenda di alcune centinaia di euro.
Quarto. Casi come quelli di Talleu ce ne sono stati altri. nell’aprile 2013 nei giardini del Lussemburgo
, non lontani dal Senato. Una studentessa che stava facendo jogging e portava la maglietta con il logo è stata accusata del fatto (secondo gli zelanti ‘tutori’ dell’ordine pubblico) che “disturbava la tranquillità dei passanti portando ostentatamente elementi relativi a una manifestazione vietata”. Interrogatorio, controllo dell’identità e multa anche per un giovane industriale con la stessa maglietta. Pure un controllore di gestione è incappato nella solerzia di un gendarme: essendosi rifiutato di togliersi la maglietta con il logo e avendo gridato “Hollande, non vogliamo la tua legge!” è stato accusato di “disturbo della quiete pubblica con grida e vociferazioni”. E se avessi urlato “Hollande, la tua legge passerà”? ha chiesto il malcapitato al gendarme. La candida risposta: “Non avresti avuto nessun problema!”. Ci fermiamo nell’elenco, poiché la ‘candida risposta’ è tale da far comprendere tutto o quasi anche a un marziano atterrato magari nel mezzo del Jardin du Luxembourg.
E il 5 ottobre la ‘Manif pour tous’ torna in piazza, dopo la nomina di Najat Vallaud-Belkacem a ministro dell’Educazione nazionale
Intanto il 5 ottobre la Manif pour tous tornerà in piazza, stimolando il dibattito pubblico – oltre che sulla questione della famiglia – su argomenti come l’utero in affitto (“La persona non è una merce”), la fecondazione artificiale e l’educazione scolastica. Attualissimo quest’ultimo, anche per la ‘promozione’ nel secondo governo Valls (26 agosto scorso) di Najat Vallaud-Belkacem da ministro dei Diritti delle donne, della città, della gioventù e degli sport a ministro dell’Educazione nazionale, dell’insegnamento superiore e della ricerca. Insieme con la Guardasigilli Christiane Taubira (legge sul mariage pour tous), la quasi trentasettenne politica socialista è la bestia nera degli oppositori della rivoluzione antropologica inaugurata dalla presidenza Hollande. Non a caso la sua nomina del 26 agosto è stata definita da Ludovine de la Rochère (presidente della Manif pour tous) come “una provocazione per un gran numero di francesi” e da decine di migliaia di militanti come il segno di “una guerra contro la famiglia” e una “vittoria per la lobby LGBT” in un settore così importante come l’educazione nazionale. Per Laurent Wauquiez (già ministro incaricato degli Affari europei, poi dell’Insegnamento superiore e della ricerca tra il 2010 e il 2012) Najat è “un’ultras dell’ideologia del gender”; per un altro ex-ministro, Christine Boutin(presidente onorario del partito democristiano) “è un’ideologa e la provocazione è intollerabile”, per il mensile cattolico conservatore ‘Valeurs actuelles’ è “un’ayatollah”.Di lei si evidenzia anche come sia stata all’origine della diffusione dell’ Abcd de l’égalité, strumento fondamentale della nota lobby perché attraverso la scuola si rivoluzioni la mentalità in materia di famiglia e identità della persona. L’ Abcd , di fronte alla forza inaspettata delle proteste di molti genitori e insegnanti (che si sono tradotte anche nelle giornate di ‘ritiro dalla scuola’ per decine di migliaia di studenti), è stato momentaneamente accantonato a giugno 2014 da Benoit Hamon, predecessore di Najat Vallaud-Belkacem e sostituito però con un corso obbligatorio sull’argomento per il personale insegnante.
Da pastorella maghrebina a ideologa sorridente della République, ma intransigente nel perseguire una rivoluzione antropologica attraverso la scuola.
Nata il 4 ottobre 1977 in un villaggio marocchino del massiccio del Rif, a quattro anni – vedi l’intervista al periodico ‘La Vie’ del 13 febbraio 2013 – Najat accompagnava il nonno a custodire le capre. Doveva essere una versione maghrebina di Heidi, tipetto elvetico di carattere. Il padre era immigrato come operaio nel settore edile in Francia poco prima della nascita di Najat, ma nel 1982 colse la possibilità data dalla norma sul ricongiungimento familiare per portare il resto della famiglia nel sobborgo di Amiens in cui viveva. Najat (che in arabo significa “salvata”) imparò in fretta il francese, ascoltava e leggeva molto (“Mi sono strappata alla mia condizione attraverso la scuola e la lettura”). Intanto la famiglia cresceva, arricchendosi di altri cinque figli. Iscritta alla Facoltà di diritto di Amiens, Najat ha ormai acquisito anche la nazionalità francese e completa i suoi studi presso l’Institut d’Etudes Politiques di Parigi. Conosce in biblioteca il futuro marito Boris Vallaud, poi alto funzionario socialista diplomato dell’ Ecole nationale d’amnistration, la famosa Ena ben presente nel governo Valls. Nel 2008 nasceranno due gemelli, chiamati Louis e Nour. Intanto Najat, che si dice musulmana credente anche se poco praticante (“Le radici sono importanti”), fa carriera nel partito socialista, eletta per la prima volta nel 2004 come consigliera regionale, poi scelta come portavoce di Segolène Royal per le presidenziali nel 2007 e di Hollande nel 2012. Responsabile nazionale socialista dal 2009 per le questioni di società (in particolare si occupa dei diritti Lgbt e di bioetica), ritiene che sia giunto il momento di “tradurre l’evoluzione del modello familiare nelle leggi”. Il 15 maggio 2012 viene nominata ministro dei Diritti delle donne e portavoce del governo nel nuovo esecutivo socialista. A settembre le viene affidato anche l’incarico di responsabile della “lotta anti-omofobia”, come scrive lei stessa nel suo portale “contro tutte le discriminazioni e le violenze legate all’orientamento sessuale e l’identità di genere”. Il 2 aprile 2014 le vengono aggiunti altri incarichi riguardanti città, gioventù e sport. Finalmente il 26 agosto scorso diventa ministro dell’Educazione nazionale, dell’insegnamento superiore e della ricerca (considerato il terzo ministero più importante). Come ministro dei Diritti delle donne fa approvare il 4 agosto 2014 una legge che rende più facile l’aborto e più difficile l’obiezione di coscienza nonché l’informazione antiabortista. E’ favorevole a una legge che permetta l’utero in affitto e chiede che ogni donna possa disporre liberamente del proprio corpo senza incontrare ostacoli normativi. Assiste ostentatamente al primo “matrimonio” omosessuale, ‘celebrato’ a Montpéllier. Ispira e diffonde – tra l’entusiasmo della nota lobby – l’ Abcd de l’égalité , poi accantonato nel giugno scorso a causa delle resistenze popolari. Ora però ha già dichiarato che, nella nuova veste, cercherà di imporlo a tutte le scuole. Sua anche la promozione del contestatissimo libretto “Papà porta la gonna” e l’appoggio a una decisione dell’Accademia di Nantes di chiedere agli studenti di 27 licei di vestirsi pubblicamente da donna per un giorno, così da lottare contro gli “stereotipi sessuali”.
Najat Vallaud-Belkacem, al di là dei sorrisi di cui è prodiga, è un tipo poco arrendevole. Come osserva l’abate Pierre-Hervé Grosjean – un sacerdote trentaseienne della diocesi di Versailles noto specialista di questioni bioetiche e sociali (oltre che di ‘nuova’ comunicazione) che ha dibattuto con lei in tv sul ‘mariage pour tous’- Najat “suscita un misto di simpatia e di ammirazione, ma dietro le sue parole si cristallizza una filosofia molto dura”. Che si traduce nella necessità e nell’urgenza di una rivoluzione antropologica che s’ha da imporre senza c
ompromessi, attraverso gli strumenti fondamentali della scuola di Stato, dei media e delle leggi. Ne è ben cosciente l’intero mondo cattolico di Francia?