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La nostra fede ha bisogno delle prove dell’esistenza di Dio?

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 15/09/14
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La notizia che sarebbe stata dimostrata la correttezza del teorema di Gödel sull’esistenza di Dio riapre uno dei capitoli più discussi del rapporto tra scienza e fede.
La questione è antica, anche se i protagonisti di questa storia sono contemporanei. Due ricercatori avrebbero dimostrato con un calcolo realizzato sul proprio laptop la correttezza del teorema del matematico Kurt Gödel che suona, in poche parole, così: “se Dio è possibile allora esiste necessariamente. Ma Dio è possibile. Quindi esiste necessariamente”. Per la verità, gli stessi ricercatori si sono affrettati a sostenere che questa verifica altro non dimostrerebbe se non le avanzate capacità della tecnologia rispetto a quella dei tempi di Gödel. Tuttavia, il fatto stesso che si siano impegnati a rientrare in un campo così spinoso incuriosisce, e ci riaccende ricordi di furiosi dibattiti teologici persi nel tempo. La questione della prova dell’esistenza di Dio ha più di mille anni, e vale la pena, oggi, di chiedersi quale sia la sua attualità. Ne abbiamo parlato con Padre Gabriele Gionti, gesuita e studioso presso la Specola Vaticana. 

Qual è la novità del teorema di Gödel? 
Gionti: Io ho molta familiarità soprattutto con l’altro suo teorema, cioè quello dell’incompletezza dei sistemi assiomatico deduttivi. Lì lui ha dimostrato che ogni sistema assiomatico deduttivo, come sono ad esempio i teoremi matematici, hanno delle incompletezze, cioè hanno delle verità che non possono essere raggiunte col procedimento ipotetico deduttivo, appunto quello che si usa nella matematica. Questo teorema aprì nel pensiero matematico scientifico contemporaneo un grosso dibattito, perché di fattò dimostrò che la scienza non è onnipotente: ci sono incompletezze, cose che noi non possiamo raggiungere. Del teorema di Gödel che riguarda direttamente l’esistenza di Dio va ricordato che lui non lo pubblicò mai, ma lo tenne nascosto e venne alla luce solo dopo la sua morte. In realtà, non l’ho studiato a fondo, come andrebbe fatto prima di poter esprimere un qualche giudizio approfondito. L’unica mia perplessità nasce dal fatto che esiste, dal punto di vista filosofico, una certezza, ed è la seguente: l’essere umano, l’intelligenza umana non può dimostrare l’esistenza di Dio per motivi filosofici razionali, perché qualora l’uomo riuscisse a dimostrare l’esistenza di Dio, questo Dio sarebbe comunque controllabile dall’uomo, e quindi non sarebbe Dio. Il ragionamento è molto semplice. Da questo nasce il mio scetticismo iniziale rispetto a questo articolo che parla di verifica del teorema. Ora, dato che Gödel era un matematico sopraffino, dobbiamo chiederci cosa intendesse lui per essere superiore dimostrato logicamente. Questo è il punto. Detto questo, anche se si dimostrasse un Dio assoluto e necessario, questo certamente non è il Dio cristiano. Questo perché il Dio cristiano non ha necessità. È convincente, non lui, ma la sua conoscenza, il modo in cui le cose derivano da lui. 

In che cosa questo teorema moderno è diverso dalle prove dell’esistenza di Dio del Medioevo?
Gionti: Tutte le argomentazioni delle prove teologiche dell’esistenza di Dio sono argomentazioni in cui in realtà l’esistenza di Dio si suppone già dall’inizio per fede e se ne dimostra la ragionevolezza. Non si dimostra niente, di fatto. Anche le prove di San Tommaso d’Aquino, non sono prove che funzionano negando prima e dimostrando poi Dio. Sono prove nelle quali San Tommaso dice: io non escludo il mio retroterra di fede, ma dimostro che l’esistenza di Dio è ragionevole, con prove sulla contingenza, sulla finalità, ecc. La prova ontologica di S. Anselmo funziona allo stesso modo: Dio è già presupposto. Questo perché se si dimostra col ragionamento umano Dio, questo Dio è controllato dall’uomo, diventa un prodotto della mente umana; ma questo è contro il concetto di Dio in sé, c’è una contraddizione logica di fondo.

Le cose cambiano quando l’Illuminismo separa scienza e fede?
Gionti: Kant critica l’argomento ontologico di fatto mettendo in discussione il finalismo, che ritiene che se esiste una casa necessariamente deve esistere un architetto che l’ha costruita. Ma questo, dice Kant, non è dato poiché non c’è questa connesione logica diretta: potrebbe anche non esistere l’architetto che ha progettato la casa. Dal punto di vista logico egli ha ragione, però c’è un punto che va ricordato: Kant aveva letto l’argomento ontologico da Cartesio, il quale non aveva capito che la prova ontologica in Sant’Anselmo non era avulsa dalla teologia. Cartesio l’aveva interpretata come un argomento filosofico razionale, mentre l’argomento originale di Sant’Anselmo d’Aosta presupponeva che Dio esiste, ma voleva spiegarlo “meglio” da un punto di vista logico, cercava di trovare un argomento logico che confermasse qualcosa che lui già sapeva, che fosse un’esplicazione ulteriore, non una prova. Quindi alla base il problema è stato un fraintendimento delle prove dell’esistenza di Dio teologiche, che nel Medio Evo avevano già capito che un Dio non puoi dimostrarlo con ragionamento umano. Dio è superiore alla mente umana.

Oggi c’è qualche senso nel partire da una formula matematica per arrivare a Dio, e quindi alla fede? 
Gionti: E’ un punto molto delicato: qual è la connesion tra le teorie matematiche e la fede, o meglio c’è un punto di connessione? Da un punto di vista strettamente matematico, come di ogni sistema scientifico, la fede non è un ingrediente indispensabile. Se ne può fare anche a meno, tant’è vero che esistono tantissimi scienziati che sono non credenti, alcuni anche atei, che sottolinenao questo. Questo dal punto di vista dello scienziato credente non è accettabile. Costui ha una posizione diversa perché continua ad utilizzare il metodo scientifico come il non credente, però in più ha questa fede che, proprio perché fede non si dimostra, è qualcosa di esistenziale, legato alle sue convinzioni profonde. Lo scienziato credente trova nella scienza, in questa scienza che è così armoniosa e bella, una connessione con la bellezzza, se vogliamo, della sua fede. Una connessione con la bellezza di un Dio creatore e benevolente che secondo la sua fede ha creato questo mondo e l’ha organizzato secondo una struttura, diciamo, scientifica. Quindi egli trova una conferma a “posteriori”, un po’ come erano le prove dell’ esistenza di Dio dei teologi del Medioevo. Essi erano credenti, nel mondo trovavano un’armonia, e quest’armonia era in connessione con la loro fede. La loro era una prova non scientifica, ma profonda e indiretta, che esisteva quest’armonia, ma è una cosa che non si riesce a dimostrare con il metodo scientifico come vogliamo fare noi. 

Sembra quasi che l’uomo moderno piuttosto che l’esistenza Dio voglia dimostrare la capacità della propria intelligenza?
Gionti: Quello che dice è giusto: questi sono i cosiddetti deliri di onnipotenza, nei quali io presumo di poter arrivare laddove non c’è scienza, ma c’è solo il mio delirio. E questo può essere pericoloso. 

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