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Quel «divieto di elemosina»

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Vinonuovo.it - pubblicato il 12/09/14
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Perché le molestie dei potenti e dei ricchi si possono tollerare e quelle dei poveri no?
La notizia è del 9 settembre, ma è solo l’ultima della serie. A Pontremoli il sindaco Lucia Baracchini ha emesso un’ordinanza, che vieta di chiedere l’elemosina nel centro storico, nei mercati, davanti alle chiese e di fronte ai negozi, pena multe dai 25 ai 250 euro. Motivazione: evitare "potenziali situazioni di pericolo per pedoni e veicoli" e "garantire l’incolumità delle persone". Verrebbe da obiettare che se c’è qualche mendicante che ha comportamenti pericolosi, si agisce su di lui, non sull’intera categoria: sarebbe come dire che siccome ho un collega assenteista, il mio datore di lavoro licenzia tutti i dipendenti.

Ma quello che mi interessa sottolineare è che esistono non pochi precedenti a questa scelta. A Bressanone l’ordinanza antiaccattonaggio è del 2013, a Cairo del 2012, a Ugento del 2011, a Mantova del 2010, a Cesenatico del 2009, a Civitanova del 2008 e via elencando. Il sindaco di Padova ha promesso che la farà a settembre. A questo tipo di provvedimenti si aggiungono anche le multe e i rimpatri per i senza fissa dimora e altre cose simili adottate in diverse città. Sindaci di destra e di di sinistra, con l’appoggio di molti cittadini e dei privati.

In agosto, a Catania, sulla porta di un supermercato è comparso un cartello che diceva: «la direzione del supermercato invita i propri clienti a non elemosinare gli accattoni davanti al negozio. Il loro elemosinare gli permette di raccogliere dai 60 ai 100 euro al giorno, tanto quanto un operaio specializzato italiano considerando un importo netto senza tasse». La sottolineatura nasce dal fatto che nel cartello la parola "italiano" è evidenziata, il che tradisce una vaga sfumatura razzista. Ma sfumature e inciampi grammaticali a parte, in questo caso a provocare la reazione – secondo la direzione del supermercato – sarebbe stato il fatto che da anni una famiglia Rom chiedeva l’elemosina davanti all’ingresso, allontanando i clienti indispettiti dall’insistenza.

D’altra parte, il problema è antico. Già nel medioevo i mendicanti venivano espulsi dalla nostre città, con la motivazione che erano stranieri: solo i nativi erano autorizzati a chiedere. Anche in età moderna hanno subito spesso persecuzioni, in quanto vagabondi e fannulloni. E in Italia, formalmente mendicare è stato proibito fino al 1995. I divieti però non hanno mai funzionato, pare neanche in età medievale.

Queste piccole guerre civili contro i mendicati sono comunque una sconfitta su tutti i fronti. Su quello politico, perché sono conseguenza e sanciscono l’incapacità della politica e delle Pubbliche amministrazioni di mettere in campo politiche contro la povertà e per l’inclusione sociale. Su quello culturale, perché sono conseguenza e sanciscono la perdita di valori che pure erano fondanti per la nostra civiltà cristiana e occidentale: il riconoscimento della dignità delle persone, il rispetto dei diritti, la pietà per i deboli. Su quello individuale, perché è conseguenza e sancisce l’incapacità delle persone di "guardare negli occhi" i poveri e di aprire gli occhi sul problema.

Come ha detto il direttore della Caritas tirolese Georg Schärmer, «allontanare le persone povere dallo sguardo del pubblico non risolve niente. Il modo migliore per sconfiggere la povertà è aprire gli occhi». Chiedere che i poveri vengano allontanati e quindi nascosti risolve il problema emotivo, non certo quello della carità e della giustizia.

Quando Jorge Maria Bergoglio è stato eletto papa, il cardinale francescano Claudio Hummes gli ha detto: «Non ti dimenticare dei poveri!». Il tema della povertà – la povertà come condizione dolorosa e la povertà come scelta che la Chiesa deve fare propria – è diventato uno dei fili conduttori di questo pontificato. E quando il Papa parla dei poveri, non ne parla come una realtà astratta e indifferenziata. Agli studenti delle scuole dei Gesuiti in Italia ha detto: «Non si può parlare di povertà, di povertà astratta, quella non esiste! La povertà è la carne di Gesù povero, in quel bambino che ha fame, in quello che è ammalato, in quelle strutture sociali che sono ingiuste. Andate, guardate là la carne di Gesù…».

Credo che questa sia la prima cosa che dovrebbe essere chiara, quando si parla di provvedimenti di questo tipo: stiamo parlando di persone, ognuna con la propria storia. Stiamo parlando di vite umane. Dobbiamo guardarli negli occhi, perché anche la vita dei poveri va tutelata.

Su vitatrentina.it – il sito della diocesi di Trento – si legge che secondo Schärmer «può essere vero che alcuni mendicanti danno fastidio, ma sono più molesti quei gruppi politici dai toni populistici che chiedono insistentemente il voto dei cittadini, oppure le pressioni della società dei consumi e del superfluo che cerca, con metodi aggressivi, di sfilare di tasca anche l’ultimo spicciolo, soprattutto ai bambini ed ai giovani». Oltre a guardare in faccia i poveri, dobbiamo guardare in faccia la povertà, per capirne le cause e rimuoverle. Ma non vogliamo farlo, perché questo ci costringe a rispondere ad alcune domande scomode: perché le molestie dei potenti e dei ricchi si possono tollerare e quelle dei poveri no? Perché non riusciamo ad accettare che i poveri saranno sempre tra noi (Mt 26, 11)?

Per la Chiesa, questo è un tema cruciale. Una chiesa povera sta con i poveri. Come dice Georg Schärmer, «mi definisco io stesso un mendicante. Perciò non posso certo essere contro gli altri mendicanti». E d’altra parte, ha ricordato il sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani, «un paio di millenni fa c’era un tale che scacciava dal tempio i mercanti; non mi pare gli accattoni». A lui resta il problema politico, alla Chiesa quello di testimoniare non solo carità, ma anche la giustizia. Anche aiutando a scacciare qualche mercante dal tempio, non i poveri.

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