La psicoterapeuta Marie de Hennezel: così si rilancia la dignità dell’uomo
Si può morire con dignità senza ricorrere al suicidio assistito? Le cure palliative possono sostituire l’eutanasia per rasserenare, in qualche modo, un paziente in fase terminale? La strada è possibile, nonostante una tendenza sempre più diffusa a voler far passare il suicidio assistito come il percorso migliore per evitare sofferenze immani.
LA CONDANNA DELLA CHIESA TEDESCA
Su Il Sole 24 Ore (7 settembre)Arnaldo Benini prova ad argomentare: il suicidio assistito è richiesto da chi vuole morire con tranquillità e dignità, senza gettarsi nel vuoto, sotto il treno, spararsi, impiccarsi o annegarsi. In genere si tratta di malati senza possibilità di cura, compresi i sofferenti di depressione grave. In Germania ci sono circa dieci mila suicidi ogni anno. Le Chiese cattolica e protestante tedesca, in una dichiarazione comune del 2003, hanno condannato l’assistenza al suicidio come omicidio volontario eticamente intollerabile, anche se desiderato in condizioni normali d’intendere e di volere.
LE RESPONSABILITA’ DEL SUICIDA
Benini rincara: «Sia il suicida che chi l’aiuta compiono peccato mortale». Ma non è proprio così. La Chiesa Cattolica tiene conto anche di un punto di vista più soggettivo, come ha spiegato ad Aleteia (13 agosto) il teologo morale padre Maurizio Faggioni: «Ci possono essere alla base di questo gesto depressione, angoscia, disturbi psichici, che attenuano la responsabilità queste condizioni non ci permettono di accusare il suicida di aver compiuto un atto peccaminoso». La dichiarazione della Chiesa tedesca è diretta a quei pazienti che vengono "spinti" al suicidio assistito o che decidono, in piena lucidità, di effettuarlo. Quello sì che è un atto che la Chiesa Cattolica condanna in modo netto.
LA MORTE FELICE SECONDO KÜNG
Così come appaiono non molto solide le argomentazioni del teologo cattolico svizzero Hans Küng, citate sempre da Il Sole 24 Ore, secondo cui «la scelta della morte volontaria avviene nella fiducia in Dio, il credente non deve avere il senso di cadere nel nulla. Sarà una morte felice, egli dice, perché avviene nelle mani di Dio e libera da una condizione atroce e senza rimedio».
I PARADOSSI DEL TEOLOGO
E’ paradossale che alla fine dello scorso mese di giugno, una violenta crisi della sua malattia, il Morbo di Parkinson, l’abbia portato improvvisamente alla soglia della fine, evitata solo grazie a cure intense e prolungate. Un "accanimento terapeutico", accolto con favore dal teologo 86enne, che ha generato un lieve miglioramento al suo stato di salute, laddove la fase terminale sembrava essersi spalancata. Ma Küng è stato chiaro: le cure per il Parkinson le permetterà anche in futuro, seppur atroci e senza prospettive.
LA DEMENZA E L’INCAPACITA’ DI DECIDERE
Invece sceglierà la strada del suicidio assistito se sarà colto dalla demenza del morbo di Alzheimer (come il letterato Walter Jens, suo intimo amico). Küng sembra ignorare che la demenza, come nel caso di Jens, può spegnere la capacità di intendere e di volere prima e senza che la persona colpita se ne accorga, e questa è la regola più che l’eccezione.
IL BUSINESS NEGLI USA
Al di là dei paradossi del teologo pro-eutanasia, è molto grave quello che sta avvenendo negli Stati Uniti in tema di suicidio assistito. Scrive Massimo Gaggi sul Corriere della Sera (5 settembre): l’associazione dei medici ha invitato gli iscritti ad avviare coi pazienti affetti da patologie molto gravi una «conversazione» sulle varie opzioni per il periodo terminale della loro vita: vogliono combattere fino in fondo o, giunti in una condizione irreversibile, preferiranno spegnersi con la minor sofferenza possibile?
LA REGIA DELLE COMPAGNIE ASSICURATIVE
Dietro i medici si sono mosse le assicurazioni sanitarie che hanno cominciato a pagare le consulenze fornite ai pazienti su questi problemi, al pari delle altre visite o dei test clinici.
L’intervento dei giganti assicurativi, che hanno un ovvio interesse a minimizzare le spese mediche da coprire, suscita qualche perplessità. Davanti al rischio che anche i consigli sulla «buona morte» divengano un business, gli americani ora si chiedono se un criterio passato attraverso il filtro della politica non sia, dopo tutto, meglio di una scelta basata su logiche di mercato.
UNA TERZA VIA E’ POSSIBILE
Di fronte a queste contraddizioni, la psicoterapeuta francese Marie de Hennezel, in un’intervista ad Avvenire (4 settembre) prova ad incentivare una "terza via". Nè Küng, né business di consulenti e assicuratori, ma un percorso che parte da un presupposto: «Si confonde la dignità con l’integrità del corpo oppure con l’autonomia e si dà per scontato che, con il venir meno di questi requisiti, non resti altra strada che quella di procurare o procurarsi la morte. Ma non è così».
ACCOMPAGNARE IL MALATO TERMINALE
Secondo la psicoterapeuta «molte volte i pazienti terminali si convincono di essere inutili, mentre invece possono ancora svolgere un compito prezioso». E cioè «permettere di prenderci cura della loro infermità, accompagnandoli in un percorso che non è mai prevedibile, intessuto com’è con la parte più profonda dell’uomo». Nella sua esperienza terapeutica, de Hennezel dice di aver spesso notato «come le persone che hanno il coraggio di compiere un cammino di consapevolezza, pensando ogni giorno alla morte che le attende, sono anche in grado di vivere gli ultimi giorni in serenità, con una leggerezza che rivela molto della nostra umanità».
IL CASO MITTERAND
L’esempio emblematico è quello di François Mitterrand, amico della psicoterapeuta. Nel 1994 i medici lo avevano dato per spacciato, ma lui visse ancora due anni. «C’erano troppi progetti, troppe energie nella sua vita perché tutto si interrompesse bruscamente – conclude – una sua affermazione è rimasta celebre: ‘Non ho abolito la pena di morte per reintrodurla sotto altra forma’».