Un nuovo libro ci invita a percorrere alcune strade delle “periferie esistenziali”
“Ci dobbiamo s-collocare”, oltrepassando i nostri consueti punti di vista per capire davvero la realtà. Questo era stato l’invito di papa Francesco nel novembre del 2013 ai Superiori Generali. Il testo intero di quell’esortazione compare, come ad indicare la direzione agli autori, nelle prime pagine di Esclusi. Nelle periferie esistenziali con papa Francesco, il libro ora in libreria di Nandino Capovilla e di Betta Tusset (Paoline, 2014), che racconta otto storie di emarginazione e di indifferenza. Eppure, man mano che ci si inoltra nella lettura di queste storie, si comincia a sentire che “gli esclusi” non sono coloro che camminano ai bordi della società, ma noi stessi, che lo siamo in qualsiasi momento ci “chiudiamo” all’ascolto della realtà che abbiamo intorno. Per questo gli autori nell’introduzione del libro, che include anche la prefazione dell’ex-ministro all’integrazione On. Cécile Kashetu Kyenge, chiedono di lasciarsi “coinvolgere insieme a noi dai nostri amici che la vita ha reso ‘scarti’ scomodi o addirittura invisibili. Fino a che, piano piano, incoraggiati dalle parole e dai gesti di papa Francesco, da vicini di treno proveremo tutti a divenire compagni di viaggio”. Aleteia ha intervistato uno degli autori, don Nansino Capovilla, ex-coordinatore di Pax Christi Italia.
Chi sono gli esclusi, nel 2014?
Don Nandino: L’occhio corre sempre al titolo, di un evento o di un libro. Anche in questo caso il titolo colpisce per la sua essenzialità, ma anche per la storia che racchiude o per le evocazioni che sono in questa parola, “esclusi”. C’è dunque una storia di esclusione, vedere l’umanità con gli occhi degli uomini, uomini che guardano per forza di cose “da un punto di vista”, da un paese, da Nord, da Sud, dall’alto, dal basso, dalla ricchezza o dalla povertà. Questo presuppone quindi un punto di osservazione. Nella storia questo approccio ha fatto sì che nascesse un progetto politico, una dittatura, da una parte o dall’altra, o di altre situazioni di esclusione, anche di popoli interi. In questo s’inserisce anche il messaggio evangelico che invece parte da un’alleanza di fondo e da una figliolanza che ci fa uguali. E allora per parlare di esclusione io non temerei di fare riferimento anche a periodi storici che magari hanno una loro ambiguità, dove questa stagione ha prodotto anche lotta di liberazione, non temerei – e mi sembra che sia anche la linea di papa Francesco, “non temiamo” – di dover prendere atto di un’esclusione che ci vede accondiscendenti, troppo poco attenti a capirne le conseguenze. La Chiesa stessa è stata spesso troppo leggera nell’accordare un’approvazione a progetti di esclusione. Quindi il libro parla del presente che ci consegna il messaggio evangelico che tutte le mattine da Santa Marta risuona fortissimo per noi cristiani, un messaggio che soprattutto diventa una presa di coscienza per il mondo laico di quanto oggi la Chiesa stia veramente proponendo un progetto di convivenza umana che parte proprio dall’idea che nessuno va escluso
Chi sono le persone di cui ci raccontano le storie?
Don Nandino: Sono le persone che incrociamo nella quotidiana accoglienza della nostra piccola comunità cristiana, ma che diventano storie di tutti coloro che possiamo incontrare sul bus o alla stazione. La differenza consiste nel fatto che negli incontri quotidiani che facciamo per la strada “l’altro” ci fa paura. Soprattutto, sentiamo il bisogno di definirlo: barbone, clochard, senzatetto, un possibile pericolo per la mia incolumità. Eppure quando gli si aprono le porte, come accade nella nostra piccola comunità, coloro che vengono a fare colazione la domenica mattina e nei giorni di festa diventano immediatamente fratelli. È curioso, sappiamo che è così, però la predisposizione ci fa immediatamente dire “queste storie di chi sono?”. Sono storie di migranti, di persone che vivono nel pianerottolo lì davanti, italiani, stranieri, donne e uomini. Le più diverse. In questo caso metà italiani e metà no.
È possibile che gli esclusi siamo noi, perché incapaci di ascoltare il mondo?
Don Nandino: La provocazione è bella. Effettivamente c’è una scoperta che facciamo quando veramente ascoltiamo una persona. Spesso guardiamo una persona ma stiamo pensando ad altro. L’ascolto attivo impone che tu veramente abbandoni la tua storia, il tuo dramma, la fatica, il lavoro e la famiglia, e l’altro diventa la priorità. Non è tanto un gesto dall’alto in basso, non c’è un’elemosina, una carità. Noi siamo i veri esclusi se ci tiriamo fuori da quest’ascolto dell’altro.
Crede che la Chiesa abbia raccolto, anche nelle parrocchie, l’invito di papa Francesco ad incamminarsi verso “le periferie esistenziali”?
Don Nandino: Sarebbe troppo facile dire di sì, ed invece io dico di no. Abbiamo espresso i più grandi entusiasmi per quell’invito, a parte piccole frange, ma non abbiamo preso veramente sul serio questa che nel nostro libro chiamiamo senza troppo timore “rivoluzione”. Ogni rivoluzione ha bisogno di tempo, naturalmente, ma anche di essere presa sul serio. Mi sembra che abbiamo accolto questa come una novità di cui siamo tutti contenti, ma le conseguenze non hanno proprio scosso ancora alla radice la Chiesa italiana, i presbiteri, la comunità cristiana. Ci dicevamo qualche giorno fa tra noi che se veramente avessimo accolto quell’invito, a settembre i responsabili dei seminari avrebbero dovuto dire: “è cambiato tutto, ora dobbiamo cambiare tutto”. Invece stiamo riprendendo un po’ le solite impostazioni. Quindi, questo è il motivo per il quale direi di no.