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La Chiesa è nemica della Scienza?

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Il Timone - pubblicato il 03/09/14
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San Giovanni Paolo II ha ricordato più volte l’unità tra scienza e fede “L’impegno scientifico non riguarda la sola sfera intellettuale. Esso coinvolge l’uomo intero»
Immaginiamo un’udienza di san Giovanni Paolo II con un gruppo di insegnanti di discipline scientifiche. Anche in mancanza di una testimonianza diretta, non è difficile ipotizzare il tono e i contenuti che avrebbero potuto animare l’incontro; almeno nelle sue linee portanti, fatta salva l’imprevedibilità e l’originalità di ogni incontro con uomini di quella statura. 

Il Papa polacco avrebbe molto probabilmente iniziato richiamando l’attenzione sull’identità e sull’esperienza personale dei docenti, prima che sulle discipline o sulle, pur importanti, questioni epistemologiche e metodologiche. Ci piace pensare che avrebbe aperto il discorso ricordando la figura di un Maestro, in particolare di sant’Alberto Magno, come ha fatto nel suo primo incontro con scienziati e studenti a Colonia il 15 novembre 1980.

Il grande vescovo e naturalista tedesco può a buon diritto essere posto alle radici della scienza nel Medio Evo europeo, non solo per la vastità dei suoi studi e per il peso che hanno avuto per alcuni secoli i suoi scritti scientifici; ma soprattutto per alcuni elementi di modernità del suo approccio alle scienze: come il grande realismo e il ruolo dell’osservazione come fattore determinante della conoscenza della natura.

Non per nulla Pio XII nel 1941 lo ha proclamato patrono dei cultori delle Scienze naturali e Giovanni Paolo II ha ulteriormente precisato il valore di quella proclamazione additandolo come esempio di intellettuale cristiano: «Alberto riconosce l’articolarsi della scienza razionale in un complesso di ordine di conoscenze diverse, ove essa trova conferma della sua natura peculiare ed insieme si scopre orientata verso le mete proprie della fede. In questo modo Alberto ha concretizzato lo statuto di una intellettualità cristiana, i cui principi fondamentali sono da ritenersi ancor oggi validi».

Approfondendo i contenuti che delineano la fisionomia di un maestro e di un uomo di scienza, possiamo pensare che, sempre nella nostra udienza ricostruita, Giovanni Paolo II avrebbe messo in primo piano due temi, collegati tra loro, che hanno un enorme risvolto pedagogico e culturale: l’unità della persona, del soggetto della conoscenza, e la tensione alla verità, come linea portante della conoscenza stessa; come aveva fatto qualche mese prima, rivolgendosi a un convegno di studenti universitari, nel mese di Aprile del 1980: «Vi invito, perciò, a scoprire, nell’integrale e grandiosa unità interiore dell’uomo, il criterio al quale debbono ispirarsi l’attività scientifica e lo studio, per poter procedere in armonia con la realtà profonda della persona, e quindi al servizio di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. L’impegno scientifico non è un’attività che riguarda la sola sfera intellettuale. Esso coinvolge l’uomo intero». È legittimo pensare che tale impegno scientifico comprenda anche l’esperienza dell’insegnamento delle discipline scientifiche, che quindi andrà impostato con lo stesso respiro e secondo la medesima prospettiva di integralità.

Subito dopo ecco il nesso con la ricerca della verità: «Questi [l’uomo] infatti si lancia con tutte le proprie forze nella ricerca della verità, proprio perché la verità gli appare come un bene. Esiste dunque una inscindibile corrispondenza fra la verità e il bene. Questo significa che tutto l’operare umano possiede una dimensione morale. In altre parole: qualunque cosa facciamo – anche lo studio – noi avvertiamo al fondo del nostro spirito un’esigenza di pienezza e di unità».

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