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Sla, più ricerca non solo secchiate

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Quotidiano Meeting - pubblicato il 30/08/14
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Mario Melazzini, medico e direttore del Centro Nemo di Milano «La malattia, da maledizione a possibilità nuova di vita piena»di Victorita Bonarelli

Mario Melazzini è assessore alle Attività produttive della Regione Lombardia e direttore del centro clinico Nemo di Milano specializzato nella cura dei malati di Sla, Sclerosi laterale amiotrofica. Lui stesso è affetto da questa grave malattia da 11 anni, cioè da quando ne aveva 45, era un oncologo di fama e un appassionato alpinista. «Nel bel mezzo di una vita gratificante – racconta – mi sono scontrato col limite della malattia. Proprio a me, che ero medico per cercare di sconfiggere le patologie, veniva diagnosticata una malattia come la Sla, patologia che mi poneva di fronte all’impotenza della medicina e per la quale non esisteva una cura. Decisi che la mia vita non valeva la pena di essere vissuta e pensai di andare a farmi dare la morte in una clinica svizzera. Ma grazie a quel Mistero che ci circonda e all’aiuto degli amici, dopo un anno di totale isolamento, ho cominciato a guardare avanti, a pensare a quanto avrei potuto fare. Ho finalmente capito che ero una persona fortunata: l’incontro col mio limite mi permetteva di vivere la mia quotidianità con un valore aggiunto».

Quando la decisione di fondare il centro Nemo?
Mi sono impegnato ad aiutare gli altri prima nel sociale e poi, col tempo, proprio come medico. Sono entrato nella associazione italiana Sclerosi laterale amiotrofica e ne sono diventato presidente nazionale. Essere malato mi ha permesso di cominciare a capire quali fossero i reali bisogni del paziente e delle proprie famiglie. La malattia è neurologica ma nella gestione quotidiana diventa fondamentale una equipe di medici a tutto tondo: pneumologo, gastrointerologo, fisioterapista, fisiatra e, per il supporto ai disagi dell’intera famiglia, uno psicologo. Mi sono chiesto: tutti questi medici li abbiamo? Sì, ma il malato deve andarseli a cercare. E se noi mettessimo sotto lo stesso tetto tutti questi specialisti? Questo il principio del centro Nemo, dedicato alla cura globale del paziente e della sua famiglia. Le opere nascono dall’incontro con le persone che ci credono. Io ho avuto la fortuna di incontrare il professor Fontana. Abbiamo unito le mie competenze tecnico-scientifiche e le sue competenze amministrative e, supportati dalla fondazione Telethon, abbiamo lanciato questa provocazione alla Regione Lombardia. Formigoni, che allora era presidente, ci ha risposto subito positivamente e abbiamo avuto a disposizione una parte di un piano dell’ospedale Niguarda di Milano. Era il 2008. Quando ci sono entrato la prima volta sono stato assalito da una fortissima preoccupazione: come avremmo potuto trovare i soldi per sistemare quel posto? Abbiamo perciò dato vita alla Fondazione Serena, che ha raccolto fondi grazie alla solidarietà di privati e di aziende. Oggi il Nemo dispone di 20 posti letto e si avvale di un team di medici con specializzazioni differenti ma col medesimo linguaggio: quello dell’ascolto. Abbiamo replicato l’impresa a Messina e ad Arenzano, dove abbiamo aperto altri centri. Penso che guardare negli occhi i malati che abbiamo accolto sia la più grande gratificazione della mia vita.

Che cosa pensa dell’iniziativa nata in America per il sostegno alla ricerca per la Sla, l’ice bucket challange?
L’iniziativa è partita da giovane malato di Sla, che ha inventato la doccia gelata per sensibilizzare al problema, con possibile donazione di 100 dollari. Io ne sono venuto a conoscenza a metà agosto e ho subito pensato: la faccio anch’io! Ora vedo che il gesto è stato anche strumentalizzato. Ma il suo senso vero è chiaro: chi lo compie e chi lo vede è richiamato a svegliarsi quotidianamente su ciò che è la realtà, di una malattia come la Sla, che ti priva di tutto. L’ice backet challange non deve rimanere un fatto a sé, sporadico. Bisogna investire molto di più sulla ricerca a riguardo della Sla.

A che punto è arrivata oggi la ricerca sulla Sla?
La Sla è una malattia antichissima ma nuova per la ricerca. I ricercatori italiani sono tra i primi al mondo per quanto riguarda questa malattia. I lavori attuali più importanti sono due. Uno che si basa sull’identificazione potenziale di un marcatore genetico che permetterebbe l’attacco di piccole molecole che potrebbero avere uno sviluppo terapeutico sulla Sla. L’altro che ipotizza l’utilizzo della Pet per identificare la differenza tra chi è affetto o meno dalla Sla. Questo permetterebbe di diagnosticare il morbo anticipatamente e di individuare dei potenziali target terapeutici.

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