La lezione del filosofo Eugenio Mazzarella: «La modernità sostiene l’illusione dell’uomo di poter fare a meno di tutto»di Giovanni Ferrari
Eugenio Mazzarella è docente di filosofia teoretica all’Università Federico II di Napoli ed ex deputato Pd. Questa mattina, 28 agosto, alle 11.15 (all’Eni Caffè Letterario in A3) ha partecipto all’incontro “Alle periferie dell’esistenza nell’epoca del nichilismo”.
Si può veramente parlare di “epoca del nichilismo” o, piuttosto, il nichilismo è una tentazione del- l’uomo di ogni tempo?
Il nichilismo è chiaramente una tentazione dell’uomo di ogni tempo. Una tentazione che l’uomo ha sempre avuto perché non è altro che l’illusione che si possa fare a meno della strutturale dipendenza della propria umanità da tutte le condizioni nel suo contorno. Come direbbero i classici, dipendenza da «uomo, Dio, mondo». Si tratta di una presunzione nichilistica che fondamentalmente nasce da un’esposizione alla disperazione, dalla mancanza di speranza in altro e negli altri. E che porta a far conto solo su di sé. Questo è un tratto dell’animo umano e per certi aspetti persino una fonte di grandezza dell’uomo.
In che senso?
Se uno approfondisce le domande terribili che ci sono dietro a tale approccio, approfondendo – come diceva Giussani – l’essere dell’uomo che pone queste stesse domande, ritrova la possibilità di andare all’essenziale. E di capire che noi, anche quando ci pensiamo come soli, non possiamo fare a meno degli altri e dell’altro, sia pure nella forma negativa di negarlo.
Quindi perché oggi possiamo parlare di “epoca del nichilismo”?
Possiamo parlare di “epoca del nichilismo” (o di “nichilismo istituzionalizzato”) perché la modernità ha dato un poderoso strumento di sostegno a questa illusione dell’uomo di poter fare a meno di tutto (chiaramente a eccezione della tutela del proprio individualismo). Noi viviamo in una società che nello stesso tempo promuove e produce questa illusione. Ma siamo in un turning point, ci troviamo di fronte a un punto di svolta, perché la tecnica, l’avanzamento delle scienze e l’idea che si possa ridurre il mondo a una totalità misurabile, in realtà sono entrati da tempo in una fase, per così dire, di autocritica.
Da che cosa è scaturito questo cambiamento di rotta?
Tutto ciò risale almeno alla metà del Novecento. Dalla domanda sulla bomba atomica alla questione ecologica, dall’usura dell’habitat esterno alla questione dell’ecologia interna (cioè i grandi temi della bioetica). Da tutto questo sono emersi effetti collaterali inattesi, derivati dalla consapevolezza della stessa scienza e della stessa tecnica. Quindi, oggi siamo paradossalmente in un punto nel quale dalla critica della cultura (e, quindi, della tecnica) si è arrivati a un’attitudine più matura: questo affidamento che si presupponeva totale sulle proprie possibilità ha aperto tante opportunità, ma ha però messo in circolo una serie di scorie (sia materiali che morali e spirituali) che possono avvelenare i pozzi dello stesso avanzamento della libertà umana nel mondo della scienza e della tecnica.
Come affrontare tali scorie? A che cosa è chiamato l’uomo di oggi
La società contemporanea è chiamata a capire che la conoscenza umana (ben descritta dal verso dantesco «ma misi me per l’alto mare aperto») è anche la necessità di sapere che il mare è alto, nel senso dell’etimo latino (cioè profondo). E ha bisogno di sapere che la nostra nave (che certamente apre l’onda) deve sempre stare attenta a come la prende, per non ribaltarsi. In termini più sociologici, un tema del genere lo ha trattato Ulrich Beck parlando di una modernità che è entrata in una fase cosiddetta “riflessiva”, cioè di una società che sa di essere una “società del rischio”. E probabilmente in questa consapevolezza che non si può eludere ci sono grandi possibi- lità per noi: sono le cosiddette risorse riflessive. Sono risorse culturali, spirituali e politiche. Per capire che non siamo consegnati a quello che Nietzsche ha definito «il più inquietante fra tutti gli ospiti», il nichilismo. Certo, a quest’ospite noi possiamo anche inavvertitamente aprire la porta ma, nello stesso modo, forse abbiamo qualche possibilità – se c’è la necessità – di indicargli anche la porta perché esca.
Ma quindi, in virtù di quanto detto, c’è qualcosa da riaffermare per ripartire? C’è un valore dell’esistenza e per l’esistenza?
Certo. I problemi dell’uomo si risolvono solo attraverso l’uomo, con l’aiuto degli altri uomini e, per chi ci crede, con l’aiuto di Dio.
Come sta cambiando il suo rapporto con il Meeting?
Vorrei rispondere nel modo più semplice possibile: mi sento sempre più intrecciato a questo luogo.