La parola «Trinità» si trova nel Vangelo, o è una formula inventata dai teologi?La parola «Trinità» si trova nel Vangelo, o è una formula con cui i teologi hanno cercato di spiegare il legame tra Dio, Gesù e lo Spirito Santo?
Roberto Fancelli
Risponde don Alessandro Clemenzia, docente di Teologia fondamentale alla facoltà Teologica dell’Italia Centrale.
La domanda, così come è stata posta, si aspetterebbe una risposta altrettanto chiara, affermativa o negativa. Il termine «Trinitas» non si trova nella Scrittura, ma è stato coniato da Tertulliano (morto circa nel 230 d.C.), ed è entrato a far parte del linguaggio teologico soltanto a partire dal II secolo d.C., per dare nome ad una realtà che la comunità di fede già conosceva e sperimentava nel Risorto.
La parola «Trinità» dice «Dio», dice chi è Dio, dice «Padre, Figlio, Spirito Santo». La Scrittura testimonia che «Dio è amore» (1Gv 4,16). «Trinità», allora, come parola vuole esprimere che Dio è amore. L’amore, essendo una dinamica interpersonale, richiede che ci sia la presenza di almeno due persone, in quanto implica un legame; la Trinità, infatti, esprime una relazione, ma del tutto particolare: dice che non è un rapporto a due, ma a tre, e il terzo (lo sanno bene i genitori) è il dilatarsi di un rapporto a due, è l’apertura che scaturisce dall’interno del rapporto stesso. Dire Trinità, dunque, significa affermare che Dio è amore, è relazione d’amore aperta, non chiusa.
Lo stesso Tertulliano ha offerto alla riflessione ecclesiale un modo per indicare ciascuno di quei tre tra i quali c’è amore: si tratta della parola «persona». Anche questo termine non si trova nel Vangelo in riferimento ai Tre, eppure – come si è detto per «Trinità» – è un nome conferito a Chi si è rivelato.
Ma se Dio è «Trinità», quale significato, concretamente, va a conferire alla sempre citata e abusata parola «amore» nelle relazioni umane? Una delle più belle espressioni che ho sentito, e che in modo sintetico può rispondere a questa domanda, è quella del teologo Piero Coda, Preside dell’Istituto Universitario Sophia (a Loppiano, vicino Firenze), durante la presentazione del suo libro «Dalla Trinità». Egli ha spiegato che quando diciamo Trinità affermiamo una cosa straordinaria: che Dio non è Dio senza la presenza dell’Altro; il Padre non è Padre senza il Figlio. E con una frase ancora più forte ha descritto l’esperienza dell’amore: «Io sono, se tu sei; io sono, perché tu sia». Questo significa trovare nell’altro il motivo del proprio esserci, e in noi la ragione della presenza dell’altro.
Al di là delle tante cose che si potrebbero dire sullo stupore del pensarci originati da un Dio che è in se stesso Amore, e nel prendere coscienza di essere creati a Sua immagine e somiglianza, vorrei concludere mettendo in luce un ultimo aspetto che si trova, implicitamente, nella domanda che mi è stata fatta: la straordinaria bellezza di una realtà fatta di uomini, da noi denominata «Chiesa», che ha cercato, con il passare dei secoli, non solo di penetrare sempre più nella profondità di Dio, ma anche di esprimere (attraverso gli strumenti linguistici della cultura a lei contemporanea) la realtà in cui, nonostante la propria debolezza e infedeltà, era immersa.
Ciò che rimane, al di là dei termini, è augurarsi, anche se per un solo istante, di fare esperienza concreta di un tale amore.