Dopo la denuncia dell’Onu di pulizia etnica e religiosa per mano dei miliziani
È servita a richiamare una volta di più l’attenzione della comunità internazionale sul dramma che si sta consumando in Iraq la denuncia fatta ieri dall’Onu, attraverso l’Alto commissario per i Diritti umani: i miliziani dello Stato islamico stanno compiendo nel Paese «una pulizia etnica e religiosa» aveva dichiarato, nel primo pomeriggio di ieri, Navi Pillay, che ha anche chiesto di giudicare i responsabili di eventuali crimini contro l’umanità. L’Alto commissario, in un comunicato, ha quindi affermato che i miliziani «colpiscono sistematicamente uomini, donne e bambini, basandosi sulla loro etnia, sulla loro religione o sull’appartenenza settaria». Secondo Pillay, «questa persecuzione equivarrebbe a crimini contro l’umanità».
L’Alto commissario ha voluto poi porre l’accento sul fatto che «tutte le parti coinvolte nel conflitto in Iraq hanno la responsabilità di non prendere di mira i civili e, quindi, di adottare tutte le precauzioni possibili per proteggere le persone dagli effetti delle ostilità». Nello stesso tempo occorre compiere ogni sforzo per «soddisfare i bisogni umanitari della popolazione civile».
E oggi, intanto, si è appreso di un nuovo orrore. Secondo quanto ha dichiarato il rappresentante dell’Unicef in Iraq, Marzio Badile, settecento civili, appartenenti alla minoranza turcomanna sciita, tra i quali numerosi bambini, sono stati uccisi dai jihadisti nel villaggio di Beshir: il massacro risale all’11 e al 12 luglio scorsi.
Sul terreno, intanto, si segnala che i peshmerga curdi, sostenuti dall’aviazione irachena, hanno riconquistato, nella giornata di ieri, tre villaggi che erano caduti nelle mani dei jihadisti: località situate nella provincia di Diyala, a nord-est di Baghdad. Tra le località riconquistate figura Jalawla, ritenuta di importanza strategica perché costituisce «il cancello d’ingresso» verso Baghdad, come ha detto ShirkoMerwais, responsabile politico curdo.