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«Non si è mai troppo malati per non sentire bella musica»

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Quotidiano Meeting - pubblicato il 26/08/14
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La radiologa Scorsetti e monsignor Mahon hanno raccontato la loro vita tra i malati terminalidi Lorenzo Accorsi

Pochi drammi irrompono nella vita di ciascuno di noi con la stessa violenza della malattia, vissuta in prima persona o dai nostri cari. Ma come ricordava il titolo dell’incontro di ieri, “L’uomo vale più della sua malattia”. E un percorso alle radici dell’assistenza medica, anche là dove mancano prospettive di guarigione, aiuta a capire il perché. Due testimonianze, quelle al centro dell’incontro di ieri alle 15 in Auditorium, incredibilmente vicine.

Lui, monsignor Gerald Mahon, pastore della chiesa cattolica di St. John the Evangelist a Rochester in Minnesota – un luogo «certamente alle periferie dell’esistenza», scherza presentandosi –, a stretto contatto con le migliaia di persone che visitano da tutto il mondo la vicina Clinica Mayo, in cerca di cure o per studiare medicina. Lei, la dottoressa Marta Scorsetti, direttrice dal 2003 dell’Unità Operativa di Radioterapia e Radiochirurgia all’Istituto Humanitas di Rozzano (Milano). Due esperienze legate a centri di eccellenza medica e segnate dall’amicizia con don Luigi Giussani.

Un’impronta ancora percepibile, che ha spinto entrambi ad andare incontro alla sofferenza dei malati senza censurare il male con cui fanno i conti ogni giorno. «L’apice dell’ascolto – spiega il pastore americano -, del prestare attenzione e del lasciarsi andare all’altro è una posizione possibile solo quando sei amato per primo, e non ingarbugliato nella paura». Il timore e il desiderio di voltare la faccia dall’altra parte possono essere una tentazione forte, quando si svolge un lavoro come quello della Scorsetti. Racconta di quando iniziò a lavorare nel reparto di radioterapia: «Mi ritrovai due piani sottoterra nei bunker con la luce artificiale, entravo alle otto di mattina e uscivo la sera tardi quando non c’era più luce. Ma guardavo i pazienti là dentro e vedevo la luce più bella, quella degli uomini che sono vivi e che vogliono vivere». E aggiunge: «Il dolore è un mistero grande che non posso spiegare, ma posso viverlo con loro».

Quella offerta al pubblico dai due relatori è una pioggia incessante di storie d’incontri al limiti estremi dell’esistenza, siano esse le baraccopoli di Nuova Delhi (luogo di lavoro di un aspirante medico di cui monsignor Mahon ha raccontato) o la sofferenza di una giovane ricoverata che sa che non vedrà crescere i suoi bambini. A volte accadono i miracoli, quelli invocati e ottenuti dalla comunità di monsignor Mahon per diversi pazienti su intercessione di san Riccardo Pampuri. Ma cosa rimane quando, invece, il miracolo non accade?

Rimane il legame, tenace e indissolubile, che ci unisce ad Altro da noi e suscita il desiderio incessante di vivere. «Non si è mai troppo malati per non poter sentire una bella musica», diceva alla dottoressa un paziente sudamericano. Assistere persone come quella giovane madre senza speranza, al di là di qualsiasi prognosi, significa ricordarle che «lei vale molto di più della sua tac. Lei non è tutte queste “palline” – parlando delle metastasi polmonari –, lei non è la sua malattia». La consapevolezza di Altro per cui vivere in ogni circostanza non è un possesso privilegiato di chi
crede, ma un tratto inestirpabile del cuore di ogni uomo. Monsignor Mahon racconta dell’incontro con un giovane aspirante medico non credente attivo a Nuova Delhi, che, avvertendo il bisogno di dare un’educazione oltre alle cure mediche, chiede alle suore Carmelitane di ospitare nella loro scuola per famiglie benestanti alcuni bambini della baraccopoli. «Anche se non conosce Cristo, l’ho assicurato che Cristo sta lavorando attraverso di lui».

Una certezza con cui entrare in contatto con malati e parenti. La stessa illustrata dalla dottoressaScorsetti nel concludere l’intervento. Col pensiero agli ultimi giorni di vita di un suo caro amico: «Il problema della vita non è essere sani o malati, ma camminare – ogni giorno, un passo verso il proprio Destino».

Qui l’originale

 

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