Tra i personaggi di Jannacci e Guareschi c’è una costante: nessuno rinuncia a sédi Victorita Bonarelli
Tra i padiglioni del Meeting si respira aria di periferia, si incontrano uomini che sembrano tutti uguali fra loro. E se si fa attenzione, in A1, si può far la conoscenza di un barbòn che pUrtava i scarp del tennis o di Giobà, che gni mattina corre in bicicletta a comprarsi la Gazzetta dello Sport. Tutto ciò accade presso “Mondo Piccolo Roba Minima”, un percorso dedicato a Giovannino Guareschi e Enzo Jannacci. Non è solo una mostra, bensì un incontro.
Non parlano gli autori, ma i loro stessi personaggi. «Ognuno nasce con un mestiere nella testa e a me, purtroppo, è capitato quello del macchinista». Esclama Giòn, protagonista de Noi del Boscaccio, di Giovannino Guareschi. Il giovane, terzo di dodici fratelli, ama follemente le macchine. Un amore incomprensibile, ma lui non cambia e non si giustifica. Il suo cuore è così ed è proprio quello a renderlo speciale.
Lo stesso vale per Ohè sunt chi, di Jannacci. Un uomo è arrivato e grida a gran voce: «Ehi, guardatemi tutti, sono qui, ci sono anch’io!». Grido sanguinante e vero fino in fondo, distante da chi lo guarda dall’alto in basso e non in fondo agli occhi. Questo mette in comune i personaggi di Guareschi e Jannacci: sono totali, liberi dalla ricerca di un riconoscimento sociale ma desiderosi di essere al mondo con tutto se stessi. Non ci sono giudizi o ideologie che limitino il loro “io”.
Perfetto esempio sono Mariolino della Bruciata e Gina Filotti i quali, Giulietta e Romeo, vivono un amore impossibile a causa dell’avversità delle reciproche famiglie. I fidanzati chiedono un matrimonio segreto a don Camillo prima e a Peppone poi. Ricevute due risposte negative, i due innamorati decidono di andare fino in fondo al loro amore annegandosi. Solo allora, disarmati dalla fedeltà verso il proprio destino di Mariolino e Gina, Peppone e don Camillo si lasciano cambiare e raggiungono il fiume per fermare il disperato suicidio.
Periferie esistenziali dunque, «eppure – dichiara Giorgio Vittadini, tra i curatori della mostra – è proprio di fronte a tipi strani, “marginali” ma autentici, che ci si sente visti e guardati». Come ad esempio capita davanti a Giovanni, delegato in un minuscolo ufficio messo in musica da Jannacci. Fa il telegrafista senza alcuna possibilità di carriera, ma il suo cuore pulsa senza sosta in quel «piripiripirippi…». Un battere ritmico, mai sazio, incalzante anche di fronte al rifiuto della donna che ha rubato il suo cuore. A essere «marginali ma reali» non sono solo i loro personaggi ma Guareschi e Jannacci stessi.
Scrive infatti con in ironia il primo: «Se i preti si sentono offesi per via di don Camillo, padronissimi di rompermi un candelotto in testa. Se i comunisti si sentono offesi per via di Peppone, padronissimi di rompermi una stanga sulla schiena. Ma se qualcun altro si sente offeso per via dei discorsi del Cristo, niente da fare: perché chi parla nelle mie storie non è il Cristo, ma il mio Cristo, cioè la mia coscienza. Roba mia personale, affari interni miei».
Ed ecco che, così, alla fine del video che anima la mostra, Giòn non ha rinunciato alle sue macchine a costo di non farsi apprezzare da chi ha a fianco. Gina e Mariolino hanno amato il proprio destino più che se stessi. Giovanni, anche nel dolore, ha continuato a far battere il suo cuore. Non tutti però sono capaci di essere marginali, di vivere in un “Mondo Piccolo”. Jannacci sa far sorridere con “Ho visto un Re”, dove c’è un sovrano che piange per aver perso il proprio patrimonio, e un vescovo che morde le mani del sagrestano perché il cardinale gli ha portato via parte delle sue ricchezze. E i “marginali” che fanno? Ridono, e cantano: «Sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam». Continuano a cantare per la falsa serenità del potere, affinché il re non abbia paura della nostalgia che il “Mondo Piccolo” e la “Roba Minima” hanno nel cuore, una ricca povertà sulla quale non possono governare.