separateurCreated with Sketch.

Famiglia e conflitti: il contributo della Chiesa all’ONU

SWITZERLAND, MONTREUX : Monseigneur Silvano Maria Tomasi, the Permanent Observer of the Holy See to the United Nations Office in Geneva, speaks during the so-called Geneva II peace talks conference dedicated to the ongoing conflict in Syria, on January 22, 2014, in Montreux . Representatives of Syrian President Bashar al-Assad, a deeply divided opposition, world powers and regional bodies started a long-delayed peace conference aimed at bringing an end to a nearly three-year civil war. AFP PHOTO / UN PHOTO / JEAN-MARC FERRE == RESTRICTED TO EDITORIAL USE - MANDATORY CREDIT "AFP PHOTO / UN PHOTO / JEAN-MARC FERRE" - NO MARKETING NO ADVERTISING CAMPAIGNS - DISTRIBUTED AS A SERVICE TO CLIENTS

whatsappfacebooktwitter-xemailnative
Anna Pelleri - Aleteia - pubblicato il 26/08/14
whatsappfacebooktwitter-xemailnative

Intervista a mons. Silvano Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra.
Guerre, crisi umanitarie, famiglia, pedofilia, vita, sviluppo, i temi caldi del dibattito internazionale sono molti e di grande complessità. Ci si chiede come rispondere alle esigenze del mondo, quali siano le strategie più adeguate, le leggi più giuste, fino a che punto si può trovare un compromesso. E poi ancora quale sia il ruolo dei vari attori chiamati a prendersi la responsabilità di decidere, fare leggi e promuovere azioni. Tra questi attori, in prima linea, c’è anche la Chiesa. Pastore e compagnia per l’uomo  prima di tutto, come insegna Papa Francesco attraverso i suoi gesti, ma anche soggetto internazionale che partecipa ai processi decisionali all’interno di contesti come le Nazioni Unite.

Aleteia ha chiesto a Mons. Tomasi, di spiegarci la posizione della Comunità Internazionale rispetto a due grandi temi, famiglia e conflitti, e che ruolo gioca la Chiesa  in tale contesto.

Quale posizione porta la Santa Sede nel contesto internazionale delle Nazioni Unite sul tema della famiglia? Perché non è una posizione anacronistica e come giudica la recente risoluzione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite sulla famiglia?

Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato a giugno una risoluzione un po’ particolare, dove si parla  della protezione della famiglia. L’importanza di questa risoluzione è data dal fatto che c’erano delle richieste da parte di alcuni paesi dell’UE in particolare di inserire non tanto protezione “della famiglia” ma “delle famiglie”, e cioè di proteggere gli individui che in una combinazione o in un’altra creano comunità. Stiamo quindi parlando di individui dello stesso sesso, oppure della volontà di mettere l’accento non tanto sul concetto di famiglia ma su quello di individuo, che poi può associarsi con un partner dello stesso sesso o di sesso diverso. Quindi il fatto che la maggioranza dei membri del Consiglio abbia votato a favore della risoluzione così come era stata presentata, è stato un passo importante perché crea un precedente: nella discussione del tema famiglia, si dovrà prendere in considerazione la tradizione giuridica delle nazioni unite a partire dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 che è un po’ alla base di tutte le convenzioni e trattati internazionali dove, nell’elenco dei diritti, si menziona anche il diritto alla famiglia. Quindi l’interpretazione del concetto di famiglia, si rifà in questa maniera al testo iniziale dei documenti del secondo dopoguerra. In questo senso è importante e possiamo sostenere questo tipo di risoluzione. Il concetto di famiglia che si ritrova nei documenti importanti, nelle convenzioni, nei trattati degli anni ‘60 e ‘70 riflette sostanzialmente la tradizione giudeo-cristiana. Per questo l’interpretazione deve essere data nel contesto in cui sono stati fatti tali patti internazionali e dove l’idea di famiglia è quella del matrimonio di un uomo e una donna in vista della procreazione di figli.

Il contributo che noi cristiani diamo alla società internazionale sostenendo il concetto di famiglia come la natura lo presenta, è quello di guardare al futuro con senso di ottimismo, perché la continuità della famiglia umana dipende dal matrimonio tra un uomo e una donna e in questa maniera noi vogliamo rispettare l’ordine della natura e allo stesso tempo sostenere la società nel suo cammino verso il futuro.

Come attore internazionale la Chiesa è chiamata a presentare una posizione politica, strategica sulle crisi internazionali. Questo come si coniuga con la modalità scelta sia dal Papa sia da molte Chiese locali, di essere una presenza che, al di là delle strategie, fa compagnia alle persone che vivono tali situazioni di guerra e di crisi?

Se ci guardiamo intorno in questo momento vediamo che molti focolai di violenza, di guerra, di conflitto in giro per il mondo: dal nord della Nigeria, al Sud Sudan, la Repubblica Centro Africana, il Congo, per stare in Africa, e soprattutto oggi i mezzi di comunicazione mettono in risalto le guerre che si stanno combattendo in Siria, in Iraq e tra istraeliani e palestinesi, per limitarci al Medio Oriente. La responsabilità della comunità internazionale, attraverso le strutture che si è data, cioè le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza,  è quella di tornare a una convivenza pacifica e una situazione di sicurezza nelle diverse regioni del mondo. Quindi il tentativo di studiare e riflettere assieme su come contribuire di fatto e in maniera concreta e specifica alla pace è il tema di fondo di tutto ciò che sta andando avanti nel contesto internazionale dell’ONU.

Noi cristiani diamo un contributo diretto in questo senso: sappiamo che la violenza non porta a nessun bene, distrugge e pone le premesse per perpetuare altri atti di violenza in risposta a ingiustizie o mali subiti. Questo contributo della comunità cristiana è espresso in modo particolare dal Santo Padre Francesco il quale mostra con i suoi appelli, con i suoi gesti simbolici, con l’incontro insieme ad Abu Mazen e Peres, che l’unica strada ragionevole è quella del dialogo e della pace. Allo stesso tempo, quando ci sono rischi di genocidio e violazioni sistematiche dei diritti fondamentali delle persone, e non ci sono soluzioni o sanzioni o dialogo che vengono accettati, la Comunità Internazionale ha l’obbligo di agire attraverso i mezzi che considera adeguati per ottenere un bene maggiore del male che viene combattuto. La presenza comunque dei cristiani in questi focolai di violenza come aiuto umanitario e testimonianza della volontà di dialogare, di creare ponti e pace, è un valore inestimabile, anche se ciò mette a rischio tali persone. Ma è lì dove c’è rischio e pericolo che il valore di questa testimonianza diventa ancora più prezioso.

Top 10
See More