“Il problema, caro Jacques, è il cuore dell’uomo”
Perché? Perché – mi chiedo – nessun direttore mi ha mai mandato a liberare la pernacchia che è in me, cioè dico a intervistare Jacques Attali? E perché quando una, come Leonetta Bentivoglio, ha queste fortune, le spreca interloquendo seriosamente con lui come se quest’uomo non stesse delirando, in spregio a qualsiasi senso della realtà? Il perché in fondo lo so: l’uomo è tutt’altro che scemo e ininfluente, ed è perfettamente funzionale al disegno culturale del giornale che ne ospita l’intervista. Banchiere, economista, consigliere di Mitterand e Sarkozy, ha una mano o anche due in tutte le istituzioni finanziarie europee che contano e che, senza scomodare immagini di nuovi ordini mondiali, hanno oggettivamente dichiarato guerra alla ragionevolezza della famiglia.
Trovano intollerabile che un maschio e una femmina si uniscano stabilmente e mettano al mondo dei figli alla vecchia maniera, facendo l’amore, e che di quei figli si occupino con continuità, facendo uno il padre l’altra la madre, potendo raccontare loro anche, che so, del nonno nato in un’isola e della zia che amava i cappelli e le cartoline, perché quei figli sapranno da dove viene il loro seme, e non avranno mai l’angoscia di essere privi di una storia (o meglio, di averla ma di non poterla conoscere), senza radici, senza padri a cui ribellarsi, né avranno mai il senso di colpa di sapere che una povera indiana è stata sfruttata per pochi soldi mescolando con loro sangue e cellule e respiro e tutto il mischiabile, e poi sarà stata esclusa dalla loro vita quando ancora il cordone che li ha uniti starà pulsando sangue.
Martedì scorso Rep., come scrive il mio amico Mario Adinolfi, era un manifesto di questo mondo da incubo, con articoli sull’eterologa, e titoli che sarebbero da penna blu in qualsiasi scuola di giornalismo (“Il giudice sdogana l’eterologa, si può partire”, e pazienza se il presidente del tribunale di Bologna, Francesco Scutellari, specifichi che “queste due ordinanze valgono solo per i casi reali e concreti a cui si riferiscono, non in assoluto”), articoli contenenti interviste a direttori di cliniche di fecondazione che appunto poche pagine dopo hanno una bella pubblicità (a pagamento).
Ma per la perla occorre spostarsi dalla cronaca alla cultura, con l’intervista a Jacques Attali, che annuncia l’avvento del poliamore, di un mondo fatto di «coppia monogama precaria e matrimonio a contrattualità limitata». Insomma legami co-co-co-niugali, come dice un mio amico, perché «nella sua vita ognuno formerà un numero crescente di coppie e l’indissolubilità della famiglia monogamica verrà denunciata come un anacronismo e un lascito della società feudale, ci si prenderà gioco della fedeltà come di un’impostura, di una convenzione artificiale quasi barbara e il divorzio non verrà più vissuto come un fallimento».
Il problema, caro Jacques, è il cuore dell’uomo. Noi siamo fatti per essere felici, e il nostro cuore vuole essere amato di un amore totale, eterno, indissolubile, incondizionato. Un amore che assomiglia tanto al perdono. Un amore che ci dica “io ti prendo così, anche se sei lamentosa, anche se sei disordinato, anche quando sei un po’ egoista, ti prendo tutti i giorni della mia vita, anche ora che hai le occhiaie e mi stai raccontando per la quindicesima volta di quando da giovane facevi rafting”. Anche tu lo vuoi, Jacques, non posso credere che ti piaccia sentirti dire “sì, sei in gamba, ma stasera preferisco andare a letto con quel bellissimo giornalista che corre maratone e ha trenta anni meno di te. Ma stai tranquillo che se mi serve una lettura degli scenari economici mondiali dopo la notte di sesso vengo da te, a colazione”. Mi dispiace, ma non ci credo. Perché per quanto misterioso il nostro cuore ha alcune regole di funzionamento: ha dei ventricoli, delle valvole, e un bisogno struggente di amore totale. Il punto però lo cogli proprio tu quando scrivi che nel tuo futuro “molti saranno innamorati solo di se stessi”. Ecco, allora il punto è questo. Che noi vogliamo essere amati totalmente, ma noi non sappiamo amare così. C’è, dici, uno “sfasamento traumatico fra la realtà e le aspettative personali”. È vero, l’altro ci delude. È vero, non è sempre come lo vorremmo. Ma il fatto è che anche noi deludiamo gli altri. Anche tu avrai deluso le tue donne, anche tu le avrai ferite. Chissà quante volte, e chissà quante senza accorgertene (noi siamo incredibilmente più sensibili di quanto sospettiate, è per questo che spesso vi sembriamo matte).
Certo, questo tipo di amore che va oltre la delusione, e anzi proprio nel momento della disillusione – il principe dopo averla salvata si piazza sul divano in ciabatte, la principessa dopo il salvataggio non è più tanto bisognosa, e comincia a rompere (lui si sposa sperando che lei non cambi mai, lei si sposa sperando di cambiarlo) – non è più spontaneo ma diventa frutto di una decisione, e a volte è anche un po’ preterintenzionale, questo tipo di amore è una scelta. “Nella libertà moderna si rivendica il diritto di non scegliere”, ma questa è un’illusione, caro Attali. Non è vero che non scegli. Scegliendo il poliamore dici di no alla lealtà, al sapere di poter contare su qualcuno qualunque cosa succeda, al gioco di squadra – perché una famiglia lo è – a un’alleanza con qualcuno che ha visto il peggio di te e ti tiene lo stesso. Dici di no alla profondità, a un livello di amore che ti sarà sempre precluso, e che è quello che il tuo cuore desidera. Ecco, “a che titolo si dovrebbero avere due case e due cellulari, e non più amori”, è esattamente per questo. Per la tua vera e profonda felicità.
Lo sappiamo che non è facile. Lo sappiamo che succede di innamorarsi di un’altra, di un altro. È più strano se non succede, a dire la verità, e può anche darsi che sembri, a volte persino che sia, la persona perfetta. Ma sempre ci si trova di fronte a una scelta (e la capacità di scelta è quello che ci fa uomini, “Dio ama la nostra libertà più della nostra stessa salvezza”, diceva don Giussani): continuare a costruire la cattedrale di un rapporto per sempre, o buttarla giù con una bomba, incuranti del dolore dell’altro, e soprattutto dei figli? E siamo sicuri che buttando la bomba stiamo esercitando la nostra vera libertà? O non è piuttosto quella che il sociologo Michel Maffesoli in un’altra intervista a Rep. chiama la “dittatura del desiderio”? Perché la libertà di scappare via è solo illusoria: «Dopo aver promosso la libertà durante l’epoca moderna», osserva Maffesoli, «nell’attuale postmodernità si sviluppa invece la dipendenza. L’amore è dipendenza. È l’altro che mi crea, e mi distrugge». Questo amore dipendente tra l’altro mi sembra così poco virile, così da femminucce, caro Jacques ( io non potrei mai innamorarmi di t
e), così poco da vero uomo capace di dare la vita anche contro il gusto e il piacere e la voglia.
Il punto centrale del ragionamento di Attali, gratta gratta, è che l’altro delude le nostre aspettative. Per questo purtroppo c’è una sola ricetta, e non credo che il banchiere voglia prenderla, la medicina. Accettare di essere brutte persone. Noi, esattamente come quella che abbiamo al fianco. Accettare di essere un mistero a noi stessi. Un miscuglio di male e peccato (si potrà dire, questa parola, nella terra dei lumi, del buon selvaggio, e nei templi della finanza?), che nonostante tutto sono amate straordinariamente totalmente e fino alla morte da Dio, e che da questo amore abbondante esagerato sfacciato e godurioso prendono quello che serve per amare la persona che hanno vicino. Noi cristiani lo possiamo dire serenamente, che sappiamo di essere brutte persone, perché l’unico buono è un Altro, e questa per me è l’unica risposta possibile allo sgretolamento dell’indissolubilità del matrimonio borghese. Rimanere al proprio posto perché c’è uno che ci ha promesso che starà con noi.
Ma anche per chi non è cristiano, il matrimonio stabile è profondamente ragionevole, e d’altra parte Papa Benedetto XVI ce lo ha ricordato in tutti i modi, e non solo a Ratisbona, che “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”. È ragionevole perché, si è detto, è quello che profondamente vogliamo (anche chi sta con una persona da tre giorni si racconta che quell’amore durerà per sempre, e in qualche modo confuso lo desidera). Ma è ragionevole anche perché è quello di cui hanno disperato e profondo bisogno i figli. Attali a quanto mi risulta non ne ha, ed è per questo che può sparare cose insensate come queste: i bambini cresceranno in famiglie composte da «vari padri e varie madri o solo padri e solo madri, tutti ugualmente legittimi», e «saranno felici di avere più famiglie e vivranno in un luogo fisso dove i genitori si avvicenderanno». Tu puoi dirmi che i genitori lo faranno, e va bene. Ma che i bambini saranno felici no, non ti è permesso di dirlo. Non sai quello che stai dicendo. Non conosci, o fingi di non conoscere, il cuore dei bambini, che hanno bisogno dell’amore tra i loro genitori più che dell’aria. Per loro è un dolore indicibile sapere che l’amore da cui sono venuti non esiste più, è come una messa in dubbio della loro esistenza: fino a che non saranno adulti dipendono totalmente da questo sguardo fra i genitori che è per loro quasi il permesso di esistere.
E poi, l’apoteosi finale: «La riproduzione diventerà compito delle macchine, mentre la clonazione e le cellule staminali permetteranno a genitori-clienti di coltivare organi a volontà per sostituire i più difettosi. Un bambino potrà essere portato in grembo da una generazione precedente della stessa famiglia o da un donatore qualsiasi, e i figli di due coppie lesbiche nati da uno stesso donatore potranno sposarsi, dando vita a una famiglia con sole nonne e senza nonni. Molto più in la, i bambini potranno essere concepiti, portati in grembo e fatti nascere da matrici esterne, animali o artificiali, con grande vantaggio per tutti: degli uomini poiché potranno riprodursi senza affidare la nascita dei propri discendenti a rappresentanti dell’altro sesso; delle donne poiché si sbarazzeranno dei gravami del parto». A parte che mi deludi, caro Jacques, usi parole obsolete come “sesso” (non lo sai che si dice “genere”?); a parte che partorire è una cosa bellissima di cui nessuna di noi si vuole sbarazzare (per quanto, come diceva Robin Williams, estrarre un pollo arrosto da una narice può avere i suoi lati negativi), ma questo tu non lo puoi sapere; per il resto non credo alla tua buona fede, Jacques. Un mondo così è un incubo anche per te. Che ne direbbe tua madre, anzi, scusa, la tua matrice interna di origine umana?
Fonte: Il Foglio – 22 agosto 2014
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