Dalla Valbadia all’Estremo Oriente: san Giuseppe Freinademetz, il “santo dell’amore al prossimo”
C’è una cosa che accomuna le Dolomiti e la Cina. E’ un santo: Giuseppe Freinademetz. Un uomo che letteralmente “guadagnava il cuore degli altri, che trascinava gli uomini”. La sua vita, ancora poco conosciuta al grande pubblico, è raccontata al Meeting di Rimini nella mostra “San Giuseppe Freinademetz. Un missionario della Val Badia in Cina”.
Giuseppe, proveniva dal Sud Tirolo ma il desiderio di convertire i pagani gli fece lasciare la sua terra, alla quale era molto legato. Nel 1875 diventò sacerdote nella Società del Verbo Divino, che oggi è conosciuta anche con il nome di Missionari Verbiti. Il 2 marzo del 1879 è una data storica: Freinademetz parte per la Cina. L’inizio fu difficilissimo: legato ai suoi pregiudizi, non poteva capire che i cinesi rifiutassero lui e la sua religione, anzi che venisse considerato come un nemico.
Non esseri da convertire ma persone da amare
“I cinesi volevano vedere quell’uomo che proveniva dall’Europa, ma non erano interessati al suo messaggio. Ma Freinademetz non si dette per vinto, cominciò subito a imparare la lingua cinese, la cultura, la spiritualità, quindi a poco a poco sbocciò la comprensione e l’amore verso gli stessi cinesi. Giuseppe andò di villaggio in villaggio con un catechista mezzo cieco e iniziò la sua predicazione. Mangiò come mangiava la gente cinese, dormì dove gli offrivano un angoletto, prese anche le pulci e pidocchi. Per lui i cinesi non erano più esseri che il suo zelo doveva convertire, ma persone, che amava di tutto cuore, per i quali si sacrificava generosamente” (Missionariverbiti.it).
Con i cinesi in terra e in Cielo
Quando morì, un cinese disse: “Per me è come se avessi perso il padre e la madre”. Giuseppe amava talmente gli uomini, i “suoi cinesi”, che non ritornò mai in patria. Lo testimonia la volontà di essere sepolto in mezzo a loro: non solo in terra, voleva essere con loro anche in Cielo.
Giovanni Paolo II disse una volta: “Noi parliamo della nostra realizzazione, ma il cristiano deve pensare alla realizzazione di Cristo”. La chiesa chiama i santi “amici di Dio”.
Giuseppe Freinademetz ha vissuto questa profonda amicizia con Dio, attraverso l’amore per il prossimo. E per lui questo rapporto era totalizzante: egli voleva ciò che voleva Cristo e non ciò che era inconciliabile con la Sua volontà.