Settantanove anni fa il fondatore del Pci, esausto per via della malattia, fu trasferito dal carcere in una clinicadi Federico Cenci
Soltanto il 24 agosto 1935, malgrado le gravi condizioni di salute che lo avevano segnato fisicamente nei nove precedenti anni di detenzione, il fondatore del Partito Comunista Italiano, Antonio Gramsci, fu trasferito nella clinica “Quisisana” di Roma. Ormai allo stremo delle forze, passerà in una camera di questa struttura (a parte alcuni periodi di libertà) gli ultimi tre anni della sua vita, fino a morire a causa di un’emorragia celebrare.
Assurta a simbolo del sacrificio estremo per l’ideale comunista e a riferimento ideologico per moltitudini di accoliti della falce e martello in giro per il mondo, sulla figura di Antonio Gramsci si è formato nel corso degli anni un alone di mistero attinente il suo rapporto con Dio. Secondo alcune testimonianze, il periodo di degenza nella clinica “Quisisana” avrebbe rappresentato per il filosofo sardo l’occasione di scavare nella sua intima coscienza e scoprire che “il senso di qualcosa che manca” (cfr art. di Gramsci del 4 marzo 1916) poteva essere riempito non da un ingannevole “oppio” bensì da un amore trascendente.
Del “caso” se n’è discusso periodicamente sin dagli anni ‘60, ma è nel 2008 che alcune rivelazioni hanno riacceso il dibattito portandolo agli onori della cronaca per alcune settimane. La conferenza stampa per presentare un catalogo di santini e immagini sacre per collezionisti, fu la circostanza appropriata per cui mons. Luigi De Magistris, propenitenziero emerito della Santa Sede e di origine sarda come il fondatore del Pci, rivelò un sorprendente retroscena.
“Il mio conterraneo Gramsci – affermò il prelato vaticano – aveva nella sua stanza l’immagine di Santa Teresa del Bambino Gesù. Durante la sua ultima malattia, le suore della clinica dove era ricoverato portavano ai malati l’immagine di Gesù Bambino da baciare. Non la portarono a Gramsci. Lui disse: ‘Perché non me l’avete portato?’. Gli portarono allora l’immagine di Gesù Bambino e Gramsci la baciò”. E ancora, aggiunse mons. De Magistris: “Gramsci è morto con i sacramenti, è tornato alla fede della sua infanzia. La misericordia di Dio santamente ci ‘perseguita’. Il Signore non si rassegna a perderci”.
Una suora fu la fonte del prelato che per anni si è occupato in quanto penitenziere di indulgenze, peccati e assoluzioni. Anche lei sarda, la religiosa è la sorella di mons. Giovanni Maria Pinna, segretario della Segnatura apostolica. Suor Pinna, in occasione di una Messa in suffragio di suo fratello scomparso, raccontò ad alcuni ecclesiastici presenti l’inedito particolare relativo all’ultimo periodo di vita di Gramsci. Aggiunse che il fondatore del Pci, una volta riavuta la statuetta del Gesù Bambino, “la baciò con evidenti segni di commozione”.
La testimonianza di suor Pinna s’incontra con quella, circolata per anni benché mai confermata da altre fonti, di un’altra religiosa in servizio a “Quisisana” durante la degenza di Gramsci. Si tratta di suor Gertrude, di origini svizzere, la quale confermò che nella stanza numero 26, dove egli trascorse l’ultimo periodo della sua vita, c’era una statuetta di Santa Teresa del Bambino Gesù “verso la quale lui sembrava nutrire una simpatia umana, tanto da non volere che fosse tolta e nemmeno spostata”.
Si trova accenno alle ultime ore di vita di Gramsci, morto nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1937, in una lettera che la cognata Tatiana Schucht scrisse il 12 maggio di quello stesso anno: “Il medico fece capire alla suora che le condizioni del malato erano disperate. Venne il prete, altre suore, ho dovuto protestare nel modo più veemente perché lasciassero tranquillo Antonio, mentre questi hanno voluto proseguire nel rivolgersi a lui per chiedergli se voleva questo, quell’altro…”. Forse, stando alla testimonianza di mons. De Magistris circa l’elargizione dei sacramenti a Gramsci, la sollecitudine mostrata presso quel capezzale fu la risposta alle esigenze espresse dallo stesso malato. I puntini di sospensione nella lettera di Tatiana Schucht potrebbero esser stati colmati dall’insospettabile accondiscendenza di Gramsci verso questi rappresentanti della Chiesa cattolica.
In assenza di altre conferme storiche, la conversione in punto di morte del fondatore del Pci resta soltanto un’ipotesi. Giuseppe Vacca, ex parlamentare comunista e presidente della Fondazione Istituto Gramsci, sottolinea che “dalle fonti d'archivio, dai tanti documenti a disposizione degli studiosi e da alcune lettere ancora inedite tutto ciò non trova alcun riscontro”. Tuttavia, Vacca tiene a precisare che non ci sarebbe “nulla di scandaloso”. Di ritorni di “figliol prodighi”, del resto, ne è piena la storia umana. Ritorni che destano sorpresa soltanto quaggiù.