Religiosi e laici all’opera nell’Africa occidentale colpita dall’epidemia di ebola
L’ultimo, tragico bilancio è di milletrecentocinquanta morti solo in Africa occidentale, più esattamente in Sierra Leone, Liberia, Guinea e Nigeria. L’epidemia di ebola non dà tregua, chiamando a raccolta tutte le forze utili a rallentare, almeno, la propagazione del virus. In prima linea anche molti religiosi, alcuni dei quali, com’è noto, figurano tra le vittime.
«Obbligati dalla nostra responsabilità pastorale, collaboriamo con il Governo della Sierra Leone nello sforzo di sensibilizzare la popolazione sul pericolo del virus ebola e su come prevenirne la propagazione», scrivono i missionari dell’ordine degli agostiniani Recolletti che operano in Sierra Leone, con i suoi seicentoquarantasei casi accertati la nazione più colpita assieme alla Liberia.
Sono sette — riferisce l’agenzia Fides — gli agostiniani che hanno deciso di rimanere in missione nonostante i rischi. Si tratta di quattro filippini e tre spagnoli che operano in due parrocchie di Makeni, capoluogo del distretto di Bombali. Altri tre missionari filippini che si trovano in patria per un periodo di riposo non possono rientrare in Sierra Leone per la proibizione di viaggiare nei Paesi a rischio. «Si prendono cura della gente, amministrano i sacramenti, presiedono la preghiera quotidiana con i fedeli. Questo — spiega padre Lauro Larlar, provinciale dell’ordine per le Filippine — è ciò che noi chiamiamo l’apostolato di presenza, così che le persone non si sentano abbandonate. Coloro che sono stati colpiti dal virus avvertono che la Chiesa soffre con loro, che la Chiesa lavora per loro».