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«La libertà di Maria contro la cultura della morte»

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Una società ricca e secolarizzata, è una società senza speranza?
Il 15 agosto 2014 Papa Francesco ha continuato la sua visita in Corea del Sud, affrontando i problemi di una società opulenta ma disperata, da anni studiata dai sociologi per il suo tasso di suicidi che è di gran lunga il più elevato del mondo: 31,7 suicidi ogni centomila abitanti, oltre sei volte di più dell’Italia, dove il tasso è 6,3. La Corea del Sud conferma che non ci si suicida per povertà – i Paesi più poveri hanno di solito un tasso di suicidi molto basso – ma per disperazione. Quello della disperazione e del suicidio è un tema tabù, o riservato agli addetti ai lavori. Non se ne parla volentieri, perché si dovrebbe ammettere che una società ricca e secolarizzata è una società senza speranza. Papa Francesco ne ha parlato apertamente, collegando la disperazione a una «cultura della morte» che, in vari modi, oggi attacca la vita.

La giornata del Papa si è aperta con la celebrazione della Messa per l’Assunzione di Maria nello stadio della città di Daejon, che agli italiani evoca brutti ricordi: proprio qui l’arbitro Byron Moreno ci buttò fuori dal mondiale di calcio del 2002, favorendo scandalosamente la Corea padrona di casa.

Ai fedeli coreani e a tutta la Chiesa il Papa ha ricordato che la Madonna è stata veramente assunta «in corpo e anima nella gloria del Paradiso» – non si tratta di un semplice simbolo – e che questo evento ci riguarda. Mostra «il nostro destino», indica che anche noi «siamo chiamati a partecipare pienamente alla vittoria del Signore sul peccato e sulla morte e a regnare con Lui nel suo Regno eterno».

La festa dell’Assunta, che i cattolici coreani da anni celebrano «alla luce della loro esperienza storica, riconoscendo l’amorevole intercessione di Maria operante nella storia della nazione e nella vita del popolo», è una festa di libertà. La Madonna ci fa vedere che «la vera libertà si trova nell’accoglienza amorosa della volontà del Padre. Da Maria, piena di grazia, impariamo che la libertà cristiana è qualcosa di più della semplice liberazione dal peccato. È la libertà che apre ad un nuovo modo spirituale di considerare le realtà terrene, la libertà di amare Dio e i fratelli e le sorelle con un cuore puro e di vivere nella gioiosa speranza della venuta del Regno di Cristo».

La libertà cristiana è la capacità di vedere tutte le cose in modo nuovo, riferendole a Dio, e non rimane un puro stato d’animo: spinge a «trasformare il mondo secondo il piano di Dio». Oggi questa trasformazione richiede cristiani che «combattano il fascino di un materialismo che soffoca gli autentici valori spirituali e culturali» e sappiano rifiutare sia «modelli economici disumani che creano nuove forme di povertà» sia «la cultura della morte che svaluta l’immagine di Dio, il Dio della vita, e viola la dignità di ogni uomo, donna e bambino». Questo invito è rivolto ai cattolici della ricca Corea, che ha però uno dei più bassi tassi di natalità del mondo – riesce a fare peggio solo l’Italia -, la già citata percentuale record mondiale di suicidi e una discussione in corso promossa da lobby che vorrebbero allargare le maglie della legge sull’aborto, teoricamente restrittiva ma in pratica ben poco rispettata.

Maria però «ci mostra che la nostra speranza è reale»: «la speranza offerta dal Vangelo, è l’antidoto contro lo spirito di disperazione che sembra crescere come un cancro in mezzo alla società che è esteriormente ricca, ma tuttavia spesso sperimenta interiore amarezza e vuoto». «A quanti nostri giovani tale disperazione ha fatto pagare il suo tributo!», ha esclamato il Papa alludendo a un dramma nel dramma del suicidio, l’epidemia coreana di suicidi giovanili. Ma Maria, ha detto, libera dalla disperazione e offre «la grazia di essere gioiosi nella libertà dei figli di Dio», e «di usare tale libertà in modo saggio».

L’appello alla libertà è stato consegnato dal Papa in particolare ai giovani della Giornata della gioventù asiatica, che Francesco ha incontrato presso il Santuario di Solmoe, rispondendo alle loro domande. A una ragazza cambogiana che ricordava i martiri trucidati dal regime comunista di Pol Pot (1925-1998) il Pontefice ha promesso un personale interessamento per la loro beatificazione. A un’altra ragazza incerta fra vita di famiglia e vocazione religiosa, ha detto che non è lei che deve scegliere: il Signore «ha già scelto» e si tratta di ascoltare la sua voce.

Il Papa non ha eluso la domanda più attesa e delicata: che cosa possono fare i giovani coreani del Sud per i loro coetanei che vivono sotto il duro totalitarismo comunista della Corea del Nord. «Prima di tutto – ha detto Papa Francesco – il consiglio: pregare; pregare per i nostri fratelli del Nord». «Ci sono tante speranze – ha aggiunto il Pontefice -, ma ce n’è una bella: la Corea è una, è una famiglia. Ma, voi parlate la stessa lingua, la lingua di famiglia; voi siete fratelli che parlate la stessa lingua […], Pensate ai vostri fratelli del Nord: loro parlano la stessa lingua e quando in famiglia si parla la stessa lingua, c’è anche una speranza umana».

Insieme all’invito alla preghiera, il Papa non ha fatto mancare quello alla confessione, così tipico del suo pontificato: «Nessuno di noi sa cosa ci aspetta nella vita. E voi giovani: ‘Ma, cosa mi aspetta?’. Noi possiamo fare cose brutte, bruttissime, ma per favore non disperare, sempre c’è il Padre che ci aspetta! Tornare! Tornare! Quella è la parola. Come back! Tornare a casa, perché mi aspetta il Padre. E se io sono molto peccatore, farà una grande festa». La confessione apre percorsi di libertà: quelli di cui è modello Maria, e che sono l’unico antidoto realistico alla cultura della morte, della disperazione e del suicidio.

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