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Gaza: la manipolazione di Hamas e la guerra delle menzogne

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Erebmedioriente - pubblicato il 16/08/14
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Il conflitto israelo-palestinese passa anche da precise strategie di informazione ai media, tanto dei palestinesi che degli israelianidi Simone Cantarini

Le guerre hanno in sé il germe della propaganda e della menzogna. Spesso le immagini sono montate ad arte per mostrare le ragioni di una o dell’altra parte. La guerra avvenuta a Gaza non fa eccezioni. Nelle settimane dell’operazione “Protective Edge” lanciata da Isreale contro Hamas centinaia di giornalisti si sono riversati nella Striscia per riprendere dal vivo quella che molti definiscono “l’aggressione di Israele”. Senza entrare nel merito ideologico su chi sia il responsabile di questa situazione è doveroso fa notare che Hamas è un regime dittatoriale islamico, dove si sopravvive finché non si va contro i suoi interessi. L’atteggiamento nei confronti dei giornalisti non fa eccezioni. Molti obietteranno giustamente che anche Israele fa altrettanto, controllando i giornalisti o le persone non allineate con le posizioni del governo, ma questo sarà l’oggetto del prossimo articolo. Chi presenta Hamas e la Striscia come monolitico, accettato da tutti, rappresentante della popolazione si è già fatto intrappolare nella loro macchina propagandistica. Su questo sito abbiamo più volte dato parlato dei giovani di Gaza che hanno dato la loro vita nel silenzio per combattere pacificamente il regime e anche in questa guerra ci sono state manifestazioni contro il movimento islamista da parte della popolazione, passate sotto silenzio. Ora la stessa Hamas ammette i suoi metodi da regime.   

Un funzionario di Hamas ammette che il movimento ha dettato rigidi canoni di “narrativa” per i giornalisti giunti da tutto il mondo per coprire con immagini, video e reportage la guerra a Gaza. Molti reporter erano sotto stretta sorveglianza degli uomini di Hamas e spesso sono stati portati via con la forza dalle aree utilizzate come rampe di lancio per i razzi lanciati contro Israele.

In una intervista all’emittente libanese al-Mayadeen, il responsabile delle relazioni esterne del ministero dell’Informazione di Hamas, Isra Al-Mudallal, ha accusato la copertura da parte di molti giornalisti stranieri sottolineando: “La maggior parte dei reporter entrati nella Striscia erano fissati con argomenti pacifisti e plasmati dalla narrativa israeliana. Tutti erano concentrati a filmare i luoghi da dove venivano lanciati i razzi. Pertanto possono essere considerati dei collaboratori dell’occupazione”. La scorsa settimana l’esercito israeliano ha reso noto che 600 degli oltre 3.300 razzi lanciati su Israele sono partiti da zone residenziali, tra cui scuole, moschee e abitazioni. La responsabile relazioni esterne del ministero dell’Informazione di Hamas aggiunge che “questi giornalisti sono stati cacciati dalla Striscia di Gaza”.

Per la donna “le agenzie di sicurezza dovrebbero andare a fare una chiacchierata con queste persone. Dovrebbero invitarli a cambiare il loro messaggio in qualche modo”. “Noi – aggiunge – abbiamo sofferto molto per questo problema”. La al-Mudallal nota che molti reporter sono entrati nella Striscia con scorte armate. Ma anche in queste circostanze difficili, noi del ministero siamo riusciti a raggiungerli per dire loro che ciò che stavano facendo era immorale”.   

Lo scorso 11 agosto, l’Associazione della stampa internazionale (Foreign Press Association, Fpa), che rappresenta i giornalisti che lavorano in Israele e nell’Autorità Palestinese, ha condannato la tattica dell’intimidazione di Hamas contro i reporter a Gaza: “La Fpa protesta con forza contro gli evidenti, incessanti, potenti e non ortodossi metodi utilizzati dalle autorità di Hamas e dai loro rappresentanti contro quei giornalisti che hanno lavorato nella Striscia di Gaza in questi mesi. I media internazionali organizzazioni di attivisti e non possono essere costrette dal riportare i fatti attraverso minacce e pressioni che privano i loro lettori da una visione obiettiva della situazione sul campo”. Nel comunicato l’organizzazione ammette di essere a conoscenza delle tattiche utilizzate da Hamas per controllare il personale della stampa e sottolinea che “in diversi casi i giornalisti stranieri sono stati minacciati, molestati e ripresi rispetto a causa delle storie e delle informazioni riportate nei loro servizi e sui social media”. In un articolo pubblicato ieri dal quotidiano israeliano Haaretz, il reporter Matthew Kalman afferma che “Hamas ha chiesto diverse volte una lista dei nomi dei corrispondenti presenti nella Striscia che utilizzavano autobus noleggiati per passare attraverso i checkpoint lungo i confini di Gaza, al fine di individuare persone e testate sgradite. “Alcuni giornalisti – spiega Kalman –  hanno ricevuto minacce di morte, molti cameramen sono stati picchiati. Alla maggior parte dei giornalisti è stata impedita la copertura di manifestazioni anti-Hamas, dove oltre 20 palestinesi sono stati uccisi dai miliziani”. Kalman rivela che Hamas ha iniziato ha scelto come rampe per lanciare razzi e colpi di mortaio edifici vicini ai luoghi scelti come residenza dai giornalisti, per attirare il fuoco della rappresaglia israeliana.

Il corrispondente del New York Times, Jodi Rudoren, ha contestato il comunicato dell’Fpa, sostenendo che tutti i
giornalisti da lui incontrati nella Striscia di Gaza ritenevano questa storia delle minacce di Hamas una emerita sciocchezza. Per il reporter le dichiarazioni dell’associazione sono invece molto pericolose sia per i giornalisti sia per la futura copertura dei fatti nella Striscia. Tuttavia è noto che molti giornalisti abbiano avuto la possibilità di raccontare determinate situazioni solo una volta usciti da Gaza, proprio per evitare rappresaglie da parte di Hamas. Il corrispondente dell’emittente NDTV, Sreenivasan Jain, è riuscito a mostrare le immagini di un razzo lanciato da un edificio accanto ad un Hotel dove alloggiavano i giornalisti solo dopo aver abbandonato Gaza. In articolo l’uomo scrive: “Hamas non ha simpatia per chi mostra le rampe dei suoi razzi”.

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