Ebola: un’occasione per ridefinire ancora una volta le regole della bioetica? È questo un dubbio che viene leggendo l’ultima presa di posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanita' (Oms) riguardo lì’epidemia di virus Ebola. Al termine di un vertice di 36 ore a Ginevra infatti l’Oms ha sancito che è “etico” l'uso di un farmaco sperimentale per combattere il virus incurabile di ebola, che in quattro Paesi dell'Africa Occidentale (Liberia, Sierra Leone, Guinea e Nigeria) ha causato finora 1.013 morti.
Il problema è sorto dalla scoperta di un siero sperimentale made in Usa (testato solo sulle scimmie) lo ZMapp, che è stato somministrato a due sanitari americani che avevano contratto la malattia il Liberia e che, nel loro caso, si è dimostrato molto efficace. Non così è stato per il missionario 75enne spagnolo, Miguel Pajares, morto a Madrid, dopo essere stato rimpatriato da Monrovia. Nel suo caso, però, l'età potrebbe aver giocato un ruolo determinante. «Nelle particolari circostanze di questa epidemia, e se saranno garantite certe condizioni, il panel di esperti dell'Oms ha raggiunto il convincimento unanime che sia etico offrire profilassi non testate la cui efficacia debba essere ancora dimostrata, così come eventuali effetti collaterali negativi, come potenziale trattamento o procedura di prevenzione», si legge in una dichiarazione dell'Oms.
Fornire un farmaco sperimentale contro Ebola, aggiunge l'Oms, richiede il consenso informato (del paziente) cui va garantita libertà di scelta, riservatezza, rispetto per la persona, salvaguardia della dignità. Come ben sappiamo, in una concezione laica (e secolarista) come quella che è alla base dell'agenzia Onu per la salute, il termine “etico” non significa “morale”, ma “lecito”, nell’ambito – si intende – dell’osservanza di determinati protocolli e regole convenzionali. È quello che si è fatto per l’aborto, l’eutanasia, il suicidio assistito. Nel comunicato riguardante la sperimentazione di farmaci anti-Ebola, ecco che l’Oms ricorre alla parola “morale”: ritiene, infatti, recita testualmente il comunicato, che ci sia il "dovere morale" di valutare farmaci sperimentali e vaccini per Ebola seguendo naturalmente i codici previsti dai migliori test clinici, a seconda delle circostanze.
Uno dei più celebri farmacologi italiani, il professor Silvio Garattini, ha puntualizzato che «la sperimentazione di un farmaco è sempre necessaria», anzi «imprescindibile, prima che il prodotto stesso venga introdotto per l’uso di massa». Altrimenti, precisa il ricercatore, «si rischia di creare grande confusione», un caos dove «i rischi potrebbero superare i benefici». Il grande pubblico viene così portato a conoscenza di una realtà che può destare in molti stupore e perplessità. I farmaci che troviamo in commercio, che consumiamo quotidianamente, sono testati non solo su animali, su cavie, ma anche su esseri umani. Una realtà che agli scienziati può sembrare un’ovvietà, dal punto di vista tecnico, ma che dà da pensare. La sperimentazione sugli uomini venne infatti avviata dai medici della Germania nazista, e la scoperta di questi esperimenti alla fine della guerra suscitò orrore e indignazione. Proprio per questo il primo documento che previde delle norme etiche sulla sperimentazione dei farmaci sulle persone venne redatto nel 1947 a Norimberga. Per anni questo documento ha rappresentato il punto di riferimento per le valutazioni etiche sull’argomento.
I fatti però hanno spesso smentito queste dichiarazioni di principio: fin dalla fine degli Anni ’50 si fecero delle sperimentazioni di massa della neonata pillola anticoncezionale su donne portoricane, evidentemente scelte con criteri di innominabile razzismo che a quel tempo non era ancora politicamente scorretto. Da quelle sperimentazioni è passato molto tempo, e attualmente i protocolli e i principi della “Buona Pratica Clinica” mettono una serie di paletti alla sperimentazione umana: la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti coinvolti nella sperimentazione deve prevale sugli interessi della scienza e della società. Prima che una sperimentazione abbia inizio devono essere valutati rischi e inconvenienti prevedibili rispetto al beneficio atteso sia per il singolo soggetto della sperimentazione, sia per la collettività. Una sperimentazione può iniziare e proseguire solamente se i benefici previsti giustificano i rischi. Prima che il soggetto sia sottoposto a sperimentazione è necessario acquisirne il consenso libero, specifico ed informato. Le informazioni cliniche e non cliniche, che siano disponibili su un farmaco in fase di sperimentazione, devono essere adeguate a giustificare la sperimentazione clinica in progetto.
Queste le regole del gioco, sulle quali ci sarebbe comunque molto da discutere. Ma nel caso di Ebola verranno rispettate? Gli specialisti sentiti dall’Oms indicano fra i criteri etici da rispettare la trasparenza, ma sembra che in questo caso di trasparenza ce ne sia molto poca, visto che del farmaco in questione non si sa praticamente niente. L’epidemia di Ebola viene ormai presentata come un’emergenza sanitaria, e le situazioni di emergenza, come ben si sa, possono determinare scelte operative dettate dallo “stato di necessità”, una situazione che potrebbe scavalcare di fatto anche il “libero consenso” del paziente. Insomma, una forzatura dei princìpi base della sperimentazione clinica dei farmaci che potrebbe costituire anche un pericoloso precedente.
Concludiamo con alcune ulteriori considerazioni: quando si parla di sperimentazione di farmaci su esseri umani, non si può avere come principale criterio quello della valutazione del rapporto rischio/benefici, che non deve essere comunque mai sbilanciato a favore del rischio. Bisogna riaffermare, più che mai in questa occasione, la non disponibilità della vita umana, la sua intangibilità, la tutela della salute e della vita stessa, e infine va tenuto conto, quando si parla di sperimentazione, del principio di solidarietà: la disponibilità a sottoporsi a una sperimentazione medica, che è paragonabile alla disponibilità da parte del personale sanitario che interviene in queste situazioni ad alto rischio, è un gesto di solidarietà verso altri uomini, verso altre persone colpite dalla malattia.
É qualcosa che non rientra nei burocratici protocolli, ma che per secoli è stata la molla potente che ha spinto scienziati o semplici medici di paese a far fare alla medicina, l’arte del prendesi cura del prossimo, dei passi da gigante. E non sarebbe male se si ricordasse che questo valore “laico”, la solidarietà, è figlio della carità cristiana. Da questo punto di vista le scelte dell’Oms dovrebbero cominciare a guardare quantomeno con meno ostilità all’etica cristiana, che è etica umana per eccellenza.