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Iraq: «Vi racconto la grande fuga dalla piana di Ninive»

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 13/08/14
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Un sacerdote di Karemlash: ho preso registri e crocifisso e sono scappato
La grande fuga dalla piana di Ninive raccontata da chi quell’esodo di massa l’ha vissuto in prima persona. Aleteia è riuscita ad entrare in contatto con padre Paolo, sacerdote a Karemlash, villaggio di circa 8mila abitanti a sud est di Mosul. Da quelle parti ormai non c’è più traccia dei cristiani, perché sono stati tutti sfrattati dall’arrivo dei miliziani islamici dell’Isis.

Ora padre Paolo è ad Erbil, presso l’arcidiocesi della città irachena che sta ospitando, nelle chiese e in altre strutture, diverse migliaia di profughi cristiani provenienti dalla piana di Ninive. Lavora fianco a fianco con l’arcivescovo di Erbil, mons. Bashar Warda, per offrire assistenza ai rifugiati.

LA FUGA PRIMA DEL CONTATTO CON GLI ESTREMISTI
«Abbiamo lasciato Karemlash prima che arrivassero gli estremisti islamici – racconta ad Aleteia padre Paolo, raggiunto telefonicamente – ho preso i registri della parrocchia e il crocifisso e sono scappato. Come me, il resto dei cristiani del villaggio si è allontanato in auto, chi verso Erbil, chi verso altre città del paese dove avevano dei familiari che li potevano accogliere. Quando l’esercito curdo si è ritirato, abbiamo capito che saremmo rimasti senza protezione. Non sapevamo cosa sarebbe accaduto se fossimo rimasti nelle nostre case. Nè potevamo immaginare la reazione dei miliziani islamici. Così come a Karemlash, anche negli altri villaggi della Piana la gente si è ritrovata sola, senza nessuno che la proteggesse e si è data alla fuga».

LE CONDIZIONI PER TORNARE A CASA
In un solo caso, riferisce padre Paolo, si è registrato un episodio di violenza nei confronti dei cristiani. Si tratta di persone anziane rimaste in casa e rapinate dai miliziani. «Nessuno osa tornare nei villaggi perché tutti temono che possa ripetersi quello che è successo nella città di Mosul – sottolinea il sacerdote -. Lì i cristiani che sono stati cacciati dalle loro abitazioni hanno chiesto di farvi ritorno. Ma gli islamici hanno posto delle condizioni: pagare tasse, convertirsi alla loro religione e combattere insieme a loro per la causa islamica. Tutte condizioni assurde». Inoltre, padre Paolo non conferma le notizie sui rapimenti di cristiani circolate sugli organi di stampa.

ASSISTENZA PER TUTTI I RIFUGIATI
Se da un lato non ci sono certezze sul ritorno a casa, dall’altro per i profughi cristiani ad Erbil e nei suoi dintorni c’è almeno la sicurezza di ricevere un’assistenza continua e costante dalla Chiesa cattolica caldea. «Le chiese sono tutte piene – spiega il parroco – e sono stati trasformati in dormitori anche diversi palazzi non ancora finiti, ma abitabili. Ad ogni persona cerchiamo di garantire pasti, servizi sanitari, pulizia. Garanzie minime per sopravvivere in condizioni accettabili. Abbiamo notizie di gruppi di rifugiati che sono ospitati in case di amici, parenti, che sono ormai al collasso, con 30-40 persone al loro interno. Servono sicuramente più spazi pubblici per consentire a tutti i profughi almeno di stabilizzarsi in luoghi abitabili e ricevere assistenza».

LA REGIA DI MONS. WARDA
Accanto a volontari e sacerdoti, padre Paolo evidenzia che l’arcivescovo di Erbil è sceso in campo in prima persona per aiutare i rifugiati. «Monsignor Warda serve con noi i pasti, visita le famiglie dei cristiani e coordina l’assistenza. La Chiesa sta facendo il possibile ma la situazione è difficile. Dobbiamo dare da mangiare a migliaia di persone. E’ dura, servono nuovi luoghi pubblici da adibire ai soccorsi. La gente ha bisogno di aiuto!». 

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