Oggi più che mai abbiamo bisogno di celebrare il suo nome e il suo esempio
Nel 1920, uno dei libri più venduti in America è stato Cardinal Mercier’s Own Story. Il titolo non richiedeva ulteriori spiegazioni, visto che il cardinale era all’epoca uno dei personaggi più famosi al mondo, e il più noto sacerdote cattolico. Il suo War Utterances era stato stampato nel 1917, e molte altre biografie erano già apparse anche se solo in inglese. Simbolo di libertà indomita, la sua reputazione era paragonabile a quella che avrebbero avuto in futuro Desmond Tutu o il Dalai Lama.
Stupisce quindi che sia scomparso in modo così definitivo dalla memoria americana, e specificatamente dalla memoria cattolica popolare. Se la Chiesa dovesse mai scegliere un santo patrono dei diritti umani, Désiré Mercier sarebbe un ottimo candidato.
La politica del primo dopoguerra ha fatto molta strada per capire la successiva indifferenza nei confronti del cardinal Mercier. Al suo tempo, è stato celebrato per le proteste coraggiose contro i crimini e le barbarie che gli occupanti tedeschi avevano perpetrato in Belgio, sua terra natale. Per molti anni dopo la guerra, l’opinione pubblica occidentale è stata piuttosto cinica nei confronti delle dichiarazioni relative a tali atrocità, liquidando il cosiddetto “saccheggio del Belgio” come propaganda senza senso.
Senza quelle false atrocità, perché qualcuno dovrebbe fare caso a Mercier?
Il problema è che le dichiarazioni del periodo di guerra avevano una solida base di verità. Contrariamente ai tentativi successivi di ridimensionamento, il comportamento tedesco in Belgio era stato davvero abominevole, e assomigliava molto alla successiva barbarie nazista. Al culmine della loro invasione nell’agosto e settembre 1914, le forze tedesche uccisero 6.000 civili in Belgio e nella Francia settentrionale, soprattutto sospettandoli (falsamente) di essere cecchini e sabotatori. L’esercito tedesco si guadagnò la condanna mondiale saccheggiando la storica città cattolica di Lovanio. Diede fuoco alla biblioteca e alla sua collezione di libri e manoscritti antichi, mentre i soldati eseguivano fucilazioni di massa casuali.
Durante la loro occupazione, i tedeschi trattarono i belgi come servi. Nel 1916 deportarono 700.000 civili perché lavorassero nelle loro fattorie e fabbriche, trasportando molti in carri bestiame. Come la Polonia nel 1940, il Belgio sembrava un Paese destinato ad essere eliminato dalla cartina geografica. I tedeschi costruirono una recinzione elettrica letale lungo il confine olandese, precoce prototipo del Muro di Berlino. Quel Filo della Morte uccise varie migliaia di belgi che cercavano di fuggire.
La sopravvivenza nazionale belga dipese dall’eroico Désiré Mercier, arcivescovo di Mechelen e (dal 1906) cardinale. Il Natale 1914 diffuse una lettera pastorale che dettagliava gli orrori degli attacchi tedeschi e chiamava alla resistenza, al patriottismo e alla pazienza. In modo notevole, considerando le circostanze, non fece alcuna concessione ai censori tedeschi, senza eufemismi o perifrasi. Visto che la corrispondenza era strettamente controllata, copie della lettera vennero messe in circolazione a mano e date ai sacerdoti perché la leggessero nelle loro chiese. Molti di questi presbiteri vennero imprigionati, mentre lo stesso Mercier venne posto agli arresti domiciliari.
Mercier resistette ancora ai tedeschi durante la crisi delle deportazioni del 1916, costringendo i tedeschi a dichiarare che non avrebbero imposto alcuna politica di questo tipo, e quando contravvennero alla parola data usò il sistema di intelligence ufficioso della Chiesa per pubblicizzare l’andamento della campagna. Guidò poi i vescovi in una dura condanna della “schiavitù europea”. Concluse un appello dicendo: “Possa la coscienza umana trionfare su tutti i sofismi e rimanere saldamente fedele al grande precetto di Sant’Ambrogio: l’onestà su tutto!
Nihil praeferendum honestati!” Fatti uscire clandestinamente dal Paese, gli appelli di Mercier divennero famosi in tutto il mondo e ispirarono dimostrazioni di massa a loro sostegno, anche negli Stati Uniti, allora neutrali.
Viste le affermazioni della propaganda tedesca circa la superiore Kultur germanica, Mercier presentò la causa belga come quella della civiltà di fronte alla barbarie tedesca. Esortò le autorità imperiali tedesche a fare attenzione alla “riprovazione del mondo civilizzato, al giudizio della storia e al castigo di Dio”. La Germania, sottolineiamo, non era inclusa nel mondo civilizzato. Un libro francese del 1917 raccolse le dichiarazioni del “cardinal Mercier contro i barbari”.
Affrontando l’opera di Mercier, bisogna evitare la trappola del “col senno di poi”, che ci dice che la prova del Belgio sarebbe terminata piuttosto rapidamente con il collasso della Germania nel 1917. Il cardinale, sappiamo ora, dovette resistere solo per un periodo di tempo limitato prima che arrivassero gli aiuti, ma nel 1916 non si poteva certo sapere. In quel momento oscuro, la vittoria tedesca sembrava probabile, e con essa l’assorbimento di un Belgio etnicamente ripulito in un Reich espanso. Se il suo status ecclesiastico gli diede qualche immunità contro gli omicidi casuali che ebbero tra le vittime anche molti dei suoi sacerdoti, Mercier affrontò la probabilità di morire in un campo o in una prigione tedeschi. Scrisse e parlò sempre consapevole del fatto che stava sfidando il martirio.
Ironicamente, è stato un occupatore tedesco ad offrire il miglior riassunto del suo ruolo. Mentre le forze tedesche sconfitte si preparavano a ritirarsi dal Belgio nel 1918, un rappresentante imperiale lo definì “l’incarnazione del Belgio occupato, e il suo venerato pastore, a cui dà ascolto”.
Sarebbe bello pensare che i mali contro cui ha combattuto Mercier non siano più rilevanti nel mondo moderno. Ovviamente lo sono ancora, ed è per questo che oggi più che mai dobbiamo celebrare il suo nome e il suo esempio.
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Philip Jenkins è Distinguished Professor di Storia presso la Baylor University e autore di The Great and Holy War: How World War I Became a Religious Crusade.