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È lecito evadere le imposte? E quando sono ingiuste?

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El teólogo responde - pubblicato il 13/08/14
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In quali casi una persona può non pagare le imposte? Cosa deve fare se in passato ha frodato?Vorrei che mi illuminaste sul tema delicato dell’obbligo che abbiamo di pagare le nostre imposte. Quali sono i limiti? Se una persona non ha pagato potendo farlo, deve restituire qualcosa? Molte grazie in anticipo.

Risponde Miguel Ángel Fuentes Ive

Contribuire con il pagamento delle imposte rientra tra i doveri di promozione del bene comune. Spiegare bene il fondamento del dovere e i limiti mi obbliga a dilungarmi un po’ nella spiegazione della questione [1].

1. Nozione.

Per “imposta” o “tributo” si intende quell’entrata coatta richiesta dal potere fiscale (fisco deriva dal latino fiscus, cesto di vimini, anche cesta per conservare il denaro, e da lì è passato a indicare il tesoro pubblico) senza controprestazione, ovvero che non ha alcun rapporto con i benefici ricevuti dai cittadini come conseguenza dell’attività statale. Le “tasse”, invece, sono quelle richieste dal potere fiscale in controprestazione e come pagamento di un servizio pubblico o in cambio delle attività che beneficiano il soggetto.

Le imposte si dividono in dirette e indirette.

1) Le imposte dirette riguardano immediatamente una persona determinata e si pagano per qualcosa che appartiene esclusivamente a lei, per le sue rendite, il suo patrimonio e le sue spese.

2) Le imposte indirette aggravano le spese delle persone. Sono quelle che si legano immediatamente a una cosa o servizio generale e vengono pagate solo dalla persona che acquisisce la cosa o utilizza il servizio: ad esempio, l’imposta sul tabacco o sui carburanti. Una forma particolare sono le tariffe doganali.

2. Le imposte nelle Scritture

Nella Rivelazione si mostra chiaramente l’obbligo di rispettare le leggi statali relative alle imposte: :

– Gesù paga il tributo dovuto al tempio istituito da Neemia (cfr. Mt 17,24-27)

-‘Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio’ (Mt 22,21)

-‘È necessario stare sottomessi [alle autorità], non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse’ (Rom 13,5-7).

3. Nella tradizione

Tertulliano riconosce come prassi comune e certa che i cristiani non soddisfano le imposte destinate al sostentamento dei templi e culti pagani, ma rispettano gli altri tributi e in modo scrupoloso (cfr. Apologia 42,9); lo stesso si legge in Sant’Ambrogio, San Giovanni Crisostomo e Sant’Agostino. Anche il magistero si è mantenuto unanime sul tema, come si può vedere in vari documenti che poi menzioneremo.

4. Le fluttuazioni dei moralisti

La morale fiscale ha conosciuto alcune fluttuazioni storiche. Fino al XIII secolo si è sostenuta l’obbligatorietà in coscienza, poi fino alla fine del XV si è sostenuta l’obbligatorietà penale; nel XVI e nel XVII secolo si è tornati al dovere in coscienza; nei secoli XVIII e XIX si è passati al penalismo; ai nostri giorni i moralisti si dividono in due gruppi: quelli che sostengono che le leggi tributarie sono meramente penali e quelli per i quali implicano un obbligo diretto in coscienza.

5. Diritto dello Stato di raccogliere imposte

Il diritto dello Stato si basa su tre principi di etica sociale:

1) Il bene comune. Perché lo Stato possa compiere la sua missione di cercare il bene comune sono necessarie certe risorse economiche che favoriscano le condizioni sociali che rendano possibile alle associazioni e a ciascuno dei loro membri il raggiungimento più pieno e più accessibile della propria perfezione (cfr. GS 20). Questo è un dovere di ogni membro della società [2]. Per questo Pio XII affermava che non c’è alcun dubbio circa il dovere di ogni cittadino di sostenere una parte delle spese pubbliche [3].

2) La solidarietà umana. Le imposte non sono l’unico modo né necessariamente il modo migliore per concorrere alla solidarietà, ma se ben amministrate sono un mezzo idoneo. Giovanni Paolo II le definiva per questo “una forma di equa solidarietà verso gli altri membri della comunità nazionale od internazionale, e verso le altre generazioni” [4]. Tenendo conto di questa finalità concreta (la solidarietà), quando questa si realizza per propria iniziativa al margine dei canali statali, è eticamente esigibile un certo sgravio fiscale.

3) L’accesso universale all’uso comune dei beni. La terra e quanto contiene è stata destinata da Dio all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli; si verificano di fatto eccessive disparità economiche e sociali per cui è necessario che in qualche modo ci sia una redistribuzione più giusta. Le imposte correttamente applicate rendono possibile la soluzione di queste esigenze etiche, perché mediante contributi adeguati alla capacità di ogni cittadino lo Stato promuove servizi per tutti, sovvenziona iniziative sociali e promuove lo sviluppo nazionale e internazionale.

6. Imposte giuste e imposte ingiuste

Le imposte sono leggi (leggi fiscali), e quindi la loro giustizia o ingiustizia è considerata in base agli stessi criteri della giustizia delle leggi. Un’imposta può essere considerata ingiusta per difetto sia della sua causa efficiente che della causa finale, della causa materiale o di quella formale.

1) La causa efficiente. L’imposta giusta è quella che emana l’autorità legittima. I moralisti ritengono che un tributo sia giusto se è imposto da un potere politico giustificabile “de facto”, anche se non lo è “de iure”, per cui il tributo resiste alle altre condizioni.

2) La causa finale. Il fine della raccolta deve essere il bene comune; le imposte devono essere necessarie per l’utilità comune e la redistribuzione della ricchezza. Pio XII affermava che il sistema finanziario dello Stato deve orientarsi a riorganizzare la situazione economica di modo da assicurare al popolo le condizioni di vita materiali indispensabili per raggiungere il fine supremo indicato dal Creatore: lo sviluppo della vita intellettuale, spirituale e religiosa [5].

Il cattivo impiego delle imposte può essere una causa di ingiustizia, sia che si utilizzino per azioni intrinsecamente immorali (sovvenzionare aborti…) che per la disonestà o negligenza nell’amministrazione di questi fondi.

3) La causa materiale. Bisogna vedere cosa si grava a livello impositivo. Ciò che si grava sono sempre le cose e non le persone; le imposte che sembrano ricadere sulle persone lo fanno in funzione delle cose che possiedono. Circa le cose bisogna dire che:

-gli articoli di prima necessità esigono, in circostanze economiche e politiche normali, di essere il più libere possibile da carichi tributari, e idealmente perfino del tutto esenti;

-gli articoli di lusso possono invece essere suscettibili di imposte più elevate;

-non possono essere oggetto di imposta il patrimonio o la rendita, né le attività stimate come il minimo relativo ad ogni comunità politica.

In questo senso, non è giusto gravare con alte imposte i medicinali, in particolare quando sono usati per malattie gravi, o istituzioni e servizi sanitari e di insegnamento, visto che il loro fine è il bene comune.

4) La causa formale. Il carico tributario deve rispettare la giustizia distributiva
, ovvero mantenere la dovuta proporzione con la capacità economica di ogni cittadino. Diceva Giovanni XXIII che “principio fondamentale in un sistema tributario informato a giustizia ed equità è che gli oneri siano proporzionati alla capacità contributiva dei cittadini” [6]. Per mantenere la giustizia dal punto di vista della causa formale, lo Stato deve garantire quello che Giovanni Paolo II definisce il clima di libertà, ovvero la possibilità che quando un’imposta non rispetta la condizione di essere equa il cittadino possa difendere i propri diritti in modo giusto e reale: “la libertà in questo campo consiste nell’offrire agli individui e agli organismi intermediari la possibilità di far valere i propri diritti e di difenderli, nei confronti delle altre amministrazioni ed in particolare quelle dello Stato, secondo dei procedimenti che permettano un arbitraggio od un giudizio espresso secondo coscienza, conformemente alle leggi stabilite, ed indipendente da ogni forma di potere. È un ideale che bisogna augurarsi per ogni paese” [7].

7. Imposta oggettivamente e soggettivamente ingiusta

Tenendo conto delle quattro cause che abbiamo segnalato, si può già stabilire il criterio per giudicare la giustizia o ingiustizia oggettiva di un’imposta. Ad ogni modo, può accadere come accade relativamente a molte leggi umane: un’imposta giustissima in sé, data per tutti i cittadini di una grande comunità, può risultare ingiusta per una persona in particolare. In questi casi bisogna applicare l’equità che è l’interpretazione benigna, ma giusta, della legge.

8. Obbligo di pagare le imposte giuste

Il dovere di pagare le imposte giuste è un obbligo in coscienza. La teoria delle leggi meramente penali (che non obbligano in coscienza ma solo alla pena nel caso in cui sanzionino una persona) non è più sostenuta da alcun moralista serio, ma nemmeno i due più grandi “sistematizzatori” delle leggi penali (Suárez e Castro) le hanno applicate al pagamento delle imposte, che per loro obbligano in coscienza.

Abbiamo già visto i testi biblici e la tradizione patristica. A ciò si somma il Magistero, che ha sempre sostenuto un obbligo in coscienza:

-Pio XII: non esiste alcun dubbio circa il dovere di ogni cittadino di sostenere una parte delle spese pubbliche [8].

-Giovanni XXIII: “Tutti gli esseri umani e tutti i corpi intermedi sono tenuti a portare il loro specifico contributo all’attuazione del bene comune. Ciò comporta che perseguano i propri interessi in armonia con le sue esigenze; e adducano, allo stesso scopo, gli apporti — in beni e servizi — che le legittime autorità stabiliscono” [9].

-Concilio Vaticano II: tra i ultimi doveri civici è necessario menzionare il dovere di apportare alla vita pubblica il concorso materiale e personale richiesto dal bene comune [10].

-Giovanni Paolo II: “I cittadini devono essere difesi nei loro diritti, e devono nello stesso tempo essere educati a farsi il giusto carico delle responsabilità pubbliche, sotto forma di tasse o imposte, perché anche questa è una forma di giustizia dal momento che si usufruisce di servizi pubblici e di condizioni di vita pacifiche in comune” [11]

-Catechismo della Chiesa Cattolica: “La sottomissione all’autorità e la corresponsabilità nel bene comune comportano l’esigenza morale del versamento delle imposte” [12].

9. Cause che esimono dal pagamento delle imposte

1) Le cause che esimono dal pagamento delle imposte sono le seguenti:

a) Leggi fiscali formalmente ingiuste. Quando sono ingiuste, le leggi smettono di essere leggi, e quindi smettono di obbligare in coscienza. Le leggi sono ingiuste quando mancano in alcune delle quattro cause che abbiamo indicato in precedenza, e quindi ad esempio:

-quando vanno contro la legge naturale (imposta per beneficiare l’aborto o la regolamentazione artificiale della natalità) o la legge divina;

-quando si basano su criteri settari (discriminazione religiosa);

-quando le imposte eccedono eccessivamente le esigenze del bene comune;

-quando non sono proporzionate alle capacità di ogni contribuente, o non sono ripartite in modo equo;

-quando si destinano a fini illeciti (quando una parte dell’insieme dei fondi raccolti viene destinata a fini immorali sarebbe lecito smettere di pagare le imposte nella proporzione corrispondente alla quantità destinata a questi fini).

b) Quando c’è uno scialacquamento amministrativo dei fondi tributari. Pio XII diceva che le imposte non possono mai diventare per i poteri pubblici un comodo mezzo per assorbire il deficit provocato da un’amministrazione imprudente [13].

c) Quando sono soggettivamente ingiuste

d) Quando si è impossibilitati a pagare. Una legge umana smette di essere obbligatoria quando il suo rispetto, almeno in circostanze normali, implica una grave difficoltà (si considera così impossibile a livello fisico o morale), ovvero quando per il contribuente ci sarebbe un grave pregiudizio (come il padre di famiglia che per pagare tutte le imposte dovesse prescindere da diritti fondamentali per sé o per la sua famiglia, come la sussistenza, il mantenimento della salute, la preparazione dei figli per l’avvenire o l’indispensabile dignità personale).

e) Prescrizione di buona fede. Può anche essere che si verifichi la prescrizione in materia di imposte perché è trascorso il periodo previsto dalla legge. Se si agisce in buona fede, la prescrizione esime dal pagamento, ma ciò non accade se si è operato in malafede [14].

f) Giusta compensazione. Dovrebbe esserci anche una giusta compensazione per danni provocati dallo Stato se non c’è altra forma di indennizzo disponibile.

2) Cos’è lecito fare quando si verificano alcune delle cause che esimono dal pagamento delle imposte?

a) quando si tratta di impossibilità fisica o morale in caso di imposte giuste, è lecito smettere di pagarle in tutto o in parte, in base all’impossibilità;

b) quando si tratta di imposte formalmente ingiuste (ad esempio quelle destinate a fini immorali), non pagarle;

c) quando si tratta di imposte in parte ingiuste (perché eccessive), smettere di pagare la parte pregiudizievole.

Quando si tratta di evadere le imposte ingiuste, non è mai lecito farlo con mezzi illeciti (non bisogna fare il male perché sopravvenga un bene) come mentire, corrompere i funzionari (il che aumenterebbe la malizia supponendo un peccato di collaborazione con il peccato commesso dal funzionario) e – men che meno – falsificare documenti.

L’unica cosa che resta è nascondere parte del dichiarabile perché quando si tratta di un’imposta ingiusta non c’è obbligo morale di dichiarare. Solozábal Barrena parla del “disgraziato circolo vizioso che in alcuni Paesi attanaglia le relazioni tra il fisco e i contribuenti. Il Tesoro, se vuole coprire il suo budget di spese, non ha altro rimedio – in previsione della frode fiscale – che quello di esigere tasse superiori a quelle giuste. Bisognerà allora dire che quelle tasse sono parzialmente ingiuste e l’evasione di quell’eccesso sul giusto sarà moralmente permissibile, non basandosi sul carattere meramente penale della legge, ma sull’ingiustizia parziale della quantità richiesta.

Ad ogni modo, è una situazione anomala e che produce conseguenze sgradevoli, per cui tutti gli sforzi che si porranno in essere per superarla saranno giustificati” [15]. Lo stesso dice Royo Marín:
“Si può invocare, ad ogni modo, l’argomentazione tanto ripetuta dai moralisti per cui lo Stato, perfettamente consapevole del fatto che lo defrauderanno di una buona parte di ciò che chiede, eccede nella sua richiesta andando al di là di quello di cui ha strettamente bisogno per far fronte in modo sufficiente al bene comune, tenendo conto della categoria della Nazione e del suo livello medio di vita.

In questo senso, non c’è inconveniente nell’ammettere che la defraudazione di quella parte eccedente di ciò che esige in realtà il bene comune non presuppone un’ingiustizia né porta con sé, per questo motivo, il dovere di restituire, visto che il governante, in realtà, non ha il diritto di chiederla.

Si aggiunga a questo che tutti hanno il diritto di legittima difesa contro l’offesa degli altri; per questo, essendo numerosissime le defraudazioni allo Stato da parte della gente senza coscienza, i cittadini buoni e onesti si troverebbero in condizioni peggiori dei disonesti se dovessero pagare integralmente e senza sconti alcuni tributi dello Stato. È difficile determinare con esattezza a quanto ammonti nella pratica questa quantità eccedente che si può defraudare senza commettere un’ingiustizia. La maggior parte degli autori parla di fino a un quarto dell’imposta, e non manca chi azzarda ad arrivare a un terzo. Si comprende, però, che bisognerà tener conto in ogni caso delle circostanze speciali (quantità di imposte, povertà o ricchezza…) che faranno oscillare il calcolo delle probabilità all’interno di certi limiti che nessuno potrebbe violare senza ingiustizia manifesta” [16].

10. Chi ha smesso di pagare le imposte senza avere motivo per farlo, è obbligato a restituire?

L’infrazione delle leggi impositive giuste e non per cause che esimono impone, per i moralisti antichi (Sant’Alfonso [17], il Catechismo Romano [18], Sant’Antonino, Suárez, Lessio, Billuart) e per molti moderni (Royo Marín, , Merkelbach, Tanquerey), la restituzione. È vero che questa è un atto della giustizia commutativa, ma la frode tributaria delle imposte giuste trasgredisce non solo la giustizia legale, ma anche quella commutativa, e questo per due ragioni [19]:

1) Perché per la natura stessa della società umana esiste una sorta di quasi-contratto, ovvero un patto implicito tra il governante e i sudditi obbligandosi questi a promuovere il bene comune e quelli a fornirgli i mezzi necessari a questo scopo. Ogni contratto esplicito o implicito stabilisce una relazione di giustizia commutativa.

2) Perché lo Stato possiede, in ordine al bene comune, un alto dominio sui beni particolari di tutti i cittadini. Per questo, ha il diritto di reclamare da questi ciò di cui ha strettamente bisogno per il bene comune, e a questo diritto corrisponde nei sudditi il dovere di apportare ciò che giustamente si chiede loro.

—–
[1] Bibliografia: Gonzalo Higuera S.J., Etica fiscal, BAC, Madrid 1982; Idem., Fiscal (moral), in Diccionario Enciclopédico de teología moral, Ed. Paulinas, Suplemento; Domingo Melé Carné, La obligación de pagar los impuestos, Rev. Verbo, mar./apr. 1994, 15-40; J.M. Solozábal Barrena, El fraude fiscal, GER, voce ‘FRAUDE III’, Tomo X; Balaguer Lara-Ysern de Arce, Impuesto, voce ‘Impuesto’ in GER, tomo XII; Mausbach, Teología Moral Católica, III, 563-571.
[2] “Il dovere della giustizia e dell’amore viene sempre più assolto per il fatto che ognuno, interessandosi al bene comune secondo le proprie capacità e le necessità degli altri, promuove e aiuta anche le istituzioni pubbliche e private che servono a migliorare le condizioni di vita degli uomini” (GS, 30).
[3] Pio XII: allocuzione “Parmi les nombreux”, nº 6.
[4] Giovanni Paolo II, Discorso alla Confederazione Fiscale Europea (7 novembre 1980), L’Osservatore Romano, 12 aprile 1981, p. 18.
[5] Pio XII, allocuzione “En nous procurant”, 2/X/56; nº 6.
[6] Mater et magistra, nº 120.
[7] Giovanni Paolo II, locus cit.
[8] Pio XII, Allocuzione ai Congressisti dell’Associazione Internazionale di Diritto finanziario e fiscale (2 ottobre 1956)
[9] Giovanni XXIII, “Pacem in terris”.
[10] GS, 75.
[11] Locus cit.
[12] Catechismo della Chiesa Cattolica, nº 2240.
[13] Pio XII, “Parmi les nombreux”, nº 6.
[14] Cfr. CCC, n° 198.
[15] Op. cit., p. 520.
[16] Royo Marín, I, nº 783.
[17] Teologia Moralis, III, n. 616.
[18] Parte III, cap. VIII, nº 10.
[19] Cfr. Royo Marín, I.

Articolo pubblicato da padre Miguel Ángel Fuentes IVE sulla pagina web El teólogo responde

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

 

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