Cosa aspetta Papa Francesco nel suo viaggio verso l’estremo oriente?di Giorgio Bernardelli
Cinque giorni nella Corea del Sud per parlare a tutta l’Asia, definita da Giovanni Paolo II il continente del Terzo millennio. Cinque giorni nel Paese dove il cristianesimo cresce con numeri da record, attraendo persino le rock-star locali. Ma cinque giorni anche all’insegna di un modello impegnativo come quello rappresentato da un gruppo di laici che – poco più di due secoli fa, qui – hanno testimoniato la propria fede fino al martirio e verranno proclamati beati.
Si possono riassumere così i tratti del terzo viaggio internazionale di Papa Francesco, che comincia domani. Si tratta di un ritorno importante per la geopolitica della Chiesa cattolica: è dall’ultimo viaggio di Giovanni Paolo in India – nel 1999 – che un Papa non mette piede a queste latitudini. E per di più Bergoglio ha anche già annunciato che tra pochi mesi ritornerà in Oriente per un nuovo viaggio apostolico che nel gennaio 2015 lo porterà nello Sri Lanka e nelle Filippine. In questi giorni in Corea del Sud, inoltre, Papa Francesco incontrerà non solo i cattolici coreani ma anche migliaia di giovani provenienti da tutto il Continente, riuniti a Daejeon per la sesta Giornata della gioventù asiatica.
È dunque una scommessa sul futuro del cattolicesimo in un continente dove i cristiani restano ancora un gregge estremamente piccolo (appena il 3% della popolazione complessiva) a portare il Papa in Asia. Scommessa sul fatto che il Vangelo di Gesù possa avere qualcosa di estremamente significativo da dire in una regione del mondo divenuta negli ultimi anni un crocevia importante della globalizzazione, ma anche molto impoveritasi nel suo patrimonio spirituale. Che non sia un’illusione è proprio la storia recente della Corea del Sud a dirlo, con il cristianesimo divenuto nel giro di pochi decenni un fenomeno di massa: oggi a Seul i cristiani sono il 30% della popolazione quando cinquant’anni fa erano appena il 2%; i cattolici da soli sono 5,5 milioni i cattolici, più o meno l’11% degli abitanti, e con i battesimi in continua crescita.
A Seul Papa Francesco non va però semplicemente a raccogliere i frutti di questa primavera straordinaria. Al centro del viaggio che lo vedrà in Corea fino a lunedì ha posto, infatti, proprio il tema del martirio: ai giovani di tutta l’Asia proporrà infatti come attuale l’esempio di Paolo Yun Ji-chung e dei suoi 123 compagni, che alla fine del Settecento pagarono con la vita la loro fedeltà al Vangelo. Testimonianza in questi giorni viva non solo in contesti geograficamente lontani dalla Corea come quelli del Medio Oriente: lo stesso martirio è tuttora realtà quotidiana anche a nord del 38° parallelo, in quella Pyongyang tuttora in cima alle classifiche sulla persecuzione dei cristiani. Senza dimenticare la Cina, dove tuttora ci sono città che vedono le croci venire strappate dalle chiese.
Il viaggio di questi giorni sarà anche l’incontro del Papa con l’Asia delle grandi metropoli: dei 50 milioni di abitanti della Corea del Sud la metà vive nell’immensa area metropolitana di Seul. Un contesto fatto non solo di quartieri “Gangman Style”, ma anche di periferie esistenziali, come ama definirle Papa Francesco. Per questo estremamente significativa sarà la visita che il Papa compirà sabato a Kottongnae, la cittadella della carità nella diocesi di Cheongju. Nacque nel 1976 per iniziativa di un sacerdote, padre John Oh, che proprio guardando un mendicante che si prendeva cura di chi era povero come lui ha avuto l’intuizione di far nascere una congregazione locale a servizio degli ultimi. Così oggi Kottongnae è un luogo capace di ospitare fino a cinquemila tra senza fissa dimora, disabili e alcolisti; quelli che una società dove l’efficienza è una specie di ossessione fino a non molto tempo fa faceva fatica persino a nominare in pubblico.
La tappa a Kottongnae sarà molto importante anche per un altro volto delle periferie dell’Asia: nella cittadella della carità infatti c’è anche un cimitero dei bambini non nati a cui il Papa renderà omaggio. Una statua della Sacra Famiglia circondata dalle croci bianche delle piccole vittime dell’aborto; i cattolici coreani, molto attivi nella testimonianza pro life, l’hanno realizzato proprio lì, a ricordare che anche l’attenzione agli ultimi comincia dal grembo materno. Del resto oggi la difesa della vita appare un ambito cruciale per l’impegno dei laici cattolici in tutta l’Asia, continente che tra maternità surrogate e sperimentazioni senza troppi scrupoli sulle cellule staminali rischia di trasformarsi in un grande supermarket della vita.
L’ultima giornata – lunedì 18 agosto – sarà infine quella che vedrà al centro il tema della pace e della riconciliazione: Papa Francesco celebrerà una Messa con questa specifica intenzione nella cattedrale di Myeong-dong a Seul. E lo sguardo non potrà non andare anche oltre alla ferita del 38° parallelo, tuttora aperta. Ai tanti conflitti ancora aperti nella regione e a quella corsa agli armamenti che vede proprio le nuove grandi potenze asiatiche accumulare arsenali sempre più massicci che pongono interrogativi inquietanti sul futuro.