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Gesù sente la solitudine e il dolore dell’uomo e non lo lascia solo

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Carlos Padilla - Aleteia - pubblicato il 09/08/14
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La moltiplicazione dei pani e dei pesci ci parla della misericordia di Dio
Gesù percepiva la solitudine dell’uomo e il suo dolore: “vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati”. Si rende conto del vuoto del cuore. A noi costa vedere di cosa ha bisogno chi ci sta accanto. Molti hanno seguito Gesù, lo hanno cercato perché avevano fame. Perché avevano bisogno di essere guariti, perché erano sconsolati. Avevano fame di eternità. Volevano pane, volevano salute, cercavano consolazione.

Gesù cambia il suo progetto per loro. Smette di pregare e guarisce i malati, parla loro di suo Padre. Quanto è profondamente umano! Gesù mette da parte il suo momento di pace, il suo spazio, perché gli altri hanno bisogno di lui. Non si chiude egoisticamente nelle sue necessità. Prova compassione per loro. Dimentica il proprio dolore vedendo quello degli uomini.

Essi non si sono resi conto del suo. Non hanno capito la perdita di suo cugino e cosa abbia significato per lui. Non pensano a cosa prova. Quante volte guardiamo alle nostre necessità e non siamo capaci di guardare l’altro, ciò che gli accade, ciò che muove il suo cuore! Sì, siamo egoisti. Esigiamo senza essere capaci di metterci al posto dell’altro. Gesù invece lo fa. La sua compassione, la sua misericordia, la sua comprensione, ci parlano di un Dio che si abbassa ogni giorno e tocca il mio cuore rattristandosi e gioendo con me.

È una lezione per la mia vita. Quando pongo limiti, quando metto barriere, quando mi chiudo in ciò che mi angoscia, l’unica via è uscire da me stesso. Quanto ci fa bene riversare la nostra attenzione su colui che soffre perché il nostro dolore smetta di essere importante! Leggevo qualche giorno fa: «Pensare all’altro quando si sta soffrendo non si può definire in altro modo se non eroico» (1).

È vero. Quando ci fermiamo davanti a chi soffre, compiamo un salto coraggioso, un salto di santità. Così è l’amore di Gesù, un amore senza misura. Il nostro amore calcola tutto. Magari Gesù modellasse il mio cuore a immagine del suo! Magari riuscissi a far sì che i miei sentimenti siano i suoi! Che il suo amore mi apra alle necessità dell’altro e lo possa guardare con immensa compassione, con tenerezza, facendomi carico del suo dolore.

Gesù è andato così fino alla croce. Ha consolato tutti dalla via verso il Calvario. Non si è chiuso nella sua carne come facciamo noi. Si è donato, si è spezzato e la sua vita è stata fonte d’amore per molti.

La moltiplicazione dei pani e dei pesci era una chiamata alla speranza: «Dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini» (Mt 14, 13-21).

Dio si commuove, si avvicina, tocca, prende del nostro, ci chiede i nostri pani e i nostri pesci, il poco che abbiamo, li benedice, li spezza e li dona. Perché Gesù ha compiuto il miracolo? Nessuno glielo aveva chiesto. Ed erano molti. Il giorno dopo la fame sarebbe stata esattamente uguale. Non ha risolto la loro vita. Lo ha fatto per dimostrare il proprio potere? Per dimostrare che era Dio e poteva fare tutto? Perché credessero?

È un miracolo un po’ inefficace. Dare da mangiare quando la fame di pane è qualcosa di passeggero ha poco senso. La guarigione da una malattia salva la vita di una persona o la cambia, ma moltiplicare il pane? Non sarebbe meglio chiedere che non abbiano più fame? O moltiplicare il pane tutti i giorni della loro vita? Non era forse Dio? Non chiediamo queste cose magiche a Dio tutti i giorni?

Gesù non cercava l’efficacia, né di mostrare il suo potere. Lo ha fatto per compassione. Perché ha provato compassione vedendo quelle persone. Perché non ha potuto lasciarle tornare a casa affamate. Così semplice e così grande. Si è commosso senza che nessuno gli chiedesse nulla. Non pretendeva di togliere loro la fame per sempre. Non voleva che lo seguissero perché aveva saziato la loro necessità. Che bello donare per misericordia, senza un piano di efficacia ben delineato, senza aspettarsi nulla! Dare più di quanto ci viene chiesto. Questo rende grande l’essere umano. È qualcosa che allarga il cuore e riempie di gioia chi dà e chi riceve. E il risultato è che avanza. Il miracolo l’hanno compiuto tutti insieme. È stato necessario cercare Gesù. Mettersi in cammino e rischiare di non mangiare quel giorno. È stato necessario dare il poco che avevano e confidare in lui, nella sua misericordia. Rischiavano di restare senza niente. I conti non tornavano, erano molti.

Gesù sapeva tutto questo e lo valorizzava con affetto. Si rallegra dei pochi pani e pesci. La sua azione supera la nostra donazione. Diamo poco, riceviamo molto in cambio. Ci doniamo con generosità ed egli rende feconda la donazione.

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1) Pablo D´Ors, Sendino se muere, p. 41

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]
 

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