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La liturgia è più di un testo

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mons. Charles Pope - pubblicato il 05/08/14
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Forse è ora di riscoprire una comprensione più ampia della liturgia sacra
Uno dei maggiori cambiamenti liturgici negli ultimi 60 anni è avvenuto nell’area del linguaggio e della parola parlata. La quasi completa scomparsa del latino è da lamentare, ma l’utilizzo delle lingue volgari ha avuto senza dubbio molti effetti positivi. L’aumento dell’uso delle Scritture è stato notevole e di grande aiuto. Oltre a questo, è stata posta grande enfasi sulla predicazione e sul fatto di preparare il clero a predicare bene.

Grandi controversie e dibattiti hanno accompagnato questi cambiamenti. I primi dibattiti si concentravano sull’uso del latino contro la lingua vernacolare. Altri si centravano sulla natura dell’omelia (o doveva essere chiamata sermone?): la sua lunghezza, il suo contenuto, e se dovesse basarsi sulle letture delle Scritture o su temi catechetici. Quasi chiunque ha concordato che la predicazione cattolica era piuttosto povera. I dibattiti più recenti hanno affrontato una lotta ventennale nelle terre anglofone per arrivare a traduzioni autentiche dei testi latini promulgati. Tutta questa enfasi e il dibattito sui testi della liturgia può essere stato necessario e può aver avuto effetti positivi.

Questa concentrazione sui testi, tuttavia, ha teso a ridurre la liturgia solo ai suoi testi. Altre aree come la bellezza estetica o architettonica, la musica, l’ars celebrandi (il modo in cui il clero e i ministri si comportano nella liturgia) e una comprensione e un apprezzamento della liturgia più profondi hanno sofferto. In qualche misura, abbiamo ridotto la Messa alla proclamazione di un testo. A molti sembra importare poco se l’edificio è spaventoso, la musica povera o il significato della liturgia arcano. Basta assicurarsi che i sacerdoti e altri pronuncino bene il testo, che sia intelligibile, che l’acustica sia buona e che l’omelia “abbia senso”.

Forse aiuterebbe citare Uwe Michael Lang:

La liturgia sacra parla attraverso una varietà di “linguaggi” diversi dal linguaggio in senso stretto. [Sono] simboli non verbali capaci di creare una struttura di significati in cui gli individui si possono collegare l’uno all’altro. Sono convinto che queste espressioni non linguistiche o simboliche della liturgia siano più importanti del linguaggio stesso.

Sembrerebbe particolarmente pertinente nel mondo di oggi in cui le immagini sono onnipresenti: in televisione, sugli schermi del computer… Viviamo in una cultura delle immagini… Oggi l’immagine tende ad avere un’impressione più duratura sulla mente delle persone rispetto alla parola parlata.

Il potere dell’immagine è da lungo noto nella tradizione liturgica della Chiesa, che ha usato l’arte e l’architettura sacre come mezzo di espressione e comunicazione.

In epoche più recenti, però, si osserva una tendenza a vedere la liturgia solo come testo, e a limitare la partecipazione a ruoli di oratore. Questo si applica sicuramente a un’ampia corrente di studiosi di liturgia che si è concentrata sui testi liturgici contenuti in fonti scritte risalenti all’ultimo periodo dell’antichità e al primo Medioevo… Questo approccio è legittimo, almeno in larga misura, perché la pubblica adorazione della Chiesa è ordinata ai testi ufficiali che usa allo scopo.

Ad ogni modo, a volte si dimentica che la liturgia non è semplicemente una serie di testi da leggere, quanto piuttosto una serie di azioni sacre da eseguire… parole, musica e movimento,insieme ad altri elementi visivi, perfino olfattivi. (Cit. in Sacred Liturgy: The Proceedings of the International Conference on the Sacred Liturgy 2013, Ignatius Press, pp. 187-189.)

Lang continua affermando la preoccupazione per i testi (svilupparli, tradurli e dar loro riconoscimento) che ho indicato in precedenza.

Necessario? Sicuramente. Ma le cose sono andate un po’ fuori controllo ed è ora di concentrarsi di più su altri aspetti della liturgia. Anche un testo tradotto autenticamente e ben offerto può suonare piatto se ci sono un’atmosfera liturgica poco curata, edifici brutti e non ispiratori e musica povera. E così facciamo bene a concentrarci ora un po’ sugli aspetti visivi e altri aspetti non verbali.

Ma anche qui bisogna mettere in guardia contro un grande errore, perché anche se il testo e tutti gli elementi non verbali sono relativamente buoni, senza una catechesi liturgica appropriata sia per il clero che per i laici il vero significato della liturgia sacra può essere mancato e venire ridotto semplicemente a un’azione esteticamente piacevole piuttosto che a un atto di adorazione.

Ad esempio, quasi nessuno al termine della Messa chiede “Dio è stato adorato?”. Al clero verranno in mente molte altre domande e preoccupazioni, come “I lettori erano bravi e ben allenati?”, “L’omelia è andata bene?”, “I chierichetti sono stati formati bene?”, ecc. I laici giudicheranno spesso la liturgia in base alla qualità dell’omelia, alla prevalenza di canzoni preferite, allo stile di adorazione, ai livelli di ospitalità… Ma quasi nessuno pone la domanda fondamentale: “Dio è stato adorato?”, o più personalmente, “Ho adorato Dio?”.

A volte la risposta onesta è “No”. La gente si è concentrata di più su se stessa e su cosa stava facendo, o sugli altri e su cosa stavano facendo, o sul fatto di aver gradito o meno la celebrazione. Dio è stato considerato a malapena. Si può aver parlato con Lui o fatto riferimento a Lui, ma non è stato davvero adorato.

Ed è per questo che la catechesi liturgica è così importante al giorno d’oggi oltre al recupero di una serie più ampia di questioni al di là dei testi stessi. Quindi rendiamo grazie a Dio per i nostri testi sacri. Ma ora sembra il momento di fissare il nostro sguardo su questioni più ampie come gli aspetti fondamentali non verbali e non testuali della liturgia. Soprattutto, è ora di riscoprire Dio al cuore di ogni liturgia.

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Mons. Charles Popeè pastore di Holy Comforter-St. Cyprian, una vibrante comunità parrocchiale di Washington, D.C. (Stati Uniti). Nato a Chicago, ha un baccalaureato in scienze informatiche. Il suo interesse per il sacerdozio è derivato dall’esperienza come musicista di chiesa. Ha frequentato il Mount Saint Mary’s Seminary ed è stato ordinato nel 1989.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

FONTE: Arcidiocesi di Washington

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