Le delegazioni di Israele e Hamas oggi a Il Cairo per intraprendere negoziati. E’ la volta buona?di Graziano Motta
La tregua umanitaria e incondizionata di 72 ore, ovvero di tre giorni, è stata annunciata congiuntamente dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon e dal segretario di Stato americano Kerry.
Le parti, nell’accettarla, hanno chiarito che resisterà fin quando non sarà violata e comunque hanno inviato delegazioni al Cairo, quella palestinese rappresenta le tre principali organizzazioni, Al Fatah, Hamas e Jihad islamica, aderendo all’intento dei promotori e del presidente egiziano al-Sisi di renderla stabile e duratura. Per questo occorrerà aprire una breccia sul muro di diffidenze e di riserve, le principali sono state esplicitate: Israele ha precisato che intende continuare ad operare sottoterra e demolire la rete di tunnel realizzata da Hamas per sventare la minaccia di infiltrazioni e distruggere l’arsenale di missili e ancora ieri il primo ministro Netanyahu ribadiva questa condizione e disponeva il richiamo di altri 16 mila riservisti. Hamas ha ribadito che, con il ritiro delle forze israeliane di occupazione, deve cessare il blocco della striscia di Gaza.
Per la comunità internazionale non devono più esserci violazioni dei diritti umani, né tantomeno crimini di guerra. Al di là delle speranze, la tregua dovrebbe ridare fiato alla popolazione palestinese stremata da 25 giorni di guerra che ha aggravato le sue condizioni miserevoli, portando lutti – le vittime superano quota 1400, circa 7000 feriti – montagne di macerie e un totale dissesto dei servizi civili, in particolari ospedalieri. E far passare qualche giorno senza angosce e paure agli israeliani sotto la minaccia dei missili palestinesi. Ieri ne sono stati lanciati una sessantina, in buona parte intercettati.
La scorsa notte, nelle ore che hanno preceduto l’annuncio della tregua, a Gaza sono proseguiti i combattimenti, con l’intervento di aerei e artiglierie; 14 i palestinesi morti a Khan Younis fra cui una donna e due bambini; cinque soldati israeliani uccisi dallo scoppio di un obice di mortaio presso il confine, portando così a 61 il numero complessivo delle perdite.