L’Italia entrò dunque in guerra nel 1915 e i cattolici, pur contrari all’intervento, fecero il loro dovere come gli altri
Papa san Pio X ebbe solo il tempo di sentir tuonare i «cannoni d’agosto» prima di morire nel 1914. Il suo successore, il sessantenne Benedetto XV, fece di tutto affinché almeno l’Italia restasse fuori da quella che si rivelò ben presto una (parole sue) «inutile strage». Ma la Santa Sede aveva giurisdizione solo spirituale sui cattolici, e questi militavano sotto governi laicisti (Francia e Italia) o luterani (Germania) o semplicemente antipapisti (Inghilterra, Stati Uniti, Russia). L’unico governo ufficialmente cattolico era quello austriaco e, infatti, l’imperatore Carlo I (che è stato addirittura beatificato) si batté (inutilmente) per la pace a fianco del Papa in una guerra che non aveva voluto ma solo ereditato.
Per quanto riguarda Francia e Italia, benché popolate al novantanove per cento da cattolici, erano in pugno a minoranze anticlericali che non consentivano esenzioni alla leva militare al clero. Fu già tanto se, quando le cose si misero al peggio, permisero la presenza di cappellani tra i soldati. Ma ciò fu dovuto più che altro all’ostinazione dei comandanti in capo, il francese Foch e l’italiano Cadorna, personalmente molto religiosi. Il primo, addirittura, fece consacrare l’Armée al Sacro Cuore, cosa che i suoi soldati già facevano, per conto loro, a milioni, nell’ora più buia del conflitto (e in capo a poche settimane la Germania chiese l’armistizio). In Italia le cose stavano, se possibile, ancora peggio: il ministro degli esteri Sidney Sonnino, ebreo e fanatico anticlericale, nel patto segreto di Londra con cui l’Italia rovesciava le alleanze e scendeva In campo a fianco dell’Intesa, si incaponì affinché la Santa Sede venisse esclusa dai successivi negoziati di pace.
L’Italia entrò dunque in guerra nel 1915 e i cattolici, pur contrari all’intervento, fecero il loro dovere come gli altri. I preti e i religiosi dovettero vestire la divisa grigioverde e fu già tanto se a molti di loro fu concesso il privilegio di servire nella Sanità senza dover impugnare le armi. Ma, come si è detto, il generalissimo Luigi Cadorna fece sì che dai venticinquemila sacerdoti arruolati venisse estratto un corpo di duemilaquattrocento cappellani militari comandati da un «ordinario castrense», cioè un vescovo inquadrato col grado di generale. Non pochi tra i preti-soldato vennero decorati al valor militare (il famoso don Minzoni, poi vittima di un agguato squadrista, ebbe una medaglia d’argento). E non pochi combattenti cattolici di quella guerra, anche laici, sono stati in seguito elevati dalla Chiesa agli onori degli altari. Del beato Carlo d’Asburgo, ultimo imperatore austroungarico, abbiamo già detto.
Laico era anche san Riccardo Pampuri, che a quel tempo era il tenente Erminio e meritò una medaglia per un’azione eroica durante la disastrosa ritirata di Caporetto. E pure Padre Pio dovette entrare in guerra, sebbene fosse già frate. Non aveva ancora le stimmate, ma era talmente malato che, alla visita, il medico militare lo definì un «morto ambulante». Intanto, però, era stato dichiarato «disertore» perché non si era presentato spontaneamente (le sue febbri misteriose facevano scoppiare i termometri) e avevano mandato i carabinieri a prelevarlo. Ma la Patria non sentiva storie e il cappuccino Francesco Forgione finì in uniforme. Date le sue condizioni lo misero a fare l’infermiere, ma presto dovettero gettare la spugna perché il malato era lui e alla fine lo rimandarono in convento.
Già: la Patria non sentiva ragioni. Ho personalmente visto la fotocopia di un documento d’epoca, la sentenza con cui il Tribunale militare condannava alla fucilazione un povero cristo analfabeta che era rientrato al campo due giorni dopo la scadenza della sua licenza. Fu, quella, la guerra descritta nel film Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick, con le decimazioni per futili motivi, le esecuzioni per «viltà» quando la mitraglia non permetteva neanche di uscire dalla trincea, i carabinieri che avevano ordine di sparare su quelli che non avanzavano. Un altro film, Joyeuse Noël, ebbe una versione italiana a opera di Vincenzo Lojali, Servo di Dio. Capitano degli Arditi (due medaglie d’argento, una di bronzo e due encomi solenni al valor militare) la notte di Natale del 1916 fece intonare in trincea «Tu scendi dalle stelle» e gli austriaci risposero col coro di Stille Nach. Ferito in azione e rimasto zoppo, si fece sacerdote e nel 1938 fu vescovo di Amelia. La sua cospicua pensione andava tutta ai poveri. Una volta il Re, vedendolo sfilare con le decorazioni sul petto, infranse il protocollo per stringergli la mano.
Sul fronte francese, il beato Daniel Brottier, già missionario in Africa, si arruolò come cappellano volontario e fece tutta la guerra in prima linea. Era presente anche nel terribile carnaio di Verdun. Fu lui a fondare l’Union National des Combattants de France. Un altro cappellano beato è il nostro Giulio Facibeni, medaglia d’argento al valore. A conflitto finito fondò l’Opera Madonnina del Grappa per gli orfani di guerra. Scrisse: «Deporre l’abito talare per indossare la veste del soldato non era neanche un’interruzione del ministero sacerdotale; un po’ di quella misteriosa relazione che intercorre tra la vita del sacerdote e quella del soldato, ambedue impegnati in questo dono di sé per i fratelli, fino alla immolazione suprema».
Due Servi di Dio, il barnabita Giovanni Semeria (amico di Cadorna, fu il primo a far domanda come cappellano volontario) e Agostino Gemelli, che allora era ufficiale: insieme promossero la consacrazione dei soldati al Sacro Cuore. Il padre Semeria fondò poi l’Opera del Mezzogiorno d’Italia per gli orfani dei caduti, specialmente in quelle regioni meridionali che dell’Italia unita non avevano visto altro che l’ufficiale di leva e l’esattore delle imposte. Adempiva così a una promessa che aveva fatto a molti soldati moribondi. Amava dire: «Si può essere buoni cattolici essendo buoni italiani».
Fu il beato Pirro Scavizzi, figlio di un alto funzionario governativo, a convincere Cadorna a ripristinare i cappellani militari che il governo liberale aveva abolito nell’Ottocento. Lui stesso fu cappellano del Sovrano Militare Ordine di Malta e prestava servizio su un treno-ospedale. Divenne prelato domestico del Papa e autore del famoso canto «Inni e canti sciogliamo, fedeli, al divino eucaristico Re». Il venerabile Egidio Laurent, aostano, era frate laico nei Canonici Regolari Lateranensi. Fu arruolato come alpino e mandato a combattere sul Pasubio. Offrì la sua vita a Dio perché cessassero gli orrori della guerra e morì di polmonite (chi ha visitato uno dei musei della Grande Guerra ha visto i panni di semplice feltro con cui i soldati dovevano ripararsi dal gelo delle alte quote).
In quella guerra c’era anche san Giovanni XXIII, che fu prima sergente di fanteria e poi cappellano nell’ospedale militare di Bergamo. Così annotò nel suo diario: «Di tutto sono grato al Signore, ma particolarmente Lo ringrazio perché a vent’anni ha voluto che facessi il mio bravo servizio militare e poi durante tutta la Prima Guerra Mondiale lo rinnovassi da sergente e da Cappellano».