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Il bullismo esiste anche nella Chiesa e nelle famiglie

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Jaime Septién - Aleteia - pubblicato il 23/07/14
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Due vescovi messicani parlano di questo tema raccontando la propria esperienza
Monsignor Felipe Arizmendi Esquivel, vescovo di San Cristóbal de Las Casas, e monsignor Rodrigo Aguilar Martínez, vescovo di Tehuacán, hanno scritto molti articoli sul bullismo e le molestie, ma non hanno nulla a che vedere con le molestie scolastiche, per le quali il Messico è il primo Paese al mondo, quanto con ciò che si verifica all’interno della Chiesa e delle famiglie.

Molestie nei seminari

“Mi sono reso conto che la deridevano perché parlava poco ed era molto semplice”, ha affermato il vescovo di San Cristóbal de las Casas ricordando la conversazione che ha avuto con una ragazza che vuole entrare in una congregazione religiosa.

“Quando ero bambino, già allora a scuola c’erano compagni che ci davano fastidio e ci facevano soffrire. Lo stesso è accaduto quando con altri adolescenti che provenivano da villaggi rurali sono entrato nel Seminario minore, dove dei compagni provenienti dalla città e che avevano studiato più di noi ci prendevano in giro perché non comprendevamo bene le lezioni e non eravamo molto bravi nello sport; ci davano appellativi offensivi, al momento dei pasti ci toglievano quello che ci spettava, ci consideravano inferiori. Ci rendevano la vita così difficile che io avevo deciso di uscire dal Seminario, perché non immaginavo di trovare un ambiente tanto complicato in quel luogo”.

Ad ogni modo, ha commentato monsignor Arizmendi Esquivel nella riflessione settimanale che scrive per vari media elettronici cattolici, “Dio ci ha dato la forza necessaria per resistere, e quelli che ci offendevano sono usciti dal Seminario; siamo rimasti noi che sapevamo portare la croce della convivenza comunitaria”.

Per il presule messicano, questi conflitti sono frequenti all’interno delle comunità ecclesiali. “Ci sono critiche, non solo tra movimenti laicali, ma anche tra agenti di pastorale. C’è chi rende la vita impossibile a chi vive la propria fede in un altro modo, a volte con limitazioni e incoerenze, ma che ha appena iniziato a seguire Gesù e non è maturo per resistere alle persecuzioni. Alcuni si scoraggiano, o addirittura si allontanano dalla Chiesa e perfino da Dio”.

Ricordando le parole pronunciate da papa Francesco sulle guerre intestine nella Chiesa cattolica e sul danno che provocano l’invidia e i pettegolezzi, monsignor Arizmendi Esquivel si chiede se in alcune comunità cristiane, e anche tra le persone consacrate, si consentano varie forme di odio, divisioni, calunnie, diffamazioni, vendette, gelosie, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, e perfino persecuzioni che sembrano un’implacabile caccia alle streghe. “Chi possiamo evangelizzare con questi comportamenti?”

In casa e a scuola, ha concluso, “educhiamo i bamini alla convivenza rispettosa tra fratelli e compagni. Non poniamo come criterio per valutare una persona quello che si impone agli altri per la sua aggressività. Eliminiamo la violenza dalla propria famiglia, per non dare l’immagine per cui vale di più chi grida, offende e colpisce, ma chi ama di più, chi serve di più, chi fa di più per aiutare gli altri. Difendiamo gli oppressi, per vivere in pace”.

Bullismo in famiglia

Dopo aver commentato, nel suo messaggio settimanale per radio e sui periodici digitali, il contenuto della riflessione del vescovo di San Cristóbal de las Casas, monsignor Rodrigo Aguilar Martínez, vescovo di Tehuacán e incaricato del settore Famiglia presso la Conferenza dell’Episcopato Messicano, afferma che “possiamo dire lo stesso dell’esistenza del bullismo all’interno della famiglia: abbiamo subito o esercitato violenza e aggressività all’interno della nostra famiglia”.

“È una cosa che viene constatata nell’Instrumentum Laboris, ovvero il Documento di Lavoro in preparazione al Sinodo della Famiglia che ci è arrivato dal Vaticano come sintesi delle risposte al questionario che ci avevano inviato e al quale è stato risposto nelle diocesi di tutto il mondo”, ha affermato il presule.

In seguito, ha citato una serie di frasi del documento in cui si parla dell’inferno doloroso che si sta verificando all’interno di molte famiglie, anche famiglie che si dicono cristiane e la cui essenza è nella “difficoltà di relazione e comunicazione in famiglia come uno dei nodi critici rilevanti”, così come nell’“incapacità di costruire relazioni familiari per il sopravvento di tensioni e conflitti tra i coniugi, dovuti alla mancanza di fiducia reciproca e di intimità, al dominio di un coniuge sull’altro, ma anche ai conflitti generazionali tra genitori e figli”.

“La nostra esperienza personale, la nostra osservazione e le notizie quotidiane ci riferiscono numerosi episodi di bullismo all’interno della famiglia. Se la famiglia vive carica di violenza, aggressività e disprezzo, è naturale che si manifesti il bullismo nella relazione umana di ogni gruppo sociale”, ha dichiarato monsignor Aguilar Martínez, sottolineando che “dipende da noi che questa constatazione di fatti e minacce si trasformi in un’opportunità di miglioramento; coltiviamo una relazione positiva e gentile in famiglia, che a sua volta ci consoliderà e ci disporrà per le relazioni esterne alla famiglia. Queste vacanze estive siano un’occasione propizia per farlo”.

Nella parte finale del suo messaggio, il vescovo di Tehuacán chiede che ci abituiamo a salutare ogni membro della famiglia che incontriamo nel corso della giornata con parole, gesti e azioni, ad esempio dandoci la mano o un abbraccio o un bacio, guardandoci negli occhi con affetto. “A molti costa dire all’altro che gli si vuole bene, ma a tutti noi piace sentire che siamo amati. Chiediamo perdono e perdoniamo. Facciamo la pace. Imparando da Dio, dobbiamo essere lenti nell’infastidirci e generosi nel perdonare”.

Le azioni a favore della pace all’interno della famiglia non sono azioni straordinarie, ha commentato monsignor Aguilar Martínez: bisogna essere “fini e delicati nel correggere gli errori, espressivi nel riconoscere i successi e le cose ben fatte. Con le nostre parole e i nostri atteggiamenti infondiamo speranza, siamo positivi. Questo aiuta a far sì che gli altri crescano sani e amati”.

“Al termine della giornata, non evitiamo di ripensare a come abbiamo vissuto le relazioni all’interno della nostra famiglia… e anche quelle al di fuori di essa. E in questo esame di coscienza alla fine della giornata, rendiamo grazie a Dio per il bene che abbiamo fatto o ricevuto, chiediamo perdono per il male compiuto, rinnoviamo la nostra fede per iniziare il giorno seguente con nuova disposizione e speranza”.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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