Al bimbo concepito in questo modo si sta negando il legame con il padre
A volte, per varie ragioni, una donna decide che il suo ovulo venga fecondato con il seme di una persona defunta. È quella che si chiama fecondazione post mortem.
Tra gli altri problemi etici e legali, al bambino concepito in questo modo si nega il legame fisico con il padre. L’obiezione di fondo, ha sottolineato il Centro di Bioetica Persona y Familia, è la generazione intenzionale di un bambino orfano.
Ricorrendo a questa pratica, si può cercare di soddisfare il desiderio di trascendenza di un adulto o l’erroneo tentativo di mantenere in qualche modo viva una persona già defunta, constata la dottoressa Ursula Basset in Análisis del proyecto de nuevo Código Civil y Comercial 2012.
Può anche esserci un interesse economico, e in questo senso in Inghilterra o in Argentina la regolamentazione cerca di evitare problemi di consenso del padre o di successione (ad esempio collegati all’eredità).
Avere un figlio, però, non è un diritto, e anche se la scienza permette questa pratica l’essere umano deve essere sempre considerato un fine in sé.
“La perdita del padre per un bambino per le circostanze della vita viene sempre considerata una situazione indesiderabile e dolorosa per la salute emotiva del piccolo, che si vede privato della possibilità di godere il proprio padre, con tutto quello che questa figura implica per lo sviluppo della sua personalità. Questa situazione risulta però inaccettabile quando si pretende di imporre per desiderio dei genitori, per quanto possa essere forte”, indica il Centro.
La fecondazione post mortem, aggiunge, “lede l’interesse superiore del bambino, che è di carattere primario”.
Nel IX Congresso Mondiale sui Diritti della Famiglia, svoltosi a Panama nel 1997, si è raccomandato di proibire espressamente la fecondazione post mortem. In alcuni Paesi, come l’Italia o la Germania, è infatti proibita.
[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]