Il polemista cattolico non è, come si pensa, un conservatore…di Lorenzo Fazzini
L’attuale successo editoriale di Gilbert K. Chesterton soffre di una distorsione ideologica: viene considerato un autore conservatore, «di destra», araldo di visioni «reazionarie» su temi quali l’islam, la bioetica, l’economia, e altro. Ebbene: ecco in un saggio tutto da leggere, inedito in Italia e in uscita settimana prossima, la smentita dalla penna stessa dell’inventore di padre Brown. Il quale si posizionava ben oltre la diatriba, antica e attuale, tra progressisti e conservatori: «Se è vero che il Socialismo attacca la famiglia in teoria, è ancor più sicuro che il Capitalismo lo fa nella pratica».
Usciti negli anni Dieci del ’900 sulla rivista New Witness, i brevi articoli qui raccolti in volume affrontano in maniera intellettualmente provocatoria il nodo della dignità della famiglia e della «retorica del divorzio». Il polemista inglese la prende alla larga: «La civiltà dei voti fu distrutta quando Enrico VIII ruppe la propria promessa matrimoniale. O fu piuttosto distrutta da un nuovo cinismo delle grandi potenze europee. I monasteri, costruiti per voto, furono distrutti. Le corporazioni, reggimenti di volontari, furono disperse. La natura sacramentale del matrimonio fu negata, e numerose menti del nuovo movimento, come Milton, già indulgevano in una idealizzazione alquanto moderna del matrimonio».
Misconoscimento della realtà: questo il deficit secondo cui il pensiero dominante ha tradito la famiglia, preferendogli il divorzio: «Ci sono troppe menti che danno l’impressione di ragionare a ritroso. Questa gente afferma di volere il divorzio senza chiedersi prima se vuole il matrimonio». Come spesso capita nelle pagine chestertoniane, irrompe una definizione (in questo caso del vincolo coniugale) che ha la fragranza dell’esperienza: «Questo gesto romantico e imprudente è l’unica fucina dalla quale possano essere temprati i semplici strumenti dell’umanità, il ferro tenace della cittadinanza, e il freddo acciaio del buon senso; non sto negando che la fornace consista di fuoco».
Si badi: la difesa della famiglia da tentazioni divorzistiche viene attuata da Chesterton prima della sua conversione al cattolicesimo (1922). Per lui dare priorità al matrimonio è un dovere «laico». Mentre – il paradosso è servito – i divorzisti si appellano a ragioni teologiche. Come si evince da questa diatriba tra Sherlock Holmes e padre Brown, tramite i rispettivi autori: «Arthur Conan Doyle, un uomo dimostratosi intelligente in altre occasioni, afferma che al divorzio si possa opporre soltanto un’argomentazione ‘teologica’ e che quest’argomentazione si fondi su ‘certi testi’ contenuti nella Bibbia. Questo è uguale a dire che la fede nella fraternità degli uomini si fondi su quei testi della Bibbia che fanno discendere tutti gli uomini da Adamo ed Eva». Mentre invece «milioni di semplici contadini in tutto il mondo danno per scontato il matrimonio, senza aver mai posato gli occhi su alcuno scritto». Dunque, arguisce Chesterton, sono i «laici» – bersaglio preferito del Nostro è Bernard Shaw – a mancare, qui: «Per questi riformatori il matrimonio è un discorso senza capo né coda. Non sanno cosa sia, o cosa significhi. Semplicemente si liberano della fatica più vicina; il che significa aprire fessure in una barca pensando di scavare buche in un giardino».
Chesterton spiazza ancora una volta: difendere la famiglia – lui ne è convinto – è «cosa di sinistra». La motivazione è pressante anche per i nostri tempi: «I governatori moderni, i ricchi, sono coerenti nel loro atteggiamento verso il povero. È lo stesso spirito con cui gli sottraggono i figli con il pretesto dell’ordine, con cui gli tolgono la moglie con il pretesto della libertà. Il capitalismo è in guerra con la famiglia. Per usare una metafora militare, la famiglia è l’unica formazione capace di respingere la carica del ricco».
La conclusione di Chesterton si rifà, del tutto «laica», a Balzac: «Insieme alla solidarietà della famiglia la società ha perso quella forza elementare che Montesquieu chiamò ‘onore’. La società ha isolato i suoi membri per governarli meglio, e li ha divisi allo scopo di indebolirli».