Un bioeticista cattolico britannico avverte del pericolo insito in questo provvedimento
Nel Regno Unito è stato portato davanti al Parlamento un Disegno di Legge sulla Morte Assistita, che verrà dibattuto alla Camera dei Lord venerdì 18 luglio. Si è scatenato un putiferio, soprattutto ad opera di vari gruppi religiosi e pro-vita per i quali il provvedimento è contrario all’autentica dignità della vita umana. Altri gruppi, come l’organizzazione Dying In Dignity, si appellano a un dovere di compassione per i malati e i morenti. Aleteia ha interpellato al riguardo il bioeticista britannico prof. David Albert Jones, direttore del The Anscombe Bioethics Centre.
Cos’è esattamente il “Disegno di Legge sulla Morte Assistita”, in cosa differisce dal “Disegno di Legge sul Suicidio Assistito” del 2013 e cosa deve accadere perché diventi legge?
Il Disegno di Legge sulla Morte Assistita è stato introdotto da Lord Falconer. Allo stesso tempo, c’è un disegno di legge che sta compiendo il proprio iter presso il Parlamento scozzese chiamato “Disegno di Legge sul Suicidio Assistito (Scozia)”. È stato introdotto lo scorso anno da Margo MacDonald. I due provvedimenti sono molto simili, perché entrambi permetterebbero a un dottore di sommministrare farmaci letali a una persona malata terminale che desideri commettere suicidio. Una differenza è il fatto che il Disegno di Legge sulla Morte Assistita di Falconer richiede che la persona che vuole commettere suicidio abbia un’aspettativa di vita massima di sei mesi. Ad ogni modo, vista la difficoltà di fare un pronostico di questo tipo con qualche grado di certezza, è improbabile qualsiasi differenza nella pratica. Se una persona è malata terminale, o è semplicemente molto fragile, allora entrambi i provvedimenti permetterebbero a un medico di darle i mezzi per commettere suicidio.
I sostenitori del provvedimento – come l’organizzazione Dying In Dignity – negano che la morte assistita sia una forma di eutanasia. È vero? O è semplicemente una questione lessicale?
L’eutanasia propriamente detta è quando una persona ne uccide un’altra per il desiderio di eliminarne la sofferenza. L’eutanasia è “l’omicidio misericordioso”. Questo è leggermente diverso dal “suicidio assistito”, in cui una persona può fornire i mezzi (ad esempio il veleno), ma la morte vera e propria è autoinflitta.
La definizione “morte assistita” è un eufemismo che può essere utilizzato per intendere l’eutanasia o il suicidio assistito. Il Disegno di Legge sulla Morte Assistita attualmente alla Camera dei Lord non permette l’eutanasia (omicidio misericordioso), ma permette il suicidio assistito. È quindi più simile alla legge della Svizzera o dell’Oregon che a quella dell’Olanda o del Belgio. Da un punto di vista morale, ad ogni modo, c’è poca differenza tra l’eutanasia e il suicidio assistito. In entrambi i casi qualcuno viene ucciso, e la persona “assistente” condivide la responsabilità per la morte.
Si aspetta che il provvedimento venga accettato in Parlameno? Quali sono i rischi di un provvedimento di questo tipo, a livello sia individuale che sociale?
Disegni di legge simili sono stati respinti dalla Camera dei Lords (nel 2006 e nel 2009), ma negli ultimi cinque anni sono entrati in questa Camera molti nuovi membri, e potrebbero esserci anche persone che hanno cambiato idea, per cui non è certo cosa accadrà se ci sarà una votazione. Ciò che è certo è che il provvedimento rappresenta un pericolo reale per gli individui vulnerabili e per la società nel suo insieme.
Se una persona giovane sana mentalmente tenta il suicidio, allora la gente cercherà di evitarlo e di persuadere la persona in questione che la vita è degna di essere vissuta e che lui o lei è una persona di valore. Questo provvedimento introdurrebbe un doppio standard per cui, se qualcuno ha istinti suicidi ma è fragile o disabile e ha una condizione per la quale potrebbe morire, allora la società non lo aiuterà a vivere o a valorizzare la propria vita. Gli darà invece i mezzi per commettere suicidio e lo abbandonerà al proprio destino. Questo è un pericolo particolare per le persone che possono pensare di essere un peso per gli altri o che la loro vita non sia degna perché non sono “produttive”. Affermando che certe persone possono essere “aiutate” a commettere suicidio, la legge in sostanza incoraggia le persone di quella categoria a pensare che non sono desiderate.
Quali sono le argomentazioni principali a favore del provvedimento, e qual è la sua risposta ad esse?
Le due argomentazioni principali a favore del provvedimento si basano sull’autonomia e la compassione. In primo luogo si afferma che la gente dovrebbe avere la possibilità di scelta o di autodeterminazione in relazione a come vivere e morire. In secondo luogo, si dice che bisogna fare qualcosa per evitare che la gente soffra in modo superfluo al momento di morire.
L’argomentazione relativa all’autonomia non deve essere accantonata, perché la libertà è un elemento essenziale della natura umana e non solo un’invenzione moderna. Dall’altro lato, la libertà è e dovrebbe essere diretta verso ciò che è bene per la vita umana, e alcune scelte sono dannose per la persona e minano le scelte di altri. Una restrizione della mia capacità di scelta può essere una difesa del mio vicino. È sicuramente un’illusione immaginare che un atto profondo come uccidersi possa essere una questione privata che non ha effetti sugli altri.
Quanto al desiderio di alleviare la sofferenza, anch’esso è un grande bene e una preoccupazione autentica. Ad ogni modo, se la nostra preoccupazione è combattere il dolore e gli altri sintomi della malattia, allora ciò che serve è un alleviamento adeguato del dolore e dei sintomi. Quello che serve è l’accesso a cure palliative adeguate. In casi estremi, questo può significare dosi di antidolorifici, che riducono la consapevolezza o che accelerano la morte (anche se le prove suggeriscono che è più probabile che un uso esperto dell’alleviamento del dolore allunghi la vita piuttosto che la abbrevi). I medici non dovrebbero temere di usare consistenti dosi di medicinali su persone che stanno morendo, ma il loro obiettivo dovrebbe essere uccidere il dolore, non il paziente.
Qual è la posizione della Chiesa cattolica sulla questione?
La Chiesa cattolica si oppone al suicidio assistito perché difende il valore di ogni persona, indipendentemente dal suo stato di salute o dalla sua disabilità, o dal fatto che sia valorizzata o sminuita dalla società. La Chiesa sostiene tutti coloro che lavorano nelle cure palliative che cercano di far fronte alle necessità dei morenti senza ricorrere all’omicidio dei loro pazienti. La Chiesa non ha mai affermato che la quantità di giorni è l’obiettivo supremo della vita o che la gente deve accettare ogni forma di trattamento a sostegno della vita indipendentemente dai rischi o dal peso, ma afferma solo che la morte non dovrebbe mai essere il nostro obiettivo o la nostra intenzione. Allo stesso tempo, riconosce che le pressioni che portano la gente a tentare il suicidio possono disturbare l’equilibrio mentale e ridurre la colpa morale per questa azione. La Chiesa esprime pubblicamente la speranza per la salvezza di coloro che hanno commesso suicidio e prega per loro.
C’è una soluzione?
Chi è
a favore di un cambiamento della legge lo presenta spesso come inevitabile e parte dell’accettazione del mondo moderno. Il successo del movimento a favore dell’eutanasia e del suicidio assistito non dovrebbe comunque essere esagerato. Questi atti sono legali solo in una manciata di Paesi, e la grande maggioranza degli Stati, religiosi o secolari, resta scettica al riguardo. Ciò è in parte dovuto ad altri cambiamenti positivi nella società moderna, in particolare il movimento per i diritti dei disabili e l’aumento delle cure palliative, che spingono entrambi nella direzione opposta. Ciò che serve, quindi, non è il conservatorismo o l’opposizione al cambiamento, ma il sostegno al cambiamento positivo e allo sviluppo nella società che offra un’alternativa di speranza ai sostenitori della disperazione.
[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]