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I jihadisti stanno distruggendo la nostra eredità

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Aleteia - pubblicato il 16/07/14
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Se solo all’Occidente importasse…di Philip Jenkins

Una volta ho incontrato un autentico eroe, un uomo che aveva fatto più di cento Governi per preservare e difendere l'eredità culturale umana. Era Donny George (Youkhanna), il cristiano assiro che occupava il non invidiabile incarico di Direttore Generale del Museo Nazionale dell'Iraq dopo l'invasione degli alleati nel 2003. Con sforzi sovrumani e un grande coraggio, ha recuperato migliaia di manufatti antichi rubati o perduti nel caos, salvando così una porzione importante delle prime tracce di civiltà.

Tragicamente, il mondo potrebbe aver presto bisogno di molti più individui di questo tipo.

In un bell'articolo pubblicato di recente, Christopher Dickey ha avvertito che “l'ISIS sta per distruggere la storia biblica in Iraq”, mostrando prove del fatto che lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante ha già distrutto molti tesori in musei che erano arrivati sotto il suo controllo e che i jihadisti ne stanno vendendo altri per finanziare le proprie attività. Dickey ha sottolineato un pericolo critico, ma è parte di una minaccia molto più ampia all'eredità mondiale. Per quanto l'ISIS possa essere maniacale, non ha dato inizio a questo trend, che può essere associato anche ad alcuni dei più stretti alleati dell'Occidente nella regione. Né, in modo significativo, il tutto è diretto solo contro i siti cristiani o ebraici (o pagani).

Fin dai primi secoli, l'islam ha proclamato la supremazia della parola scritta, e soprattutto del Corano. Malgrado questo principio, i musulmani hanno presto attribuito santità a luoghi e individui particolari, a membri della famiglia del Profeta o a sceicchi e santi più recenti, e ai luoghi a loro associati. I musulmani di tutto il mondo hanno sviluppato una viva cultura del pellegrinaggio a questi luoghi santi, in aggiunta alle due città sante de La Mecca e Medina. Dal XVIII secolo, movimenti di riforma radicale come il wahhabismo hanno esortato all'eliminazione di queste espressioni rivali di fede. Per i musulmani wahhabiti o salafiti, queste idee materiali di santità sono non islamiche, non ortodosse. Oggi, un pellegrino che faccia il minimo gesto di rispetto a un santuario o a una tomba verrà severamente ripreso: “No, fratello, questo non è Sunnah!”

Negli anni Venti del Novecento, il wahhabismo ha preso potere nella terra che oggi chiamiamo Arabia Saudita, e le conseguenze per l'eredità culturale sono state catastrofiche. I sauditi hanno distrutto spietatamente case, moschee e santuari associati allo stesso Maometto, alla sua famiglia e ai suoi primi seguaci. Hanno demolito luoghi di antica santità nonché di immenso interesse storico. Se gli occidentali si curassero della storia che viene distrutta in modo così sconsiderato, metteremmo alla gogna il regime per uno dei più grandi crimini culturali del secolo, almeno uguale alla devastazione associata alla rivoluzione culturale cinese degli anni Sessanta. I principali gruppi musulmani hanno protestato ripetutamente, ma invano.

Le azioni saudite hanno stabilito un ostacolo molto alto per i movimenti islamisti ed estremisti di tutto il mondo ansiosi di provare le proprie credenziali puritane e il loro rifiuto assoluto dell'idolatria o del sincretismo. Pensiamo alla distruzione ad opera dei talebani delle figure di Buddha a Bamiyan, in Afghanistan, nel 2001, o alla carneficina nei templi e sulle tombe islamiche in Mali nel 2012, soprattutto intorno alla grande città di Timbuctù. In Mali, incidentalmente, i perpetratori appartenevano al gruppo legato ad al-Qaeda Ansar Dine, Difensori della Fede, un nome che esprime perfettamente l'obiettivo del vandalismo. Il vero islam può esistere solo libero da simboli materiali.

Una volta che un movimento prende quella strada, ha varie opzioni su come sbarazzarsi di oggetti e luoghi “offensivi”. La semplice distruzione raggiunge lo scopo, e serve anche come istruttiva dimostrazione per chi vi assiste. Il fatto che un luogo presumibilmente sacro possa essere distrutto senza conseguenze per i perpetratori – nessun intervento angelico, niente pioggia di sangue – invia un potente messaggio per cui Dio non se ne cura e non lo proteggerà.

Sono però possibili anche altre strategie. Come sottolinea Dickey, gruppi come l'ISIS possono disprezzare e detestare le antichità che giungono tra le loro mani, ma non c'è motivo per cui non dovrebbero trarne profitto. Per usare un'analogia, nel 1933 il nuovo Governo sovietico vendette il famoso libro del Vangelo, il Codex Sinaiticus, alla Gran Bretagna. Se i credenti volevano pagare per quella spazzatura, hanno pensato i Rossi, perché i comunisti non dovevano approfittare dei loro desideri superstiziosi e usare il denaro per promuovere la causa della rivoluzione mondiale?

L'ISIS segue principi identici, lanciandosi nel mercato nero delle antichità. Questa mossa ha conseguenze fondamentali per le agenzie di intelligence occidentali. Da quarant'anni, queste agenzie sanno che il modo migliore per tracciare i movimenti terroristi è seguire il traffico illecito in tre settori fondamentali: armi, oro e droga. Ora viene aggiunto un quarto elemento a questa trinità non santa, visto che gli atti terroristici verranno finanziati dai proventi di statue assire o calici cristiani, manoscritti ebraici o tavolette sumere. Spero che le nostre agenzie di controterrorismo lavorino a stretto contatto con studiosi e archeologi.

C'è tuttavia ancora un'altra opzione, ed è la più preoccupante. Gli estremisti come al-Qaeda e l'ISIS usano la violenza terroristica per intimidire i propri nemici e dimostrare il loro potere. Il problema è che i media sono volubili e il pubblico si abitua rapidamente anche agli atti più orribili. Se non sono diventati propriamente routine, perfino i video delle decapitazioni hanno perso presto il loro potere di accaparrarsi i titoli dei giornali di tutto il mondo.

E questo ci riporta al mondo delle antichità. Quale modo migliore per catturare l'attenzione occidentale in modo affidabile e ripetuto che distruggere l'eredità culturale – eliminare i resti dei templi greci e dei castelli dei crociati, dei mosaici romani e dei monasteri antichi? E tanto meglio se questi siti hanno qualche connotazione biblica! Atti di questo tipo sono semplici, nel senso che non richiedono infiltrazioni in territorio nemico né rischi fisici. Potrebbero essere anche redditizi, perché le Nazioni occidentali potrebbero pagare sostanziosi riscatti per evitare la distruzione di altri siti. E il valore dello shock è immenso.

Forse stiamo entrando nell'era del terrorismo dell'eredità.

Philip Jenkins è Distinguished Professor di Storia presso la Baylor University e autore di The Great and Holy War: How World War I Became a Religious Crusade.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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