Persecuzione e discriminazione condizionano la vita della comunità cristiana nel paese
«La situazione giuridica dei cristiani in Sudan è davvero preoccupante». A parlare è il vescovo della diocesi sudsudanese di Tambura-Yambio, monsignor Eduardo Hiiboro Kussala, in questi giorni in visita alla sede centrale di Aiuto alla Chiesa che Soffre.
Sebbene la costituzione garantisca pari diritti a tutti i sudanesi, senza alcuna distinzione di credo, i cristiani sono considerati e trattati come cittadini di seconda classe. «I membri del clero non possono ottenere il passaporto e quando lasciano il paese non sanno mai se potranno farvi ritorno – racconta il presule – molti sacerdoti sono stati espulsi ed i vescovi sono costretti al silenzio perché non possono esprimere liberamente le proprie opinioni».
Ai cristiani è permesso assistere alle celebrazioni liturgiche, ma Khartoum non tutela affatto la libertà religiosa. Monsignor Hiiboro porta ad esempio il recente caso di Meriam Yahia Ibrayim Ishaq, condannata a morte per apostasia. «La fede di Meriam era ben nota a tutti – riferisce – ma un giorno improvvisamente la ragazza è stata minacciata e poi condannata. Ed il governo non ha agito in alcun modo lasciando che fossero i leader islamici a decidere del futuro della donna». Il vescovo fa notare come Meriam non si sia affatto convertita. Il padre era sì musulmano, ma ha lasciato la famiglia quando lei aveva appena cinque anni e la ragazza è quindi cresciuta praticando la fede della madre, cristiana ortodossa, per poi divenire cattolica poco prima di conoscere il suo futuro marito Daniel Wani nel 2011. «Meriam è stata liberata soltanto a causa della forte pressione internazionale, tuttavia nel frattempo è stata costretta a dare alla luce la sua bambina in carcere».
Sebbene la discriminazione dei cristiani non costituisca un fenomeno nuovo in Sudan, in seguito alla secessione del sud a maggioranza cristiana, nel luglio 2011, la situazione è nettamente peggiorata. La Chiesa sudanese ha apertamente sostenuto la nascita del Sud Sudan, richiamando più volte le autorità al rispetto della volontà dei cittadini, «ed ora è ritenuta responsabile della separazione dei due stati. Anche se noi ci siamo limitati soltanto ad esortare il governo a garantire la libertà religiosa e di coscienza».